lafcadio
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mercoledì 7 maggio 2008
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solita apologia a stelle e strisce
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Come inizio questo commento? Me lo chiedo perché mi imbarazza tornare su un discorso ormai trito: la solita morale hollywodiana che utilizza il cinema per propagandare un unico punto di vista, alquanto accomodante. I cattivi sono ben definiti e, come di consueto, restii ad accettare l'imposizione, diretta o meno che sia con governi fantocci, filo-americana. In questo caso lo spunto è dato da Karadzic che, per quanto colpevole di crimini, non è da meno rispetto ad un Pinochet o dalla realtà, tuttora presente, delle varie Guantanamo sparse in giro, quelle conosciute e non. Purtroppo il discorso cade sempre sui cattivi "residui" dell'impero sovietico e filo-simpatizzanti dello stesso. Questo va detto per onestà intellettuale, visto che l'attuale cinematografia considera il pubblico,in senso lato del tutto privo di strumenti critici(per non dire semi-deficente).
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Come inizio questo commento? Me lo chiedo perché mi imbarazza tornare su un discorso ormai trito: la solita morale hollywodiana che utilizza il cinema per propagandare un unico punto di vista, alquanto accomodante. I cattivi sono ben definiti e, come di consueto, restii ad accettare l'imposizione, diretta o meno che sia con governi fantocci, filo-americana. In questo caso lo spunto è dato da Karadzic che, per quanto colpevole di crimini, non è da meno rispetto ad un Pinochet o dalla realtà, tuttora presente, delle varie Guantanamo sparse in giro, quelle conosciute e non. Purtroppo il discorso cade sempre sui cattivi "residui" dell'impero sovietico e filo-simpatizzanti dello stesso. Questo va detto per onestà intellettuale, visto che l'attuale cinematografia considera il pubblico,in senso lato del tutto privo di strumenti critici(per non dire semi-deficente). Per quanto attiene alla ricostruzione accomodante, ma c'è bisogno di dirlo!, che ne fa R. Shepard aggiungo che è alquanto traballante e poco credibile con gli scontati colpi di scena: la CIA che arriva al momento giusto per salvare Gere dall'aguzzino di turno(più che cattivo con la frase tatuata in fronte:"sono morto quando son nato")che, tra l'altro, prende il giusto tempo per permettere ai "buoni" di arrivare, al pari della cavalleria in certi western ormai fuori moda -ò ma il modello resta invariato-. Per non dire di quelle frasi fatte che l'agente CIA pronuncia a, sia in risposta al giornalista Gere che a quanti si debbano sentire rassicurati sotto l'Egida dell'Agenzia:"la Cia ha tre colori:il bianco-le azioni visibili,il nero-quelle che non si devono conoscere e il grigio-ossia quella indefinita linea che opera tra il legale e l'illegale. Ciò per rispondere alla domanda del giornalista sul perché a distanza di anni sia l'Agenzia che l'ONU non sono stati in grado di trovare il Karadzic che i tre giornalisti hanno trovato in due giorni. Insomma possiamo dormire sonni tranquilli, la CIA veglia per noi nel bene e nel male. A parte queste frasi fatte che non dicono nulla e che giocano su una retorica ormai poco credibile(si suppone!), la pellicola ripete i soliti cliché: la vicenda personale del protagonista che ha perduto la sua donna, uccisa dal cattivo Karadzic, magari non direttamente ma questo poco importa; la motivazione personale, che coincide col senso di giustizia storico-collettivo,mirata a consegnare nelle mani giuste il criminale Karadzic(alla fine, infatti, verrà abbandonato in un villaggio musulmano perché la popolazione faccia quello che l'eroe americano non può fare,ossia linciarlo.Perché l'azione americana non poteva spingersi a ciò,ne sarebbe valso il prestigio morale che la vede protagonista delle azioni nobili e franche,atta a muovere le cose perché i finali scomodi vengano poi, fatalmente, delegati ad altri. Mi auguravo di vedere una pellicola tipo "I tre giorni del Condor", ma ho preso atto che Shepard non è Pollack. Mi chiedo se il maccartismo, ossia l'ostracismo da Holliwod di quanti non servissero l'apologia americana, sia solo una realtà degli anni passati (tra il 1947 e il 1957-60)o se invece si rivesta di nuove accezioni di stampo "democratico". Film di questo stampo mi portano a chiedermelo. Ma la risposta è lì.
