ablueboy
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domenica 17 ottobre 2010
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narcisista, supeficiale, ipocrita, inconcludente
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Narcisista perché Celestini è praticamente l'unico attore. Tutto il resto è sullo sfondo
Superficiale perché tratta il problema dell'ospedalizzazione forzata e dei manicomi senza nessun approfondimento, né drammatico né in altro modo. L'internato da bambino è semplicemente un bel bambino povero, l'internato da grande è semplicemente Celestini.
Ipocrita perché è un film che vorrebbe parlare di disagio mentale o di catrtiva istituzionalizzazione, ma i malati mentali sono visti come "matti", non come delle persone. Sono delle ombre.
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Narcisista perché Celestini è praticamente l'unico attore. Tutto il resto è sullo sfondo
Superficiale perché tratta il problema dell'ospedalizzazione forzata e dei manicomi senza nessun approfondimento, né drammatico né in altro modo. L'internato da bambino è semplicemente un bel bambino povero, l'internato da grande è semplicemente Celestini.
Ipocrita perché è un film che vorrebbe parlare di disagio mentale o di catrtiva istituzionalizzazione, ma i malati mentali sono visti come "matti", non come delle persone. Sono delle ombre. La tragedia del malato stride con lo stile adottato, un po' sopra le righe. Il personaggio Celestini sembra essere una persona "normale" che "capita ingiustamente in messo ai matti". Poi come sempre il malato psichiatrico è visto o come un simpatico picchiatello, o come un non-essere, o come un'entità poetizzante. In altre parole, il problema del disagio mentale non esiste in questo film, perché tutto è soltanto funzionale al costrutto narrativo totalmente narcisistico e autoreferenziale del suo regista.
Inconcludente perché il film non conduce da nessuna parte, non ha un'evoluzione, non vedrete come un povero malcapitato possa essere reso malato da un'istituzione che si dichiara sanitaria. Vedrete semplicemente la solita immagine trita e stereotipata del problema.
Per darvi un termine di paragone, la vicenda della ragazza mentale nel film "La meglio gioventù" è molto più istruttiva.
Insomma, questo è un film che avrebbe dovuto fare Paolini, non Celestini.
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domenico a
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martedì 5 ottobre 2010
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un coraggio sbiadito
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Abbiamo visto “ La pecora nera “ regia di Ascanio Celestini.
E’ difficile per noi “ sparare sul pianista “ e non lo facciamo certo in questo caso. Celestini e i suoi cosceneggiatori hanno senza dubbio un certo coraggio a trattare questo tipo di materiale e la regia è riuscita a trovare un certo stile. Però abbiamo visto un film dalle buone intenzioni ma che sembra – dopo uno spettacolo teatrale e un libro – giungerci stremato, come spremuto fino all’ultima goccia di sangue e forse anche per il troppo tempo trascorso. Ed anche quello che ha dichiarato il regista… "Non è un film di denuncia della barbarie del manicomio, ma piuttosto del manicomio come istituzione al pari di altre come il carcere e la scuola che sono cose altrettanto alienanti “ ci fa supporre una confusione nelle intenzioni finali.
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Abbiamo visto “ La pecora nera “ regia di Ascanio Celestini.
E’ difficile per noi “ sparare sul pianista “ e non lo facciamo certo in questo caso. Celestini e i suoi cosceneggiatori hanno senza dubbio un certo coraggio a trattare questo tipo di materiale e la regia è riuscita a trovare un certo stile. Però abbiamo visto un film dalle buone intenzioni ma che sembra – dopo uno spettacolo teatrale e un libro – giungerci stremato, come spremuto fino all’ultima goccia di sangue e forse anche per il troppo tempo trascorso. Ed anche quello che ha dichiarato il regista… "Non è un film di denuncia della barbarie del manicomio, ma piuttosto del manicomio come istituzione al pari di altre come il carcere e la scuola che sono cose altrettanto alienanti “ ci fa supporre una confusione nelle intenzioni finali. Non perché reputiamo le altre due istituzioni non alienanti, anzi, ma perché ci sono distinguo sostanziali che altrimenti creano confusione sul progetto. Usando una interpretazione ‘ anni sessanta ’ del linguaggio filmico potremmo anche dire che non siamo davanti ad un vero e proprio film bensì all’incontro di un testo scritto con un’impostazione di tipo teatrale e poi filmato in maniera sussiegosa e pedissequa al tema stesso, senza “ voli “ concreti nell’argomento follia o nella sventura di esseri finiti in lager senza alcuna colpa; ed anche la costante voce in fuori campo del protagonista rende poco cinematografica la storia. A quanto pare il “ progetto generale “ è partito dalla sintesi che avrebbe fatto lo stesso “ sventurato “ che ha trascorso 35 anni in una struttura chiusa chiamata un tempo manicomio: Il manicomio è un condominio di santi. So' santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex-voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo". Da queste parole ‘ poetiche ‘ di effetto teatrale è partita l’idea di Cinema. Ma per noi il Cinema è altra cosa, ha altre dinamiche che sostanzialmente esulano dalla letterarietà e dalla teatralità. Le riserve ulteriori che abbiamo verso questo tipo di cinema sono varie, ne citiamo almeno due: trattare argomenti di tale importanza ( la società chiusa… la diversità e l’intolleranza portata a segregazione… la non democrazia di anni che ci hanno fatto credere in assoluto belli… Il family life…) senza avere nemmeno un briciolo di analisi politica, non diciamo ideologica, ma almeno civile, rende evanescente l’orrore, superficializza il tutto; seconda riserva, ci sarebbe piaciuto sapere almeno qualcosa degli altri esseri chiusi in un luogo come il manicomio e non solo vedere delle ombre stagliate sul fondo.
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renato volpone
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martedì 5 ottobre 2010
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film lento e faticoso
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Il film affronta una tematica più volta sviluppata nella storia del cinema, racconta una storia che si svolge in un presunto manicomio a partire dagli anni '60 ai giorni nostri (oggi esistono ancora manicomi gestiti dalle suore?). Forse il regista è un po' fuori dalla realtà e vuole raccontare qualcosa che sta nella sua fantasia, oppure vuole denunciare situazioni sociali di marginalità e sofferenza, ma si perde in un ripetuto "pio pio" e il risultato è confusione e noia. Assolutamente invedibile
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