Il grande silenzio

Liana Messina

Ha dovuto attendere più di 20 anni per veder realizzato il suo sogno, 18 per convincere i diretti interessati e ottenere un sì, 2 per trovare i 700 mila euro di budget. 6 mesi per girare 120 ore di riprese, condensate alla fine in un film di 162 minuti. Philip Gròning deve per forza avere fra le sue qualità pazienza e perseveranza, condizioni indispensabili per un progetto come il suo, raccontare in un documentario Il grande silenzio, la vita dei monaci certosini, ordine di clausura tra i più rigidi della Chiesa cattolica. Ha condiviso per oltre 4 mesi le loro regole, i ritmi di preghiera e lavoro, l'essenzialità delle cene, la solitudine: e prima d'ogni cosa il precetto fondamentale, il silenzio. Un'assenza di parole che è diventata anche la cifra dell'opera.
«La mia prima idea, in realtà», spiega il regista, «era un film sul concetto del tempo. Solo in seguito si è concretizzata sposandola all'esperienza in un monastero: cercavo un modo per me, e per gli spettatori, d'incontrare se stessi, di riuscire ad avere una percezione profonda del tempo, senza che fosse sovrastata dal linguaggio o dal percorso narrativo. In un film silente non viene disturbata da nulla, è spinta in superficie in modo puro, assoluto. L'immagine che mi ha guidato è quella d'una nuvola integra, mai corrotta», Scelto come luogo a maestosa "Grand Chartreuse", casa madre dell'ordine nascosta tra le Alpi francesi, il difficile era farsi aprire le porte: visitatori e turisti vengono tenuti alla larga, a nessuno era mai stato dato il permesso di filmare i monaci, gli ultimi due giornalisti ammessi risalgono al 1960 e fu loro concessa solo qualche immagine del monastero. Al primo approccio, 18 anni fa, Gròning ricevette dal Priore Generale un no deciso, perché "i tempi non erano maturi. Magari fra una decina d'anni...". Nel 1999, invece, una chiamata, "se fosse ancora interessato, potrebbe essere il momento". L'ok veniva insieme a limitazioni precise e durissime: solo lui. senza alcuna équìpe che lo aiutasse, nessuna luce artificiale o musica aggiuntiva, niente commento o interviste.
«È strano, ma queste condizioni corrispondevano interamente alla mia idea originale, così non sono state affatto un problema». Il suo sguardo entra timidamente, con scorci d'angolo, nelle celle di alcuni monaci, ti segue nelle principali attività, lettura e meditazione, i pasti preparati e consumati da soli, il ripetersi quasi ipnotico dei gesti, il suono della campana che scandisce doveri; ritrae pochi momenti comuni, canti e preghiere notturne illuminate solo dalle luci dei ceri, i pranzi domenicali, una rara e gioiosa gita tra i monti innevati. le visite dal "fratello" sarto, da quello che si occupa di tagliare barba e capelli, unici segni dello scorrere delle stagioni. Poche inquadrature intense dei loro volti, un'attenzione ai dettagli. alle piccole cose (i bottoni, una mela tagliata), per ritrarre senza parole un'armonia profonda, lontana dal nostro rumoroso quotidiano. Un film difficile" che ha vinto premi a vari Festival e che a sorpresa a Natale, in Germania, ha richiamato oltre 25 mila spettatori, che l'hanno preferito a Harry Potter. «Per me è stata l'occasione di entrare in un altro mondo, il privilegio di vivere in una comunità che non ha paure: per loro la morte è solo transizione. Tutto ciò m'ha cambiato: spero che lo spettatore sperimenti questa stessa spinta verso la comprensione, l'ascolto delle cose».
Da D di Repubblica, 25 marzo 2006


di Liana Messina, 25 marzo 2006