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antonello villani
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martedì 6 maggio 2008
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i balcani sospesi tra dramma e commedia
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Il dramma bosniaco visto da tre giornalisti che cercano lo scoop del secolo. Siamo nella ex Jugoslavia, la telecamera gira senza sosta tra le strade martoriate dalle bombe mentre si consumano stupri e massacri di massa. Simon Hunt, reporter sprezzante del pericolo, perde il senno e pure il posto di lavoro dopo la morte della compagna; Duck, fido collega di lavoro, è un cameraman che si è guadagnato sul campo la promozione in un famoso network. Vite destinate ad incrociarsi cinque anni dopo la fine delle ostilità, quando una soffiata mette i due amici sulle tracce di un pericolosissimo criminale di guerra ricercato da tutte le organizzazioni internazionali. Tratto da una storia vera, “The Hunting Party” è una commedia amara che ripercorre la tragedia dei Balcani attraverso il dramma personale di un giornalista il cui unico scopo è consegnare alle autorità il feroce responsabile dei crimini contro l’umanità.
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Il dramma bosniaco visto da tre giornalisti che cercano lo scoop del secolo. Siamo nella ex Jugoslavia, la telecamera gira senza sosta tra le strade martoriate dalle bombe mentre si consumano stupri e massacri di massa. Simon Hunt, reporter sprezzante del pericolo, perde il senno e pure il posto di lavoro dopo la morte della compagna; Duck, fido collega di lavoro, è un cameraman che si è guadagnato sul campo la promozione in un famoso network. Vite destinate ad incrociarsi cinque anni dopo la fine delle ostilità, quando una soffiata mette i due amici sulle tracce di un pericolosissimo criminale di guerra ricercato da tutte le organizzazioni internazionali. Tratto da una storia vera, “The Hunting Party” è una commedia amara che ripercorre la tragedia dei Balcani attraverso il dramma personale di un giornalista il cui unico scopo è consegnare alle autorità il feroce responsabile dei crimini contro l’umanità. Il regista Richard Shepard inizia una caccia all’uomo tra i territori impervi del Montenegro, accusa i servizi segreti di connivenza e denuncia patti scellerati con i governi occidentali. Esempio di amicizia virile che sconfina nelle affinità elettive, la coppia Gere/Howard si ritrova con telecamera e microfono in mano per chiudere i conti con un passato che minaccia di tornare. Una vita vissuta pericolosamente ed una bella prova di giornalismo che non arretra nemmeno dinanzi alla morte.
Antonello Villani
(Salerno)
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angela cinicolo
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venerdì 2 maggio 2008
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the hunting party (parte 2)
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continua da parte 1 --> The hunting party non è un film documentario sebbene non manchino immagini, drammatiche, che rivelano le buone intenzioni del regista, che eredita lo svisceramento del conflitto balcanico da Emir Kusturica in Underground: il postguerra viene mostrato come uno sfregio a città ormai irriconoscibili, una perpetuazione della tensione e del terrore, un trauma che trasforma le donne in ombre. La sua espansività satirica, che domina i toni e si sostituisce alle trite e ritrite recriminazioni occidentali che altrove siamo obbligati a sorbirci, lo distanzia da soluzioni prevedibili e alleggerisce un ritmo narrativo che rende avvincente una storia, vera. Quando il cinema si mette al servizio della comunicazione civile e destabilizzante, mentre gli altri dormono davanti alle campagne elettorali d’oltreoceano e chi sbaglia, ancora, non ha pagato.
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continua da parte 1 --> The hunting party non è un film documentario sebbene non manchino immagini, drammatiche, che rivelano le buone intenzioni del regista, che eredita lo svisceramento del conflitto balcanico da Emir Kusturica in Underground: il postguerra viene mostrato come uno sfregio a città ormai irriconoscibili, una perpetuazione della tensione e del terrore, un trauma che trasforma le donne in ombre. La sua espansività satirica, che domina i toni e si sostituisce alle trite e ritrite recriminazioni occidentali che altrove siamo obbligati a sorbirci, lo distanzia da soluzioni prevedibili e alleggerisce un ritmo narrativo che rende avvincente una storia, vera. Quando il cinema si mette al servizio della comunicazione civile e destabilizzante, mentre gli altri dormono davanti alle campagne elettorali d’oltreoceano e chi sbaglia, ancora, non ha pagato.
