zema89
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domenica 8 maggio 2011
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l'importante è avere il cappello sempre in testa 2
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Essendo per me impossibile non fare collegamenti con altre pellicole oserei dire che la figura di Tom è quella che in assoluto potrebbe accordarsi meglio con quella di un Padrino alla Corleone, anche se con sfaccettature diverse, si intende. Ma come ho già precedentemente detto lui non è il boss, è il suo “braccio destro”, la sua mente, il suo stratega. I due boss invece sono lontanissimi dalla figura del Padrino: Johnny Caspar risulta essere spesso molto “buffo”, se mi permettete la citazione, lasciandosi trasportare da una collera che lo fa assomigliare ad un maiale, e cimentandosi spesso in certe dubbie facezie delle quali finisce col ridere solo lui; l'altro, Leo, sembra non prendere le cose troppo sul serio, quasi come fossero un gioco, e non mantiene una solida capacità di giudizio essendo perdutamente innamorato di Verna, ossia Marcia Gay Harden, che si dimostra abile nell'assumere il ruolo di una meravigliosa Dark Lady.
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Essendo per me impossibile non fare collegamenti con altre pellicole oserei dire che la figura di Tom è quella che in assoluto potrebbe accordarsi meglio con quella di un Padrino alla Corleone, anche se con sfaccettature diverse, si intende. Ma come ho già precedentemente detto lui non è il boss, è il suo “braccio destro”, la sua mente, il suo stratega. I due boss invece sono lontanissimi dalla figura del Padrino: Johnny Caspar risulta essere spesso molto “buffo”, se mi permettete la citazione, lasciandosi trasportare da una collera che lo fa assomigliare ad un maiale, e cimentandosi spesso in certe dubbie facezie delle quali finisce col ridere solo lui; l'altro, Leo, sembra non prendere le cose troppo sul serio, quasi come fossero un gioco, e non mantiene una solida capacità di giudizio essendo perdutamente innamorato di Verna, ossia Marcia Gay Harden, che si dimostra abile nell'assumere il ruolo di una meravigliosa Dark Lady.
Insomma nessuno sembra avere tutte le carte in regola come Tom per poter mettere assieme i pezzi del puzzle ed arrivare alla risoluzione di una situazione che si fa sempre più complicata. Solo lui, rimanendo sempre isolato, chiuso in se stesso e nei suoi pensieri, e senza lasciarsi trasportare dall'egoismo delle ambizioni e dei desideri, in mezzo a boss non proprio astuti, poliziotti e politici corrotti, e all'amore di una donna, riesce a portare a termine il proprio dovere in una maniera che in un certo senso verrebbe da definire etica. Agisce nella maniera secondo lui più giusta insomma, anche se non ci sarà guadagno per lui e finirà col rimanere ancora più solo di prima. Solo una cosa non avrà perso: il proprio cappello. Per tutto il film non farà altro che assicurarsi di avere con se il proprio copricapo, come se nonostante il suo mestiere, i suoi vizi, e il suo esser privo di sentimentalismi, egli si preoccupi di conservare una certa dignità. Solo in sogno perde il cappello, ma non lo rincorre, perchè come lui stesso ci dice “la cosa più ridicola è un uomo che corre dietro al cappello”, cosa che lui in un certo senso fa; ma forse c'è un significato più profondo, inteso come un correre dietro ad un sogno irrealizzabile o dietro a delle false speranze. Tom risolve la situazione, ma perde lavoro e amore proprio perchè non è un egoista, proprio perchè senza perdere tempo a correre dietro a qualche sogno si limita a vedere le cose per come sono davvero, in modo razionale. Certamente un uomo così non può essere un uomo felice, ne all'inizio ne alla fine del film, ma rimane uno che lotta e si sacrifica per ciò che crede e per le persone a cui tiene. Un uomo a parer mio degno della massima ammirazione, un uomo che tutto sommato mantiene una certa etica.
