andrea
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giovedì 22 marzo 2001
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moretti senza moretti 1
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Il solito problema di non riuscire a dare 5 stelle neanche ai film verso i quali saresti tentato di farlo! E' l'annoso e giusto problema della distanza temporale dall'opera come presupposto critico e umano aggiungerei, per una corretta analisi della stessa. Ho sempre provato un singolarissimo miscuglio di ammirazione e straniamento guardando i film di Moretti, di cui riconosco, comunque, a pelle l'importanza (e non solo nel nostro cinema) pur non essendo di certo uno dei miei registi ("auteurs" avrebbero detto giustamente i critici dei Cahiers) prediletti! Qui riesce ad avvicinarsi come forse mai ha VOLUTO o POTUTO fare prima nella sua cinematografia all'indesiderato/desiderato compagno della nostra vita: il Dolore.
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Il solito problema di non riuscire a dare 5 stelle neanche ai film verso i quali saresti tentato di farlo! E' l'annoso e giusto problema della distanza temporale dall'opera come presupposto critico e umano aggiungerei, per una corretta analisi della stessa. Ho sempre provato un singolarissimo miscuglio di ammirazione e straniamento guardando i film di Moretti, di cui riconosco, comunque, a pelle l'importanza (e non solo nel nostro cinema) pur non essendo di certo uno dei miei registi ("auteurs" avrebbero detto giustamente i critici dei Cahiers) prediletti! Qui riesce ad avvicinarsi come forse mai ha VOLUTO o POTUTO fare prima nella sua cinematografia all'indesiderato/desiderato compagno della nostra vita: il Dolore. Moretti senza Moretti perché guardando recitare il regista e la Morante si VEDONO solo un padre e una madre, non 2 famosi attori! Insomma rara occasione, almeno ai giorni nostri, in cui si puo' assistere al raggiungimento dell'alchimia dell'impalpabilità della presenza attoriale e registica!
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tizianastanzani
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martedì 6 aprile 2010
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moretti cresce
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Nanni Moretti pare avere iniziato una nuova fase nella sua straordinaria struttura narrativa (soprattutto nel secondo tempo di questo fin troppo struggente film) poiché il suo inconfondibile, cinico, simpatico, allarmante e un po’ paranoico personaggio di sempre, CRESCE. Cresce perché soffre, e mentre soffre guarisce gli altri, i quali finalmente stanno meglio perché lui (che non è più costretto nello scafandro del lucido distacco) perde la ragione e guadagna il sentimento. Dieci e lode, dunque, al maestro Moretti e a Laura Morante. Ma devo togliere una stella a causa dei ragazzi (sia i figlioli che gli amici) i quali, con il loro vuoto interiore, gli sguardi vacui, la pochezza recitativa e i dialoghi (mi auguro non siano lo specchio di questa nuova generazione) hanno purtroppo causato un blocco psicologico in tutto il film.
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Nanni Moretti pare avere iniziato una nuova fase nella sua straordinaria struttura narrativa (soprattutto nel secondo tempo di questo fin troppo struggente film) poiché il suo inconfondibile, cinico, simpatico, allarmante e un po’ paranoico personaggio di sempre, CRESCE. Cresce perché soffre, e mentre soffre guarisce gli altri, i quali finalmente stanno meglio perché lui (che non è più costretto nello scafandro del lucido distacco) perde la ragione e guadagna il sentimento. Dieci e lode, dunque, al maestro Moretti e a Laura Morante. Ma devo togliere una stella a causa dei ragazzi (sia i figlioli che gli amici) i quali, con il loro vuoto interiore, gli sguardi vacui, la pochezza recitativa e i dialoghi (mi auguro non siano lo specchio di questa nuova generazione) hanno purtroppo causato un blocco psicologico in tutto il film. Ho notato questo disagio anche in “Luce dei miei occhi”, e speravo fosse un caso isolato; mi sembra che - sia nella serenità (non dico allegria perché in questo periodo storico sarebbe eccessivo) che nella disgrazia - gli attori adolescenti si comportino come acefali ricettacoli di impressioni (anzi: di depressioni) che interiorizzano senza reazione alcuna, quasi con timore ed estrema insicurezza: hanno sempre quelle espressioni avvilite a tutti i costi che si vedono sui manifesti pubblicitari di moda. Attenzione che i giovani si identificano con quello che vedono. Forse sarebbe il caso di cominciare a dar loro dei messaggi più positivi, uscendo da questa moda recitativa assurda; facciamoli sorridere di più, tanto il dolore esisterà comunque.
