elgatoloco
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lunedì 21 settembre 2020
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the terminal is out
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"THe Terminal"(Steven Spielberg, da un soggetto di Andrew Nicoll e Sacha Gervasi, sceneggiatura di Gervasi con Jeff Nathanson, 2004)rimane,nella filmlgrafia spielberghiana , un hapax,un unicum, in quanto non tratta di fenomeni extra.terresti(ET etc.)né "extra.ordinari"(i primi film)anche s e reali né di sualit né di Shoah, ma non per questo è meno importnate: la problema dell'"ewiger Jude", dell'"Ebreo errante, che qui non è Ebreo ma dislocato-deterrititorializzato come Slavo apolide, di un paese che è in guerra e poi non lo è più... che comunque non può accedere negli States e preicsamente a New York(dove in realtà si recherrebbe solo per ricevere un autografo di un jazzista che il padre, illis temporibus, non aveva potuto ottenere).
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"THe Terminal"(Steven Spielberg, da un soggetto di Andrew Nicoll e Sacha Gervasi, sceneggiatura di Gervasi con Jeff Nathanson, 2004)rimane,nella filmlgrafia spielberghiana , un hapax,un unicum, in quanto non tratta di fenomeni extra.terresti(ET etc.)né "extra.ordinari"(i primi film)anche s e reali né di sualit né di Shoah, ma non per questo è meno importnate: la problema dell'"ewiger Jude", dell'"Ebreo errante, che qui non è Ebreo ma dislocato-deterrititorializzato come Slavo apolide, di un paese che è in guerra e poi non lo è più... che comunque non può accedere negli States e preicsamente a New York(dove in realtà si recherrebbe solo per ricevere un autografo di un jazzista che il padre, illis temporibus, non aveva potuto ottenere). Mefaflra che dunque"byoassa"anche la "favola bella"del"buon Migrante"e guarda molto pià in là, quasi in direzione di Abraham.D a vedere, considerare e apprezzare, dato che, oltre a uno strepitoso Tom Hanks, che è ancora più in parte che in"FOrrest Gump", dando luogo a uno sfaccettamento di personaggi, notevolissimo, qui c'è anche Catherina Zeta.Jones, bellissima quanto brava, ma anccora Stanley Tucci, nella parte del rigido"controllore"(quasi un "megadirettore galattico "made in the USA, almeno quanto al ristretto spazio del" terminal"dell'aereoporto della più grnade(almeno credo)town of the world, che in ogni modo gli impedisce l'ingresso sul suolo suolo statuninse, ma diviene poi tollerante quando si rende conto che le esibizioni muscolari sergono a poco, almeno con quel"soggetto". Ancora Zoe Saldan e Diego Luna, pareja(coppia)di Latinos innamorati e non solo, in un film dove anche ogni elemento architettonico è perfettamente"situato"... El Gato
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elgatoloco
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lunedì 25 novembre 2019
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decisamente interessante, molto "spielberg"
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Al di là di commenti positivi o di stroncature, credo che questo"The Terminal"di Steven SPielberg abbia ricevuto apprezzamenti e comunque anche solo discussioni minori, forse perché non è una"grande narrazione", come erano "IT", prima ancora "Close Encounters of the Third Kind"e cito questi film , ma anche naturalmente"Schindler's List"proprio come esempio di grandi narrazioni, qui, invece, siamo sul"co^té"più lirico della soggetività, anzi quasi dell'indibidualità, con la storia di un immigrato, che perà vuole andare a New York solo per l'autografo di un jazzista, che manca nella collezione del padre, ormai defunto, Solo che nel suo paese scoppia la guerra, per cui negli States(ma forse anche altrrove, la vicenda è ispirata a un caso reale, di un"apolide temporaneo"all'aerepprto Charles de Gaulle di Parigi)diviene un apolide e non può lasciare the terminal, intrecciando la sua vicenda con le centinaia(o migliaia)di altre microstorie che pervadono il temrinal stesso, fondendosi in qualche modo, pur rimanendo distinte.