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zema89
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domenica 8 maggio 2011
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l'importante è avere il cappello sempre in testa 1
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Miller's Crossing è uno dei primi film dei fratelli Coen, e che personalmente ritengo essere uno di loro miglior lavori. Non è propriamente un film sulla mafia in senso stretto, ma la maggior parte dei personaggi sono mafiosi e di conseguenza anche gli ambienti in cui si svolgono le vicende lo sono. Ciò che precedenti film sulla mafia ci hanno insegnato è che i mafiosi, pur essendo criminali, tengono dei loro principi, come l'onore e il rispetto. Infatti tra le prime parole che sentiamo pronunciare nel film ce ne è una che è di notevole importanza, ossia “l'etica”. Certo è che parlando di criminalità risulta essere istintivamente difficile poter parlare di personaggi etici, ma le cose non sono così semplici e il film in questione, non tracciando una linea di demarcazione netta tra ciò che è giusto e sbagliato, non limita la nostra capacità di giudizio sui personaggi, che a dispetto delle apparenze finiscono col rivelarsi molto più complicati di quanto si possa inizialmente pensare.
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Miller's Crossing è uno dei primi film dei fratelli Coen, e che personalmente ritengo essere uno di loro miglior lavori. Non è propriamente un film sulla mafia in senso stretto, ma la maggior parte dei personaggi sono mafiosi e di conseguenza anche gli ambienti in cui si svolgono le vicende lo sono. Ciò che precedenti film sulla mafia ci hanno insegnato è che i mafiosi, pur essendo criminali, tengono dei loro principi, come l'onore e il rispetto. Infatti tra le prime parole che sentiamo pronunciare nel film ce ne è una che è di notevole importanza, ossia “l'etica”. Certo è che parlando di criminalità risulta essere istintivamente difficile poter parlare di personaggi etici, ma le cose non sono così semplici e il film in questione, non tracciando una linea di demarcazione netta tra ciò che è giusto e sbagliato, non limita la nostra capacità di giudizio sui personaggi, che a dispetto delle apparenze finiscono col rivelarsi molto più complicati di quanto si possa inizialmente pensare.
Nella scena iniziale vediamo due boss a confronto: Leo, di origini irlandesi ed interpretato da Albert Finney, e Johnny Caspar, che invece è italo-americano ed è personificato da un ottimo Jon Polito. Tra i due si accende da subito un diverbio che li porterà alla rottura dei loro buoni rapporti; una rottura che finirà per riflettersi anche sul rapporto tra Leo ed il suo fidato “braccio destro”, Tom Reagan, magistralmente interpretato da uno splendido Gabriel Byrne.
Questo è a grandi linee l'incipit di una pellicola che è sorretta da una sceneggiatura più che convincente, con una trama imprevedibile e ben architettata; importante è quindi per lo spettatore mantenersi nel corso della visione sempre lucido ed estremamente attento, in modo da non entrare in confusione e di potersi tranquillamente godere i molteplici colpi di scena che questo magnifico film ci offre. Ma il problema, se così lo vogliamo chiamare, di una trama così complicata e pregna di scene cruente e di contenuti impegnativi, viene risolto caparbiamente dall'umorismo del protagonista, Tom Reagan appunto, che in qualsiasi circostanza, o quasi, dimostra sangue freddo e prontezza spirito, e che con la sua battuta sempre pronta finisce per alleggerire le drastiche situazioni che è costretto ad affrontare. Impossibile non trovare simpatico un personaggio simile, che con il suo cinico umorismo si rivela essere un vero “figlio di p...”, come spesso viene ribadito nel film, ma che nonostante ciò è anche un uomo con dei principi, che agisce sempre per una causa specifica e non per puro egoismo. Un uomo che quindi rispetta una sua etica, quella di cui si parla ad inizio film e che in seguito verrà ribadita. Un personaggio che incassa colpi su colpi, in tutti i sensi, ma che non perde mai il controllo di se, dimostrandosi sempre lucido e razionale. Un uomo intelligente ed estremamente astuto, che pur essendo dalla parte dei malavitosi può essere facilmente accostato alla figura di un vero e proprio detective, come se fosse una specie di Sherlock Holmes.
Interessante è anche il fatto che Tom ci viene presentato come un forte bevitore, e come un giocatore accanito che non sa mai quando mollare, anche quando le cose si mettono molto male per lui. Questo ci farebbe pensare ad un debole, ad uomo dal pensiero “annebbiato”, ma che invece si rivela essere l'unico sempre in grado di ragionare e che sa sempre come agire.