Ai più non sarà sfuggita l’inconfondibile firma morettiana: l’ossessiva presenza di scarpe.
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kucciolo
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sabato 28 aprile 2001
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la stanza del dolore
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Un Moretti stranamente e straordinariamente dolente, che concentra l'indicibile parola nel rumore stridente di una bara che viene chiusa, nello sfogliarsi di un catalogo mortuario, negli sguardi silenti dei protagonisti che faticano a ritrovarsi dopo la mancanza dell'uno che è scomparso, e vagano incerti e confusi come la sorella, da una camera all'altra dei genitori, cercando un conforto che non può esserci, perchè va ritrovato dentro di sè soltanto.
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kroy
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domenica 20 maggio 2001
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il gusto di un cinema che mancava da tempo
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Ne sono passati sugli schermi dei cinema film brutti ultimamente. Molti italiani. Sembrava morto il cinema italiano, non c'erano più epigoni di Pasolini e di Fellini. Forse non siamo a questi ilvelli, ma Nanni Moretti, con questo film ci fa toccare il dolore, dolore vero. Non un film per cui si piange cinque minuti finchè non si è usciti dal cinema, ma un film che lascia il segno, che fa riflettere. E' una pellicola che va vissuta. Qualcuno forse potrebbe non capirla, potrebbe rimare indifferente dopo la visione; chi avrà questa reazione può considerarsi fortunato, perchè vuol dire che non ha mai vissuto un vero trauma psicologico, non ha mai davvero sofferto, non si è mai sentito piccolo e inutile di fronte all'ineluttabilità del fato, in quella condizione di incertezza in cui non si vorrebbe essere vivi.
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Ne sono passati sugli schermi dei cinema film brutti ultimamente. Molti italiani. Sembrava morto il cinema italiano, non c'erano più epigoni di Pasolini e di Fellini. Forse non siamo a questi ilvelli, ma Nanni Moretti, con questo film ci fa toccare il dolore, dolore vero. Non un film per cui si piange cinque minuti finchè non si è usciti dal cinema, ma un film che lascia il segno, che fa riflettere. E' una pellicola che va vissuta. Qualcuno forse potrebbe non capirla, potrebbe rimare indifferente dopo la visione; chi avrà questa reazione può considerarsi fortunato, perchè vuol dire che non ha mai vissuto un vero trauma psicologico, non ha mai davvero sofferto, non si è mai sentito piccolo e inutile di fronte all'ineluttabilità del fato, in quella condizione di incertezza in cui non si vorrebbe essere vivi. Nanni Moretti riesce a presentarci questa condizione, senza insistere troppo su un dolore che distrugge l'unità di una famiglia.
Davvero un gran film, non ci sono parole per descriverlo: inutile sapere la storia, ciò che fa effetto sono i 100 minuti che si passano dentro la sala, di fronte a immagini che si susseguono lentamente e che ti fanno pensare. Il cinema si trasforma così in un luogo in cui pensare e ci fa assaporare tutto il valore del tempo che quasi mai utilizziamo pienamente per riflettere.
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claudio a.
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venerdì 3 ottobre 2003
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sembra strano, ma è proprio lui
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Un Nanni Moretti così diverso dalle altre volte in verità nessuno se lo sarebbe aspettato. Lontanissimo dalle fobie psico-politiche del suo alter ego Michele Apicella, il regista stavolta esplora la parte più intima e drammatica della sua vitalità cinematografica. La morte di un figlio è un evento così tragico, rivisto tante volte e, proprio per questo, altrettanto delicato. Un acceso spettatore dei suoi film avrebbe effettivamente avuto il diritto di chiedersi: ma come diavolo gli è venuto in mente di raccontare una storia del genere? Il rischio di cadere nel patetico è davvero notevole, specie quando mostra compiaciuto l’idilliaca armonia familiare (con i figli adolescenti che cantano a squarciagola insieme a lui canzoni della riesumata Caterina Caselli).