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Al di là di commenti positivi o di stroncature, credo che questo"The Terminal"di Steven SPielberg abbia ricevuto apprezzamenti e comunque anche solo discussioni minori, forse perché non è una"grande narrazione", come erano "IT", prima ancora "Close Encounters of the Third Kind"e cito questi film , ma anche naturalmente"Schindler's List"proprio come esempio di grandi narrazioni, qui, invece, siamo sul"co^té"più lirico della soggetività, anzi quasi dell'indibidualità, con la storia di un immigrato, che perà vuole andare a New York solo per l'autografo di un jazzista, che manca nella collezione del padre, ormai defunto, Solo che nel suo paese scoppia la guerra, per cui negli States(ma forse anche altrrove, la vicenda è ispirata a un caso reale, di un"apolide temporaneo"all'aerepprto Charles de Gaulle di Parigi)diviene un apolide e non può lasciare the terminal, intrecciando la sua vicenda con le centinaia(o migliaia)di altre microstorie che pervadono il temrinal stesso, fondendosi in qualche modo, pur rimanendo distinte... Storie, microstorie, decisivamente separate ma convergneti, con quella che coinvolge il protagonista, che sogna(lo dirò incoativamente)un sogno d'amore con una quasi sconosciuta decisamente in crisi sentimentale... Tom Hanks è qui una sorta di "Forrest Gump"redivivo, dopo un quarto di secolo, ma il personaggio è più"shockato", gettato nel microcosmo difficile del Terminal che un"minorato"come, al netto di ogni valutazione diversa, finiva per essere nel film di Zemeckis... Catherina Zeta Jones, quai quale donna in crisi p forse ancora più efficace, per dire solo dei personaggi principali. Valutazioni iperpositive mi parrebbero eccessive, ma il film coglie molto bene come una microrealtà di un"non luogo"(Marc Augé)possa diventare un luogo concentrazionario, quando la sua direzione p assunta da uno sgherro promosso a super-capo, dove l'interpretazione di Stanley Tucci è invero decisamente notevole, il che sembra da sottolineare. Un film da microstorie, insomma, la cui qualità però è innegabile, anche se forse meno"gridata"e meno evidente... El Gato
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rmarci 05
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martedì 25 giugno 2019
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una commedia divertente ma troppo sentimentale
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S. Spielberg, dopo l’eccellente e brillantissimo Prova a prendermi, torna alla commedia con, in aggiunta, una critica sottesa ed efficace, anche se poco feroce, al sistema governativo di un’America sempre più diffidente ed intollerante nei confronti dello straniero, che dunque fatica ad integrarsi nella società. Infatti, la metafora del protagonista che rimane bloccato in aeroporto rappresenta l’impossibilità di un uomo di identificarsi con una nazionalità, dato che rimane praticamente sospeso tra due Paesi dalle culture totalmente differenti. Un tema molto attuale, quindi, penalizzato dall’insopportabile sentimentalismo tipico delle più convenzionali commedie hollywoodiane.
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S. Spielberg, dopo l’eccellente e brillantissimo Prova a prendermi, torna alla commedia con, in aggiunta, una critica sottesa ed efficace, anche se poco feroce, al sistema governativo di un’America sempre più diffidente ed intollerante nei confronti dello straniero, che dunque fatica ad integrarsi nella società. Infatti, la metafora del protagonista che rimane bloccato in aeroporto rappresenta l’impossibilità di un uomo di identificarsi con una nazionalità, dato che rimane praticamente sospeso tra due Paesi dalle culture totalmente differenti. Un tema molto attuale, quindi, penalizzato dall’insopportabile sentimentalismo tipico delle più convenzionali commedie hollywoodiane. Quando Spielberg non riesce a contenersi sotto questo punto di vista, fa cadere i suoi film in alcune banalità , e The Terminal ne è un esempio. Comunque un buon film, non eccezionale, ma piacevole e divertente grazie soprattutto alla bravura di T. Hanks e di S. Tucci, antagonista veramente notevole. Meno meritevole invece è la stereotipata storia d’amore che il protagonista ha con il personaggio di C. Z. Jones.
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gustibus
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martedì 23 maggio 2017
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ah che magnifico spielberg!
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Vedete per me e'uno dei migliori film di Spielberg...il personaggio di Viktor Navoski e'qualcosa di eccezionale!merito di un Tom Hanks da oscar..proveniente da un paese fantasy..che si trova in un terminal AMERICANO e non puo'uscire per burocrazia e altre cose.La superiorita'del racconto e'su come vive le settimane/mesi che passerà li...diventa un film alla "Frank Capra"... Persino la Zeta Jones e'da oscar ...fa la hostess e viene attratta da Victor...poi ce'il pulitore dell'aeroporto grande caratterista...che fa da giocoliere mentre Hanks fa una cena snob con la bellissima Jones...ma ci sono altre decine di straordinarie situazioni che...vanno viste.