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jackiechan90
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giovedì 31 luglio 2014
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la decostruzione dei generi secondo i cohen
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È difficile recensire un film come “Crocevia della morte” poiché questo, più di molti altri film dei Cohen, è capace di spiazzarti con mille interrogativi. Innanzitutto sono da elogiare la colonna sonora di Cartel Burwell(sempre molto azzeccate le scelte musicali dei due fratelli!) e la ricostruzione storica della città dove si svolge la vicenda(che rimane sempre anonima, forse perché vuole essere un archetipo di tutte le tipiche città americane). E per finire la scelta degli attori e dei caratteristi(tra tutti il formidabile gangster interpretato da John Polito). Sembrerebbe, a prima vista, l’emblema del gangster-movie con tutti i clichè del genere(lotta tra gang, brama di potere, uso frequente di mitra e pistole, città buie e corrotte fino all’osso…) ma se guardiamo nei dettagli scopriamo che questo film si discosta molto dai canoni del genere.
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È difficile recensire un film come “Crocevia della morte” poiché questo, più di molti altri film dei Cohen, è capace di spiazzarti con mille interrogativi. Innanzitutto sono da elogiare la colonna sonora di Cartel Burwell(sempre molto azzeccate le scelte musicali dei due fratelli!) e la ricostruzione storica della città dove si svolge la vicenda(che rimane sempre anonima, forse perché vuole essere un archetipo di tutte le tipiche città americane). E per finire la scelta degli attori e dei caratteristi(tra tutti il formidabile gangster interpretato da John Polito). Sembrerebbe, a prima vista, l’emblema del gangster-movie con tutti i clichè del genere(lotta tra gang, brama di potere, uso frequente di mitra e pistole, città buie e corrotte fino all’osso…) ma se guardiamo nei dettagli scopriamo che questo film si discosta molto dai canoni del genere. La decostruzione dei generi fa parte, ormai, del marchio di fabbrica di questi due registi, e soprattutto per quanto riguarda il genere noir, già decostruito in altri grandi successi come “Blood Simple”, “Fargo” e “L’uomo che non c’era”), ma qui viene fatta in maniera quasi invisibile, esagerando certi aspetti e abbassandone altri a livelli della parodia. Se guardiamo “Crocevia della morte” abbiamo, innanzitutto, un gangster movie più psicologico che di azione: sono in realtà molto poche le sparatorie e molte di più le scene di dialogo, che richiamano lo stile di molti altri film dei Cohen dove i personaggi agiscono poco e parlano molto(uno su tutti “Il grande Lebowski”) filosofeggiando sugli eventi che accadono, sicuramente influenzati dagli studi di Ethan, laureato in filosofia presso l’Università di Princeton. Si potrebbe, infatti, considerare questo film come una sorta di “teorema filosofico” sul concetto di moralità(tema presente fin da subito con il primo dialogo sull’etica), tema paradossale per un film che parla del mondo criminale. Ma proprio qui sta la genialità dei Cohen che ci spiazzano con la descrizione di criminali che seguono principi etici(per quanto molto relativi) mentre, al contrario, il mondo delle istituzioni e della polizia viene descritto in termini negativi(critica verso il potere ametricano?) con i poliziotti che parteggiano per l’una e l’altra gang a seconda di come gli conviene. Inoltre se i due registi esaltano certi clichè del genere parodiando esplicitamente la figura dei gangster italoamericani(il già citato John Polito ma anche i suoi comprimari) dall’altro abbassano il tono del racconto a livello della commedia sentimentale con il personaggio di Verna Bernbaum(Marcia Gay Harden), motore di tutta l’azione e dei guai dei protagonisti. Ne viene fuori un “pastiche” di generi e di situazioni che da un lato esalta i canoni del gangster movie e dall’altro crea qualcosa di nuovo e indefinibile agli occhi dei puristi esaltando così la capacità narrativa dei due geniacci di Minneapolis abili, in questo modo, a spiazzare tutte le aspettative di spettatori e critica.
