Il grande silenzio |
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Un film di Philip Gröning.
Titolo originale Die grosse Stille.
Religioso,
durata 162 min.
- Germania 2005.
uscita venerdì 31 marzo 2006.
MYMONETRO
Il grande silenzio
valutazione media:
3,42
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Una scelta eversiva nella società pluralistadi Salvatore ScagliaFeedback: 2256 | altri commenti e recensioni di Salvatore Scaglia |
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domenica 3 gennaio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
In un’intervista il regista Philip Gröning (qui pure sceneggiatore, fotografo e montatore) ha dichiarato di aver voluto girare questo film anche per dare l’idea, alla società contemporanea, di un’altra possibilità esistenziale: quella del monaco. Orbene, la perspicacia di tale movente mi è stata confermata proprio in sala, durante la visione della pellicola: infatti, un gruppuscolo di persone, preso sovente da sarcastiche risate, ha deciso durante l’intervallo di rinunciare al secondo tempo. Scelta tanto saggia - il prosieguo della proiezione è trascorso senza altri disturbi (è il caso di dire: in religioso silenzio) - quanto stolta, almeno perché, pagato il biglietto, sarebbe ragionevole assistere all’intero spettacolo. La circostanza comunque è sintomatica di quanto certi ambienti, come quello monastico, possano essere oggi talmente estranei alla cultura (?) corrente da risultarle addirittura ridicoli. Il lungometraggio (di 162’) - titolo originale "Die Grösse Stille" -, girato con i frati certosini della Grande Chartreuse nei pressi di Grenoble, in realtà è fiction in un senso singolarissimo: i monaci non recitano; non imitano nessuno, ma svolgono la loro vita quotidiana dinanzi all’occhio discreto della macchina da presa del cineasta tedesco, riuscito - diciannove anni dopo il suo primo incontro con il Priore generale dell'ordine - ad ottenere il permesso di riprendere l’interno di un monastero certosino. Con tale tatto che, anche nella successiva confezione cinematografica attraverso il montaggio, non è aggiunta alcuna voce fuori campo, alcuna colonna sonora. Unici momenti di minima ‘violazione’, da parte dell’autore, dell’incontaminata ordinarietà monacale sono rappresentati da brevissimi intermezzi contenenti qualche pericope della Sacra scrittura, tra cui: << Tu mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre >> (cf. Geremia 20, 7). Il resto è lasciato alla natura (l’alternarsi dei giorni – alba e tramonto – nonché delle stagioni – sole e neve -; i monti in mezzo ai quali il monastero è sapientemente incastonato) e ai religiosi stessi, il cui dinamismo è intessuto sì di viva spiritualità (ricorrenti sono le adunate per l’ufficio comune e per l’Eucarestia; le orazioni nel privato delle celle), ma anche di gesti profani (dalla preparazione dei frugalissimi pasti alla realizzazione del saio per i nuovi confratelli, tra tele, bottoni, ago e filo). A denotare che persino loro, pure questi "separati dal mondo" (questo significa "monakhòs" in greco) necessitano di atti materiali, che non disprezzano (è significativo che anche presso i tavoli da lavoro vi siano delle immagini sacre), ma collocano nella giusta dimensione: tutto è santo, se fatto santamente. Quest’esistenza silenziosa, dunque, apparentemente ritmata e monocorde, è in realtà rivoluzionaria, controcorrente, in un mondo che si dice pluralista, ma che sovente con inaccettabili e paradossali monismi (i suoi clichés) rigetta, tra manifesti disprezzi e surrettizie ironie, una diversa possibilità, una vocazione: << Tu mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre >>.
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