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Vedete per me e'uno dei migliori film di Spielberg...il personaggio di Viktor Navoski e'qualcosa di eccezionale!merito di un Tom Hanks da oscar..proveniente da un paese fantasy..che si trova in un terminal AMERICANO e non puo'uscire per burocrazia e altre cose.La superiorita'del racconto e'su come vive le settimane/mesi che passerà li...diventa un film alla "Frank Capra"... Persino la Zeta Jones e'da oscar ...fa la hostess e viene attratta da Victor...poi ce'il pulitore dell'aeroporto grande caratterista...che fa da giocoliere mentre Hanks fa una cena snob con la bellissima Jones...ma ci sono altre decine di straordinarie situazioni che...vanno viste...e la fine...troppi bella per raccontare la.Un quadro cinematografico da vedere!
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great steven
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mercoledì 14 settembre 2016
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inaccettabile e in una falla? non è un problema!
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THE TERMINAL (USA, 2004) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da TOM HANKS, CATHERINE ZETA-JONES, STANLEY TUCCI, CHI MCBRIDE, DIEGO LUNA, BARRY SHABAKA HENLEY, KUMAR PALLANA, ZOE SALDANA
Viktor Navorski arriva al JFK Airport di New York dalla Krakhozia, immaginario paese geograficamente sito nella regione caucasica, mentre nella sua terra scoppia la guerra civile. Il direttore dell’aeroporto Frank Dickson gli comunica la sua condizione di apolide, in quanto la sua cittadinanza d’origine non può essere riconosciuta per colpa del conflitto e al contempo egli non può accedere negli Stati Uniti per problematiche legate ai documenti, e dunque si vede rifiutare il visto d’ingresso.
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THE TERMINAL (USA, 2004) diretto da STEVEN SPIELBERG. Interpretato da TOM HANKS, CATHERINE ZETA-JONES, STANLEY TUCCI, CHI MCBRIDE, DIEGO LUNA, BARRY SHABAKA HENLEY, KUMAR PALLANA, ZOE SALDANA
Viktor Navorski arriva al JFK Airport di New York dalla Krakhozia, immaginario paese geograficamente sito nella regione caucasica, mentre nella sua terra scoppia la guerra civile. Il direttore dell’aeroporto Frank Dickson gli comunica la sua condizione di apolide, in quanto la sua cittadinanza d’origine non può essere riconosciuta per colpa del conflitto e al contempo egli non può accedere negli Stati Uniti per problematiche legate ai documenti, e dunque si vede rifiutare il visto d’ingresso. Nei nove mesi che rimane intrappolato contro la sua volontà nell’aeroporto, Viktor impara il basic english, ristruttura i bagni e altre impalcature della struttura sfruttando le sue conoscenze e abilità da imprenditore edile, si fa nuovi amici, mangia numerose pietanze diverse, trova e conosce l’amore in una hostess morbosamente insicura che in lui individuerà un porto d’arrivo sentimentale. Per tutta la durata dei nove mesi, Dickson farà tutto quanto è in suo potere per impedire a Viktor di accedere negli States, convinto che si tratti di un rifugiato politico, un fuggiasco o addirittura una spia al soldo dei servizi segreti, ma il bonario e determinato imprenditore avrà infine la meglio, e riuscirà ad assolvere il compito affidatogli dal padre in punto di morte: recuperare la firma di un sassofonista jazz di pelle scura con cui suo padre aveva suonato negli anni 1950, l’unico dei cinquantasette musicisti che non gli aveva ancora lasciato un autografo prima della sua dipartita, mentre gli altri cinquantasei sono gelosamente custoditi da Navorski figlio in un comune barattolo di noccioline. Una commedia intelligente il cui tema principale ruota attorno all’integrazione fra culture diverse, e il luogo scelto per ospitare lo svolgimento delle vicende è, non casualmente, un aeroporto, il posto migliore per fungere da crocevia per personalità provenienti da realtà culturali e geografiche decisamente agli antipodi, e non è nemmeno un caso che i tre uomini con cui Viktor stringe amicizia sono un afroamericano, un indiano e un ispanico. Messe da parte le questioni giuridiche e civili, l’attenzione del terzo film di Spielberg con Hanks si concentra sulla struttura ingannevole degli equivoci, sullo strapotere di cui sono investiti i commissari generali delle principali istituzioni americane, sulle competenze pregresse e acquistabili da parte di chi visita una nazione straniera, sui rapporti d’amore e d’amicizia che nascono in posti di passaggio, sull’importanza del passato e la sua influenza riguardo il proseguimento dei fatti presenti e sul bisogno insopprimibile dell’amore per la serenità e lucidità della vita. Per nulla sofisticato, il film si mantiene con costanza su un registro di intermedia leggerezza, facendo scorrere