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Un Nanni Moretti così diverso dalle altre volte in verità nessuno se lo sarebbe aspettato. Lontanissimo dalle fobie psico-politiche del suo alter ego Michele Apicella, il regista stavolta esplora la parte più intima e drammatica della sua vitalità cinematografica. La morte di un figlio è un evento così tragico, rivisto tante volte e, proprio per questo, altrettanto delicato. Un acceso spettatore dei suoi film avrebbe effettivamente avuto il diritto di chiedersi: ma come diavolo gli è venuto in mente di raccontare una storia del genere? Il rischio di cadere nel patetico è davvero notevole, specie quando mostra compiaciuto l’idilliaca armonia familiare (con i figli adolescenti che cantano a squarciagola insieme a lui canzoni della riesumata Caterina Caselli). Il modello di famiglia da spot pubblicitario si interrompe in ogni caso bruscamente con il grave lutto familiare e da quel momento probabilmente il tutto si presenta maggiormente degno d’attenzione e di valore. Uno psicanalista che non riesce più a mantenere un distacco professionale dai casi umani studiati, una madre divenuta cupa e insofferente, una figlia trasformatasi in un crogiolo d’isterismo non saranno temi originalissimi, ma certo è che la narrazione diviene quantomeno coinvolgente.
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p.n.
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sabato 2 aprile 2005
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bello ma nn capolavoro
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In una famiglia italiana un giorno succede una disgrazia: Andrea, il figlio primogenito, muore durante un'immersione subacquea. Da questo momento inizia il dramma familare, la disperazione vissuta con dolore ma anche semplicità: tutto quello che può accadere in una comunissima famiglia italiana. A ben vedere non ci sono infatti forzature, e lo spettatore si immedesima in una storia che può capitare a chiunque e che chiunque vivrebbe come questa famiglia che Moretti ci rappresenta. Bella la scena,antecedente alla disgrazia, in cui tutti cantano in macchina un vecchio motivo degli anni sessanta, semplice ed efficace momento di distensione. Forse però nel finale si perde qualcosa e, a parere di chi scrive, l'ingresso in scena di Arianna, la ragazza conosciuta da Andrea e della quale nessuno ne sapeva nulla, da' una stonatura: sarebbe stato meglio se tutto fosse rimasto nell'indistinto e nello sfocato, come un segreto che rimane custodito nel cuore di chi non ha fatto in tempo o forse non ha voluto dire nulla, un particolare nascosto persino ai propri cari: nella stanza del figlio, appunto.
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In una famiglia italiana un giorno succede una disgrazia: Andrea, il figlio primogenito, muore durante un'immersione subacquea. Da questo momento inizia il dramma familare, la disperazione vissuta con dolore ma anche semplicità: tutto quello che può accadere in una comunissima famiglia italiana. A ben vedere non ci sono infatti forzature, e lo spettatore si immedesima in una storia che può capitare a chiunque e che chiunque vivrebbe come questa famiglia che Moretti ci rappresenta. Bella la scena,antecedente alla disgrazia, in cui tutti cantano in macchina un vecchio motivo degli anni sessanta, semplice ed efficace momento di distensione. Forse però nel finale si perde qualcosa e, a parere di chi scrive, l'ingresso in scena di Arianna, la ragazza conosciuta da Andrea e della quale nessuno ne sapeva nulla, da' una stonatura: sarebbe stato meglio se tutto fosse rimasto nell'indistinto e nello sfocato, come un segreto che rimane custodito nel cuore di chi non ha fatto in tempo o forse non ha voluto dire nulla, un particolare nascosto persino ai propri cari: nella stanza del figlio, appunto.
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great steven
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lunedì 31 ottobre 2016
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liscio in superficie, ma straripante di ricchezze.