Angela Cinicolo, The hunting party
da Acchiappafilm Anno 3 Numero 10
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imagna
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domenica 9 gennaio 2011
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storia avvincente ma pessimo film
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Bella e avvincente la storia ma credo nella realizzazione del film si sarebbe potuto fare decisamente meglio. Le scene ironiche, che dovrebbero alleggerire la drammaticità di quelle più tragiche, finiscono con l'essere eccessivamente ridicole. La prestazione di Gere tutto sommato è discreta, anche se non mi piacciono la fisicità e le movenze di tutto ciò che non sia il volto. Gli altri attori sembrano però muoversi come spettatori della prestazione di Gere, con pochi momenti recitativi propri. Buon Eisenberg, nonostante non abbia la faccia da cinema. Molto bella la fotografia.
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angela cinicolo
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venerdì 2 maggio 2008
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the hunting party (parte 1)
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Un film in cui uno dei protagonisti si autodefinisce “immorale” nei primi cinque minuti non deve a tutti i costi superare le tenaglie della censura, ma lanciare un segnale al suo spettatore, stringere con lui un patto tacito, formulare una promessa: quella di non configurarsi come un war movie violento e iracondo, al contrario, smorzare i toni inevitabilmente tragici con un’ironia e un anticonformismo che lo contraddistinguano. E The hunting party la mantiene fino alla fine la sua parola.
Ambientata in Bosnia, al quinto anniversario della fine della guerra tra serbi e musulmani, la nuova pellicola di Richard Shepard (nomination al Golden Globe nel 2005 per Matador) racconta le guerre che vivono i popoli di nazioni sfracellate dagli opportunismi legittimati dalle istituzioni e descrive le guerre personali che gridano vendetta.
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Un film in cui uno dei protagonisti si autodefinisce “immorale” nei primi cinque minuti non deve a tutti i costi superare le tenaglie della censura, ma lanciare un segnale al suo spettatore, stringere con lui un patto tacito, formulare una promessa: quella di non configurarsi come un war movie violento e iracondo, al contrario, smorzare i toni inevitabilmente tragici con un’ironia e un anticonformismo che lo contraddistinguano. E The hunting party la mantiene fino alla fine la sua parola.
Ambientata in Bosnia, al quinto anniversario della fine della guerra tra serbi e musulmani, la nuova pellicola di Richard Shepard (nomination al Golden Globe nel 2005 per Matador) racconta le guerre che vivono i popoli di nazioni sfracellate dagli opportunismi legittimati dalle istituzioni e descrive le guerre personali che gridano vendetta.
“La storia già pubblicata in America” (come afferma malizioso uno dei personaggi)
s’ispira al reportage “What I did on my summer vacation” del giornalista Scott Anderson apparso nel 2000 sull’“Esquire” e sciorina l’avventura eroica di tre giornalisti intenti ad acciuffare il mostro di guerra Boghdanovic, conosciuto anche come la Volpe per la sua passione per la caccia alle volpi, oltre che agli uomini. Il pericolosissimo criminale, responsabile di aver trasformato in groviera gli edifici di Sarajevo e di aver macinato donne e bambine tra polvere esangue, è ricercato da CIA, ONU, NATO, AJA e chi più ne ha, più ne metta. Peccato solo che il latitante se ne stia ancora a piede libero nel villaggio dei dannati di Celici, dove i suoi disgraziati accoliti e i suoi brutali energumeni lo proteggono dai nemici. Protagonista dell’intrepida missione Simon Hunt, reporter della contro-informazione, spiritoso generatore d’invettive civili, baldo uomo alla deriva, un convincente Richard Gere che matura come il brandy spagnolo. Lo affiancano Duck, suo ex compagno di riprese, il Sancho Panza che, divertito, gli regge il gioco, mettendo a repentaglio la sua relazione con una bellona che ci fa gli occhi dolci da bordo piscina o da sopra un yacht, interpretato dal gemello (ma non per età) buono di Samuel L.Jackson, Terrence Howard, che abbiamo potuto apprezzare in Crash (Paul Haggis, 2004) e il pivellino di Harvard, Benjamin, figlio del vicedirettore del network, cervello del trio che si lancia allo sbaraglio per dimostrare al padre padrone la propria bravura. I tre giornalisti attraversano il Paese a bordo di un catorcio per accalappiare la Volpe mettendo a rischio le loro vite e i loro destini, ma vengono scambiati per agenti federali. Il rimedio risulta migliore del male perché grazie all’involontario escamotage si mettono in contatto con Mirjana (Diane Kruger), vittima di guerra, vittima della Volpe, che, per diritto di rivalsa, li aiuterà a raggiungere l’uomo da 5 milioni di dollari che ha sottratto all’azienda di famiglia il potere sul mercato di benzina. --> continua
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