piacevolmente le due ore di durata attraverso un incastro di gag che non scadono mai nella ripetitività, rispettano in modo magnifico i tempi comici e non perdono mai di vista la rilevanza ottimale della storia, accompagnando il percorso di crescita interiore del simpaticissimo protagonista con episodi di vita quotidiana in cui la sceneggiatura riesce sempre a scovare un aspetto positivo, ottimistico e di continua ostinazione alla banalità. Esemplari, a questo proposito, sono alcune sequenze di splendido rigore stilistico: le pressanti richieste di Navorski non appena giunto nell’ufficio della direzione, quando ancora non sa esprimersi in inglese; i ruzzoloni sul pavimento bagnato, occasione determinante per l’incontro con Amelia Warren, l’assistente di volo quasi psicolabile ma in fondo risoluta; i pasti abbondanti e compiaciuti che il personaggio principale va cercando ossessivamente, quasi sempre merito di un favore compiuto per conto di altri e celanti sorprese divertentissime ai fini della vicenda; i lavori di restauro dei muri decadenti, in cui Viktor dà prova della sua perizia nel lavoro edile; il lavoro di traduzione del contadino russo che tenta di introdurre nel Paese alcuni medicinali considerati erroneamente illegali; l’amicizia che nasce con l’impiegata che convalida i visti d’ingresso, la quale poi si sposerà col mulattiere di madrelingua spagnola che la corteggia a lungo; la soave e ovattata scena amorosa fra Amelia e Viktor, in cui il secondo spiega alla prima i motivi autentici della sua trasferta, correlati ad una promessa a cui non può mancare, ma anche ad una ragione che fin da subito si rivela non certo di secondo piano, ovvero la ricerca dell’amore. Una compagine di attori estremamente affiatati e coadiuvati da una sceneggiatura attenta ai dettagli e costruita per confezionare al pubblico un prodotto intelligente e ragionato, contrario ad ogni forma di xenofobia e favorevole alla pacifica assimilazione fra i popoli, capace perfino di ironizzare su argomenti serissimi e all’apparenza inattaccabili sul piano comico come sono appunto l’apolidia, la negazione dei documenti d’imbarco, i conflitti armati civili e la permanenza forzata in luoghi tutt’altro che adibiti ad un soggiorno prolungato. T. Hanks e C. Zeta-Jones eccezionali, mentre S. Tucci brilla nel ruolo di un insolito antagonista, malato di potere decisionale, paranoico, assetato di vendetta e ferocemente ligio al senso del dovere. Spielberg raddoppia il tiro mettendo in campo una regia sobria, quasi evanescente, il cui tocco, però, si riconosce nella dovizia di dettagli, nella precisione esecutiva dei contributi tecnici, nel tema musicale ricorrente che cade puntualmente al momento opportuno e nella rappresentazione della lieta fine che tuttavia non viene cercata in maniera forzata, ma raggiunta dopo un lungo, tribolato e sofferto calvario di peripezie, caratteristica immancabile nel suo repertorio cinematografico. Fra i suoi inossidabili collaboratori di sempre, anche qui compare il direttore della fotografia Janusz Kaminski.
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aristoteles
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giovedì 14 aprile 2016
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le promesse si mantengono.
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È una commedia divertente e molto originale che non nasconde tratti di profonda tenerezza.
Tom Hanks è un grande attore e lo dimostra anche questa volta regalandoci un personaggio di devastante simpatia.
Viktor finisce con conquistare tutti grazie a una gentilezza fuori dal comune e tutti gli spettatori sperano che riesca a portare a termine il suo piccolo grande sogno,una promessa fatta al padre.
A parte qualche eccesso come la storia d'amore e qualche avvenimento che sfiora il surreale,il prodotto finale è assolutamente apprezzabile.
Il tema immigrazione/accoglienza viene tutto sommato affrontato in maniera superficiale ma non credo fosse questo lo scopo del regista.
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È una commedia divertente e molto originale che non nasconde tratti di profonda tenerezza.
Tom Hanks è un grande attore e lo dimostra anche questa volta regalandoci un personaggio di devastante simpatia.
Viktor finisce con conquistare tutti grazie a una gentilezza fuori dal comune e tutti gli spettatori sperano che riesca a portare a termine il suo piccolo grande sogno,una promessa fatta al padre.
A parte qualche eccesso come la storia d'amore e qualche avvenimento che sfiora il surreale,il prodotto finale è assolutamente apprezzabile.
Il tema immigrazione/accoglienza viene tutto sommato affrontato in maniera superficiale ma non credo fosse questo lo scopo del regista.
Piuttosto ci fa riflettere sull'amore familiare.