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LA STANZA DEL FIGLIO (IT, 2001) di NANNI MORETTI. Con NANNI MORETTI, LAURA MORANTE, GIUSEPPE SANFELICE, JASMINE TRINCA, STEFANO ACCORSI, SILVIO ORLANDO, TONI BERTORELLI, CLAUDIO SANTAMARIA, SOFIA VIGLIAR, RENATO SCARPA, ROBERTO NOBILE, DARIO CANTARELLI, ROBERTO DE FRANCESCO, STEFANO ABBATI
Giovanni è uno psicanalista cinquantenne molto stimato nella sua professione e felicemente sposato con Paola, che gestisce una casa editrice. Insieme hanno avuto due figli, che ora sono adolescenti: Irene, appassionata di pallacanestro, e Andrea, fra i cui interessi si annoverano i fossili e il mare. La vita famigliare trascorre serena e tranquilla, e si mostra in una perfezione idilliaca grazie all’armonia che vi regna, ai pasti consumati insieme con gaiezza e al clima favorevole che arreca beneficio a tutti i suoi membri.
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LA STANZA DEL FIGLIO (IT, 2001) di NANNI MORETTI. Con NANNI MORETTI, LAURA MORANTE, GIUSEPPE SANFELICE, JASMINE TRINCA, STEFANO ACCORSI, SILVIO ORLANDO, TONI BERTORELLI, CLAUDIO SANTAMARIA, SOFIA VIGLIAR, RENATO SCARPA, ROBERTO NOBILE, DARIO CANTARELLI, ROBERTO DE FRANCESCO, STEFANO ABBATI
Giovanni è uno psicanalista cinquantenne molto stimato nella sua professione e felicemente sposato con Paola, che gestisce una casa editrice. Insieme hanno avuto due figli, che ora sono adolescenti: Irene, appassionata di pallacanestro, e Andrea, fra i cui interessi si annoverano i fossili e il mare. La vita famigliare trascorre serena e tranquilla, e si mostra in una perfezione idilliaca grazie all’armonia che vi regna, ai pasti consumati insieme con gaiezza e al clima favorevole che arreca beneficio a tutti i suoi membri. Finché non accade l’inatteso: una domenica mattina Giovanni vorrebbe che Andrea venisse con lui a fare jogging, e il ragazzo inizialmente rinuncia all’immersione che aveva in programma per quel giorno, ma all’improvviso il dottore riceve una telefonata da un suo paziente in cattive condizioni e deve annullare la corsa, così Andrea va ad immergersi presso una grotta sottomarina e muore in seguito ad un banale incidente con le bombolette d’ossigeno. Il dolore che colpisce il padre, la madre e la sorella è immenso. Ognuno dovrà fare i conti con le proprie responsabilità, e le sofferenze metteranno a dura prova anche gli affetti più radicati e profondi. Perfino sul lavoro, Giovanni si accorge di non avere più quella prestanza e quell’attenzione che riusciva ad applicare con tanto savoir-faire in precedenza. Finché non compare Arianna, una ragazza coetanea di Andrea che il figlio scomparso aveva conosciuto anni prima in un campeggio: per la famiglia, sembra rispuntare un barlume di speranza in cui nessuno aveva dapprima investito. Accompagnando lei e il fidanzato girovago ad una fermata d’autobus in Liguria, la famiglia si affezionerà a questi due giovanissimi sconosciuti e, camminando sul litorale genovese mentre il loro autobus diretto in Francia si allontana, otterrà lo scopo di ricominciare un’esistenza all’insegna dell’ottimismo e a dimenticare un passato doloroso. Vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2001, a ben ventitré anni di distanza dall’ultimo successo italiano (L’albero degli zoccoli) alla kermesse cinematografica francese, insieme al Gran Premio Speciale della Giuria. Film che pone al proprio centro la storia di una famiglia, devastata dalla morte inaspettata e lancinante del suo componente più giovane, rievocato soprattutto attraverso la memoria dei bei momenti passati insieme, le emozioni positive convissute e anche le occasioni perdute, più che armonizzato mediante una recitazione non articolata in flashback e continui riferimenti al passato. Moretti ha raggiunto una maturità artistica che dà i suoi frutti nella contrapposizione narrativa fra la rappresentazione della disperazione e il racconto accorato della desolazione che permea tutti i rapporti umani basati sull’amore, sulla simpatia, sull’amicizia e sul mutuo scambio di sensazioni e