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jackiechan90
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giovedì 31 luglio 2014
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la decostruzione dei generi secondo i cohen
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È difficile recensire un film come “Crocevia della morte” poiché questo, più di molti altri film dei Cohen, è capace di spiazzarti con mille interrogativi. Innanzitutto sono da elogiare la colonna sonora di Cartel Burwell(sempre molto azzeccate le scelte musicali dei due fratelli!) e la ricostruzione storica della città dove si svolge la vicenda(che rimane sempre anonima, forse perché vuole essere un archetipo di tutte le tipiche città americane). E per finire la scelta degli attori e dei caratteristi(tra tutti il formidabile gangster interpretato da John Polito). Sembrerebbe, a prima vista, l’emblema del gangster-movie con tutti i clichè del genere(lotta tra gang, brama di potere, uso frequente di mitra e pistole, città buie e corrotte fino all’osso…) ma se guardiamo nei dettagli scopriamo che questo film si discosta molto dai canoni del genere.
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È difficile recensire un film come “Crocevia della morte” poiché questo, più di molti altri film dei Cohen, è capace di spiazzarti con mille interrogativi. Innanzitutto sono da elogiare la colonna sonora di Cartel Burwell(sempre molto azzeccate le scelte musicali dei due fratelli!) e la ricostruzione storica della città dove si svolge la vicenda(che rimane sempre anonima, forse perché vuole essere un archetipo di tutte le tipiche città americane). E per finire la scelta degli attori e dei caratteristi(tra tutti il formidabile gangster interpretato da John Polito). Sembrerebbe, a prima vista, l’emblema del gangster-movie con tutti i clichè del genere(lotta tra gang, brama di potere, uso frequente di mitra e pistole, città buie e corrotte fino all’osso…) ma se guardiamo nei dettagli scopriamo che questo film si discosta molto dai canoni del genere. La decostruzione dei generi fa parte, ormai, del marchio di fabbrica di questi due registi, e soprattutto per quanto riguarda il genere noir, già decostruito in altri grandi successi come “Blood Simple”, “Fargo” e “L’uomo che non c’era”), ma qui viene fatta in maniera quasi invisibile, esagerando certi aspetti e abbassandone altri a livelli della parodia. Se guardiamo “Crocevia della morte” abbiamo, innanzitutto, un gangster movie più psicologico che di azione: sono in realtà molto poche le sparatorie e molte di più le scene di dialogo, che richiamano lo stile di molti altri film dei Cohen dove i personaggi agiscono poco e parlano molto(uno su tutti “Il grande Lebowski”) filosofeggiando sugli eventi che accadono, sicuramente influenzati dagli studi di Ethan, laureato in filosofia presso l’Università di Princeton. Si potrebbe, infatti, considerare questo film come una sorta di “teorema filosofico” sul concetto di moralità(tema presente fin da subito con il primo dialogo sull’etica), tema paradossale per un film che parla del mondo criminale. Ma proprio qui sta la genialità dei Cohen che ci spiazzano con la descrizione di criminali che seguono principi etici(per quanto molto relativi) mentre, al contrario, il mondo delle istituzioni e della polizia viene descritto in termini negativi(critica verso il potere ametricano?) con i poliziotti che parteggiano per l’una e l’altra gang a seconda di come gli conviene. Inoltre se i due registi esaltano certi clichè del genere parodiando esplicitamente la figura dei gangster italoamericani(il già citato John Polito ma anche i suoi comprimari) dall’altro abbassano il tono del racconto a livello della commedia sentimentale con il personaggio di Verna Bernbaum(Marcia Gay Harden), motore di tutta l’azione e dei guai dei protagonisti. Ne viene fuori un “pastiche” di generi e di situazioni che da un lato esalta i canoni del gangster movie e dall’altro crea qualcosa di nuovo e indefinibile agli occhi dei puristi esaltando così la capacità narrativa dei due geniacci di Minneapolis abili, in questo modo, a spiazzare tutte le aspettative di spettatori e critica.
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dario
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sabato 14 marzo 2015
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virtuosistico
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La regia non è sciolta a causa dei troppi colpi di scena, metafore un po' grossolane della irrazionalità umana. La messinscena è spettacolare e un'amara ironia di fondo rende interessante l'operazione. Fotografia spettacolare e ambientazione perfetta. Byrne è poco adatto a fare il duro criminale, gli altri funzionano bene, a parte tentazioni caricaturali, talvolta riuscite, purtroppo. Stranamente lenti certi passaggi, non da Coen.
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