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andrea alesci
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venerdì 24 luglio 2015
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le promesse sospese dentro una falla
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Semplicemente ‘inaccettabile’. È il destino di Viktor Navorski, apolide per un colpo di Stato alla sua Krakozhia e bloccato nella sala arrivi dell’aeroporto JFK. Catapultato nell’anticamera degli Stati Uniti d’America, Viktor Navorski è il piccolo grande eroe che anima con grazia magistrale il film diretto da Steven Spielberg, l’uomo finito in una falla del sistema ma ligio nell’attendere, come ordinatogli dal ferreo commissario Frank Dixon (Stanley Tucci).
Ed è grandioso vedere come Tom Hanks caratterizzi un personaggio che meglio non potrebbe riflettere la condizione dello straniero, così affine a quella di un bambino, che tutto deve imparare per adattarsi alle incomprensibili regole del mondo adulto.
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Semplicemente ‘inaccettabile’. È il destino di Viktor Navorski, apolide per un colpo di Stato alla sua Krakozhia e bloccato nella sala arrivi dell’aeroporto JFK. Catapultato nell’anticamera degli Stati Uniti d’America, Viktor Navorski è il piccolo grande eroe che anima con grazia magistrale il film diretto da Steven Spielberg, l’uomo finito in una falla del sistema ma ligio nell’attendere, come ordinatogli dal ferreo commissario Frank Dixon (Stanley Tucci).
Ed è grandioso vedere come Tom Hanks caratterizzi un personaggio che meglio non potrebbe riflettere la condizione dello straniero, così affine a quella di un bambino, che tutto deve imparare per adattarsi alle incomprensibili regole del mondo adulto. Ogni sforzo di Viktor Navorski è teso ad apprendere, a rendere proficuo quell’indefinito tempo d’attesa nel quale è stato precipitato, uno e indistinto nella moltitudine del non-luogo per eccellenza, di una prigione luccicante di colori, suoni e persone.
Ma in quel forzoso micromondo Viktor Navorksi non perde il sorriso e, nonostante tutti i guai che gli accadono, sono disarmanti la sua gentilezza e la commovente perseveranza nel guardare al lato positivo. Così lo seguiamo nell’imparare la lingua inglese, nel raccogliere i carrelli abbandonati per ricavarne monetine, nell’aiutare Enrique Cruz (Diego Luna) a conquistare il cuore dell’agente Dolores Torres (Zoe Saldana), nel cercarsi un lavoro per un piatto di cannelloni con l’attraente Amelia Warren (Caterine Zeta-Jones). E nelle sue goffaggini, fra gli errori di pronuncia, nelle ingenue espressioni si celano risate che ci fanno amare senza riserve Viktor Navorski.
Capace di essere frizzante, morbida e malinconica, la musica di John Williams si mescola perfettamente alle note jazz che sentiamo mentre Viktor lavora (assunto come manovale in nero); e scopriamo solo allora che è proprio il jazz a riempire quel barattolo di noccioline custodito come un prezioso sogno nel vecchio Gate 67. Mentre l’aerea penna di Sacha Gervasi & Jeff Nathanson ribalta la prospettiva kafkiana dell’uomo perseguitato dalla burocrazia, facendone la volitiva speranza a evadere dal paradosso. Viktor Navorski è continuamente messo alla prova, ma ogni volta riesce a inventarsi una soluzione: fa restituire a un uomo russo le medicine per il padre morente. E ogni volta riesce a stupirci: per Amelia costruisce una replica della fontana che Napoleone donò a Giuseppina. E arriva a commuoverci, quando scopriamo che nel barattolo vi è la promessa fatta al padre sul letto di morte: andare a New York City per l’autografo mancante alla collezione dei più grandi jazzisti.
Eppure, anche quando la Krakozhia viene liberata, rimane un ostacolo fra Viktor Navorski e la città di New York: Dixon, che gli sbarra la strada con la minaccia a quelli che al JFK sono diventati suoi amici. Viktor desiste, ma il vecchio Gupta (Kumar Pallana) si sacrifica per lui. E il sorriso del serioso agente Thurman (Barry Shabaka Henley) è il lieto lasciapassare che sovverte il meccanismo delle leggi, il buonsenso che si concentra sulle persone e spalanca a Viktor Navorski le porte dell’America. Il gelido vento dell’inverno spazza il marciapiede innevato del JFK, Viktor si tuffa nel sogno di suo padre per regalarlo a lui, a sé, a tutti noi. Perché in fondo siamo tutti Viktor Navorski, tutti in attesa con il nostro barattolo di promesse. E nel Terminal che il designer Alex McDowell ha ricostruito per Steven Spielberg si compie questa piccola grande magia.