sentimenti, trovando un punto d’appoggio nella mano soffice con cui l’attore-regista affronta la descrizione di un mondo in apparenza paradisiaco e incontaminabile, ma a conti fatti assai distruttibile anche con una determinata facilità e rendibile oscuro, deplorevole, deludente e inquietante da un qualsivoglia evento luttuoso. Un mondo popolato di sindromi, disturbi e malattie e da quelle persone (specialmente i pazienti di Giovanni) che ne sono affetti, e ne soffrono giorno dopo giorno senza trovare una via di scampo se non quella di agguantare evasivamente un appiglio evanescente che li illuda di aver afferrato una serenità interiore, magari pervasiva sulle prime, ma pronta a svanire nel nulla al primo fuoco incrociato di ritorno del male che li divora e sgranocchia da dentro. Ottimi i metodi psicologici usati dagli sceneggiatori (lo stesso regista coadiuvato da Linda Ferri e Heidrun Schleef) per non cadere nella banalità nella narrazione di un dolore collettivo che diventa anche ricerca della felicità, desiderio speranzoso di identificarsi con i genitori (visti come modelli), cammino intrapreso sulla strada della piena realizzazione personale e percorso imboccato in virtù dei valori intrinseci e delle ambizioni che si son sempre posti come faro illuminante dall’inizio al termine di una passione ben coltivata. Numerosi i riferimenti letterari, filmici e artistici in generale che nel film si annidano come bolle di una schiuma in una vasca ricolma, fra cui la poesia Le dita del piede di Raymond Carver, ma ci sono collegamenti, a detta di alcuni recensori dell’opera, anche col cinema di Krzysztof Kieslowski e Don Siegel. Di pregevole levatura le parti dei comprimari, fra cui un introverso S. Orlando, uno S. Accorsi preda di impulsi sessuali incontrollati, un giovanissimo C. Santamaria nei panni del commesso del negozio di articoli acquatici e R. Scarpa nel ruolo del preside che comunica al padre psicanalista del furto avvenuto nel laboratorio di scienze. Tutt’altro che pesante, anzi istruttivo ed educativo a piene mani, insegna molto anche al pubblico degli adulti, e rappresenta una pellicola formativa di considerevole spessore che va esaminata ed apprezzata anche per mezzo del veicolo che adopera per giungere al cuore degli spettatori: evita, in altre parole, di asciugarne gli occhi, ma di riempirli di lacrime per invogliare al cambiamento, per spingere a non guardare indietro e incentivare al superamento costruttivo delle sofferenze che arricchiscono un animo, anziché impoverirlo e svuotarlo di significati.
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vedelia
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martedì 7 ottobre 2003
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meno politica e più intimismo
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Fortunatamente, dacchè ha cominciato a fare il girotondino, Moretti ha smesso di fare politica nei suoi films ed è divenuto più umano e intimista. La stanza del figlio ben descrive quel tormento e quel vuoto esistenziale (egregiamente espresso dai lunghi silenzi)che con la morte irrompe in una famiglia medio-borghese, in fin dei conti serena ed equilibrata. Moretti fa, come sempre, il verso a se stesso; adorabile la Morante, bella ed equilibrata nel suo dolore, come una madonna.Toccante il cammeo di Accorsi.
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stefanocapasso
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domenica 8 ottobre 2017
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una strategia di uscita dal lutto
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Giovanni vive ad Ancona con la moglie Paola e i due figli adolescenti Andrea ed Irene. Psicoanalista, svolge il suo lavoro con passione e il dovuto distacco. La loro è una famiglia serena, c’è fiducia affetto e dialogo tra tutti.
Andrea nella sua irrequietezza adolescenziale a volte eccede, e proprio durante una escursione subacquea, muore.
Il dramma familiare viene vissuto da ognuno in modo diverso portando il sistema ad una crisi profonda.