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alexander 1986
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venerdì 31 ottobre 2014
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il terminal di kafka
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Terminal dell'aeroporto di New York. Viktor Navorski (Tom Hanks), uomo ingenuo e bonario, sbarca nella città americana per esaudire un vecchio sogno. Le autorità gli impediscono però di uscire dal terminal perché il suo passaporto non risulta valido: proprio durante il viaggio, infatti, nella nazione di Viktor (l'immaginaria Krakozhia, qualsiasi riferimento è casuale) è avvenuto un golpe. Si dà il caso che egli non possa neppure tornare a casa. Che fare? L'apolide Viktor, deciso a sbarcare comunque in America ma da uomo libero, imparerà a vivere nel terminal come una specie di Robinson Crusoe. Si farà amici qualche nemico, primo fra tutti il perfezionista capo della sicurezza Dixon (Stanley Tucci).
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Terminal dell'aeroporto di New York. Viktor Navorski (Tom Hanks), uomo ingenuo e bonario, sbarca nella città americana per esaudire un vecchio sogno. Le autorità gli impediscono però di uscire dal terminal perché il suo passaporto non risulta valido: proprio durante il viaggio, infatti, nella nazione di Viktor (l'immaginaria Krakozhia, qualsiasi riferimento è casuale) è avvenuto un golpe. Si dà il caso che egli non possa neppure tornare a casa. Che fare? L'apolide Viktor, deciso a sbarcare comunque in America ma da uomo libero, imparerà a vivere nel terminal come una specie di Robinson Crusoe. Si farà amici qualche nemico, primo fra tutti il perfezionista capo della sicurezza Dixon (Stanley Tucci).
Forse non è il miglior film di Spielberg ma il più sottovalutato. E' il lavoro in cui il regista di Cincinnati si affida meno al suo innegabile senso del pathos e alla spettacolarità visiva. Ne viene fuori una commedia garbata, elegante e moderatamente intelligente. 'The Terminal' ripropone un tema ricorrente nella filmografia di Spielberg: la messa in rassegna dei paradossi grotteschi generati dal potere e dalla tecné quando pretendono di regolare l'umanità e la vita in genere. ''La vita vince sempre'' diceva il professor Malcom in 'Jurassic Park'. Essa vince anche qui: Viktor sopravvive nel terminal insinuandosi in tutte le piccole e grandi falle del sistema disumano creato dalle fobie americane post-11/9. Proprio i riferimenti al grande trauma della nazione a stelle e strisce forse impediscono al film di spingersi troppo oltre, di essere più 'cattivo'. Comunque Spielberg riesce con la sua magia e coadiuvato da un Tom Hank in gran forma a volgere in risata una materia su cui nel 2004 era difficile anche solo parlare. Terry Gilliam ha fatto di meglio.
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theophilus
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mercoledì 29 gennaio 2014
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ancora a colpo sicuro, come sempre con spielberg
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THE TERMINAL
Di Steven Spielberg si può lapalissianamente affermare che potrà piacere o meno. Spesso i suoi film ricevono parziali appunti negativi che condividiamo: concordiamo ad esempio con chi afferma che un film come Minority Report (2002) talora ecceda in cerebralismo, sia eccessivamente costruito e macchinoso; che Saving Private Ryan (1998) sia pletorico e a volte convenzionale; che A.I. Artificial Intelligence (2001) non sempre riesca a corroborare una storia densa, disperata e fantastica con doti più squisitamente cinematografiche altrettanto complesse ed efficaci. Noi stessi – pur riconoscendone la pregnanza e l’innegabile bellezza - abbiamo parlato di Schindler’s List (1993) come di un film sostanzialmente inutile che va a profanare una materia su cui esistono i filmati storici che non hanno bisogno di ulteriori ampliamenti o notazioni.
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THE TERMINAL
Di Steven Spielberg si può lapalissianamente affermare che potrà piacere o meno. Spesso i suoi film ricevono parziali appunti negativi che condividiamo: concordiamo ad esempio con chi afferma che un film come Minority Report (2002) talora ecceda in cerebralismo, sia eccessivamente costruito e macchinoso; che Saving Private Ryan (1998) sia pletorico e a volte convenzionale; che A.I. Artificial Intelligence (2001) non sempre riesca a corroborare una storia densa, disperata e fantastica con doti più squisitamente cinematografiche altrettanto complesse ed efficaci. Noi stessi – pur riconoscendone la pregnanza e l’innegabile bellezza - abbiamo parlato di Schindler’s List (1993) come di un film sostanzialmente inutile che va a profanare una materia su cui esistono i filmati storici che non hanno bisogno di ulteriori ampliamenti o notazioni.
Solo a citare, come abbiamo appena fatto, alcuni dei suoi numerosi film, dobbiamo però immediatamente constatare come Spielberg si cimenti continuamente con se stesso, con le proprie capacità di affrontare tematiche e generi sempre diversi e a mettere in risalto qualità sempre nuove. Non ci sentiamo di affermare che il nostro sia un genio del cinema, ma di riconoscere che sia un ottimo artigiano con belle intuizioni e qualche momento di genialità che riesce a valorizzare qualsiasi storia, sì. Proseguendo nella segnalazione di esempi che suffraghino l’esistenza di questa sua forma di eclettismo, potremmo menzionare ancora, fra i suoi film recenti, Catch Me If You Can (2002) - storia delineata con toni beffardi sulla vicenda vera di Frank Abagnale - che, pur dotato di una notevole carica ironica, non può essere però considerata una vera commedia fino in fondo.
Se di lui non si può certo dire che sia un regista visionario – ci pare l’anti-Tarantino per eccellenza – in linea generale abbiamo invece spesso ricavato la sensazione che Spielberg tenda a smorzare i toni, che non parli mai sopra le righe, ma cerchi, al contrario, di razionalizzare il materiale che ha a disposizione e lo tenga sempre sotto stretto controllo.
Con quest’ultima sua fatica, The Terminal - film che ha inaugurato la 61. edizione del festival internazionale del cinema di Venezia - se non fosse per Spielberg ci troveremmo di fronte quasi certamente un film zuccheroso, un melo strappalacrime e sentimentale, una storia soporifera d’atmosfera poco più che natalizia, in cui un velato antiamericanismo potrebbe essere coniugato, all’opposto, con il sogno americano.
Spielberg invece recupera questo materiale negativo e gli dà una vita diversa; riesce a far diventare bonariamente comico il dolciastro, divertente il monotono, intelligente il banale, ecc. Riesce ancora a neutralizzare il gigioneggiante Tom Hanks, facendolo passare per un credibile sognatore che, in viaggio da un immaginario paese dell’est, la Krakozhia, arriva al principale scalo aeroportuale di New York proprio nel momento in cui là, da dove è partito, scoppia una rivoluzione. Non essendo più riconosciuti alla sua terra d’origine gli attributi di stato sovrano, ogni rapporto con l’America viene sospeso e Viktor Navorski si trova ad essere considerato alla stregua di un apolide a cui non viene concesso il visto d’entrata: dovrà, pertanto, sostare un tempo indeterminato in quella terra di nessuno in cui è atterrato, in attesa che venga deciso che cosa fare di lui.
Quello che potrebbe, ancora, essere un incubo in piena regola, qualcosa di kafkiano, o essere trattato come un drammone dalle tinte fosche, è invece tenuto sotto le righe dall’abilità di Spielberg. Egli non cavalca la facile tigre della contestazione, della protesta sociale, ma mette con sapienza alla berlina la burocrazia americana, riuscendo, alla fine, a fare vincere lo sprovveduto sognatore dell’est europeo – in realtà puzza di americano lontano un miglio – che saprà rendersi amici tutti i diseredati conosciuti all’interno del JFK e chesfiorerà anche il colpaccio amoroso con la hostess Catherine Zeta Jones. La sua arte, qui come altrove, consiste forse nel recupero del kitsch, nel saper trarre da un potenziale dramma sentimentale, com’è la vicenda di The Terminal, una fiaba allegorica, nell’allontanare un possibile sogno angoscioso con una sorda capacità di resistenza; Spielberg addormenta i toni caustici, raffredda il materiale bollente che ha a disposizione, indirizza sapientemente gli attori verso i propri scopi e crea un’atmosfera quasi incantata.
Di Viktor non si sa nulla. Egli non capisce una parola d’inglese e non sono disponibili interpreti per farlo comunicare con le autorità presenti. Non si sa perché sia venuto in America, né quanto tempo intendesse restarci: ma Viktor, evidentemente, non ha fretta e questo sembra un ulteriore elemento di sconcerto per il dirigente del principale aeroporto di New York (Stanley Tucci). Ancora, il fatto che egli sia partito poche ore prima che nella sua patria scoppiasse una rivolta sanguinaria, fa pensare a un beniamino della Provvidenza o a una Cenerentola che fugga dal castello prima dei fatali rintocchi dell’orologio e, alla fine, l’atmosfera della storia ci ha ricordato It’s a Wonderful Life, uno dei film più popolari di Frank Capra, girato nel 1946.