Il tema della perdita, e in particolare di una tra le più dolorose, è affrontato da Nanni Moretti con rigore, senza sentimentalismi e allo stesso tempo con grande efficacia. Il lutto viene rappresentato dai piccoli gesti quotidiano di ognuno dei protagonisti, e lo smarrimento dei protagonisti è lo stesso smarrimento che ho provato da spettatore.
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Giovanni vive ad Ancona con la moglie Paola e i due figli adolescenti Andrea ed Irene. Psicoanalista, svolge il suo lavoro con passione e il dovuto distacco. La loro è una famiglia serena, c’è fiducia affetto e dialogo tra tutti.
Andrea nella sua irrequietezza adolescenziale a volte eccede, e proprio durante una escursione subacquea, muore.
Il dramma familiare viene vissuto da ognuno in modo diverso portando il sistema ad una crisi profonda.
Il tema della perdita, e in particolare di una tra le più dolorose, è affrontato da Nanni Moretti con rigore, senza sentimentalismi e allo stesso tempo con grande efficacia. Il lutto viene rappresentato dai piccoli gesti quotidiano di ognuno dei protagonisti, e lo smarrimento dei protagonisti è lo stesso smarrimento che ho provato da spettatore. La mancanza di risposte e l’ineluttabilità degli eventi della vita fanno sentire estremamente fragili. L’esperienza del dolore porta in contatto con nuove profondità dell’anima e cosi diventa possibile sentire più vicino il dolore degli altri. La pratica professionale di Giovanni in qualche modo ne guadagna in un primo tempo, ma poi l’estrema vicinanza ai sentimenti dei pazienti diventa insostenibile. La crisi profonda dei singoli componenti del sistema famiglia diviene crisi dell’intero gruppo e diventa necessario operare una trasformazione, che passa attraverso la giusta collocazione del ricordo e del sentimento ad esso legato. Nel caso del film, una ragazza che aveva avuto un breve incontro con Andrea diviene il mezzo per operare questa trasformazione, divenendo il simbolo del passato e del futuro legato al ricordo del figlio.
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giulio andreetta
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domenica 20 settembre 2020
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un nanni moretti inedito e intimista
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Si tratta di una pellicola piuttosto insolita, e per certi versi controcorrente rispetto al consueto impegno sociale e politico del regista. Una piacevole sorpresa, direi... Questo film potrebbe a mio avviso essere considerato tra i migliori di Moretti, anche per la sua prova d'attore, molto convinta e partecipata, ma mai sopra le righe. La storia è semplice, un padre che deve affrontare una delle prove più tragiche e dolorose che l'esistenza possa sottoporgli, la perdita del figlio. Ciò su cui la pellicola si concentra maggiormente è questo tentativo immane, difficilissimo, del portare a compimento l'elaborazione del lutto. E la cinepresa, direi in modo quasi neorealista, descrive questo tentativo che Moretti affronta con la moglie (una bravissima Laura Morante) e la figlia (Jasmine Trinca).
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Si tratta di una pellicola piuttosto insolita, e per certi versi controcorrente rispetto al consueto impegno sociale e politico del regista. Una piacevole sorpresa, direi... Questo film potrebbe a mio avviso essere considerato tra i migliori di Moretti, anche per la sua prova d'attore, molto convinta e partecipata, ma mai sopra le righe. La storia è semplice, un padre che deve affrontare una delle prove più tragiche e dolorose che l'esistenza possa sottoporgli, la perdita del figlio. Ciò su cui la pellicola si concentra maggiormente è questo tentativo immane, difficilissimo, del portare a compimento l'elaborazione del lutto. E la cinepresa, direi in modo quasi neorealista, descrive questo tentativo che Moretti affronta con la moglie (una bravissima Laura Morante) e la figlia (Jasmine Trinca). Ma il film è veramente espressione di una raffinatezza estetica che non travalica mai nell'esagerazione, o nell'ostentazione del dolore. Da lodare anche la prova d'attore dello stesso regista, che interpreta la parte di un affermato psicoanalista. Molto interessante e poetica l'idea del finale. 4 Stelline
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