Viktor Navorsky è volato in America solamente per completare il sogno paterno di avere un autografo del Jazzman Benny Golson, l’ultimo ancora mancante di una lunga collezione di cartoncini siglati da alcuni dei più famosi musicisti di Jazz e conservati dentro ad un barattolo che egli ha con sé. In quel soggiorno forzato, all’interno dell’aeroporto, riuscirà ad imparare l’inglese in modo sufficiente a raggiungere il suo scopo; sfiderà inconsapevolmente le convenzioni americane e ne uscirà vincitore. Il suo è una sorta di tour della sopravvivenza: grazie alle capacità, all’intelligenza e alla pazienza forse affinate nella supposta miseria del suo paese d’origine, come pure alla sua innata ingenuità e aiutato infine da un po’ di fortuna e da un briciolo di furbizia, egli riesce a superare ogni genere di ostacoli.
Viktor Navorsky, infine, ci è parso per certi versi – la capacità di adattamento, l’abilità e la semplicità – l’omologo, per altri – la sua forzata condizione d’immobilità all’interno dell’aeroporto – il contraltare di un altro fortunato personaggio impersonato da Tom Hanks nel 1994, Forrest Gump.
Enzo Vignoli,
24/09/2004
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renato c.
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giovedì 8 novembre 2012
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una bella lezione spielbergriana
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America - Stati Uniti: Nel paese della libertà, dell'American Dream, un poveretto proveniente da uno staterello quasi sconosciuto si trova costretto ad essere confinato nel terminal dell'aeroporto di New York perche nel suo paese c'è stato un colpo di stato, ed il nuovo governo non è stato ancora riconosciuto dagli Stati Uniti. Il direttore dell'aeroporto sarebbe anche disposto a lascirlo uscire, però illegalmente, ed egli rifiuta la proposta. Accetta il confino e si da da fare per sopravvivere nel terminal. Perchè alla fine egli non desiderava stare in America, ma solo adempiere ad una promessa fatta a suo padre! E quando finalmente può girare per New York liberamente e legalmente va subito dal cantante di jazz a farsi firmare l'autografo (era questa la richiesta del padre!) E poi torna subito a casa! Steven Spielberg ci presenta un America dove la libertà e parecchio limitata, e dove l'American Dream sembra un sogno ormai lontano! Va bene che il film è del 2004 ed erano passati solo tre anni dall'attentato alle torri gemelle, però le precauzioni negli aeroporti sfiorano la parodia! E in quel ristretto terminal fa vedere comunque un America dove, se uno si da un po' da fare, trova da lavorare, trova amici e ammiratori, combina matrimoni, e trova anche l'amore ( la bellissima Catherine Zeta-Jones!) anche se da qul lato non c'è happy-end forse perchè in caso di matrimonio con una hostess americana la sua vita e soprattutto il suo ritorno a casa poteva diventare difficile! Spielberg ha voluto fare una critica al suo paese, ma è un paese che ama! E quando si ama un paese o una persona, anche per il suo bene è giusto dire: "Guarda che stai sbagliando!" e questo film mi sembra giusto un'esortazione agli Stati Uniti a tornare agli ideali dei padri fondatori.
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America - Stati Uniti: Nel paese della libertà, dell'American Dream, un poveretto proveniente da uno staterello quasi sconosciuto si trova costretto ad essere confinato nel terminal dell'aeroporto di New York perche nel suo paese c'è stato un colpo di stato, ed il nuovo governo non è stato ancora riconosciuto dagli Stati Uniti. Il direttore dell'aeroporto sarebbe anche disposto a lascirlo uscire, però illegalmente, ed egli rifiuta la proposta. Accetta il confino e si da da fare per sopravvivere nel terminal. Perchè alla fine egli non desiderava stare in America, ma solo adempiere ad una promessa fatta a suo padre! E quando finalmente può girare per New York liberamente e legalmente va subito dal cantante di jazz a farsi firmare l'autografo (era questa la richiesta del padre!) E poi torna subito a casa! Steven Spielberg ci presenta un America dove la libertà e parecchio limitata, e dove l'American Dream sembra un sogno ormai lontano! Va bene che il film è del 2004 ed erano passati solo tre anni dall'attentato alle torri gemelle, però le precauzioni negli aeroporti sfiorano la parodia! E in quel ristretto terminal fa vedere comunque un America dove, se uno si da un po' da fare, trova da lavorare, trova amici e ammiratori, combina matrimoni, e trova anche l'amore ( la bellissima Catherine Zeta-Jones!) anche se da qul lato non c'è happy-end forse perchè in caso di matrimonio con una hostess americana la sua vita e soprattutto il suo ritorno a casa poteva diventare difficile! Spielberg ha voluto fare una critica al suo paese, ma è un paese che ama! E quando si ama un paese o una persona, anche per il suo bene è giusto dire: "Guarda che stai sbagliando!" e questo film mi sembra giusto un'esortazione agli Stati Uniti a tornare agli ideali dei padri fondatori.
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