fabian t.
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domenica 27 febbraio 2011
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un picco gioiello sottovalutato
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Una storia intrigante, attori poco noti ma molto efficaci, scenari mozzafiato, finale tanto semplice quanto geniale. Sebbene fin da subito si noti, purtroppo, un'appena sufficiente investimento da parte della produzione che avrebbe potuto migliorare la sceneggiatura e gli effetti speciali, questo film, inevitabilmente paragonato al precedente "Duel" di Spieberg, possiede però uno strano fascino impossibile da ignorare. Nemmeno Spielberg e Carpenter riuscirono a trasmettere quell'inquietudine sottile che ti tiene incollato fino all'ultimo fotogramma, sensazione invece che qui Silverstein riesce invece a infondere. Sicuramente migliorabile da tanti punti di vista, sorprende pertanto come il regista sia stato capace di realizzare scene metaforicamente molto significative, già a partire da quella in cui un lento zoom iniziale su un tunnel (oscuro come una grotta) mostra la malefica epifania della macchina nera, tracciando un percorso lunghissimo con la nostra paura più recondita e i suoi simbolismi.
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Una storia intrigante, attori poco noti ma molto efficaci, scenari mozzafiato, finale tanto semplice quanto geniale. Sebbene fin da subito si noti, purtroppo, un'appena sufficiente investimento da parte della produzione che avrebbe potuto migliorare la sceneggiatura e gli effetti speciali, questo film, inevitabilmente paragonato al precedente "Duel" di Spieberg, possiede però uno strano fascino impossibile da ignorare. Nemmeno Spielberg e Carpenter riuscirono a trasmettere quell'inquietudine sottile che ti tiene incollato fino all'ultimo fotogramma, sensazione invece che qui Silverstein riesce invece a infondere. Sicuramente migliorabile da tanti punti di vista, sorprende pertanto come il regista sia stato capace di realizzare scene metaforicamente molto significative, già a partire da quella in cui un lento zoom iniziale su un tunnel (oscuro come una grotta) mostra la malefica epifania della macchina nera, tracciando un percorso lunghissimo con la nostra paura più recondita e i suoi simbolismi. Come pure il fatto che l'unica persona a rendersi conto per prima dell'auto senza guidatore (e poi del male sopraggiunto), sia una semplice anziana indiana, metafora dell'innocenza e del passato. E anche il tremendo suono del clacson, corrispondente a una cinica esultanza dopo ogni delitto, dimostra quanto di diabolico vi sia in una macchina di morte essenza stessa del male, senza come e senza perché. Difficile dire a che cosa si riferisse nello specifico questa metafora oltre a quella già indicata in precedenza dallo scrittore Richard Matheson, autore dell'idea originale, anche se il finale non fa che confermare tale terribile e malvagia presenza (d'altronde il luogo sacro del cimitero è il solo inaccessibile per la macchina nera). Il messaggio generale appare dunque chiaro: il male esiste e può apparire e agire in qualunque momento e senza alcun motivo. Può essere affrontato e sconfitto?
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dejavu
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domenica 13 maggio 2012
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il diavolo è partito in quarta
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Non è escluso che un giorno anche il diavolo possa prendere la patente, visto che ormai la danno a cani e porci. E il diavolo potrebbe saperla lunga in fatto di segnali stradali e sensi vietati, tanto da passare l'esame con estrema facilità. Ma l'essere diabolico che si nasconde dietro al volante di una Lincoln Continental tirata a lucido ne "La Macchina Nera" pare non aver alcuna intenzione di rispettare stop e precedenze, macinando chiunque gli capiti a tiro. Sono principalmente i simboli della civiltà occidentale, gli obiettivi che l'inarrestabile auto mette sotto le ruote seguendo forse un progetto preciso ma incomprensibile agli esseri umani che devono contrastarla.
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Non è escluso che un giorno anche il diavolo possa prendere la patente, visto che ormai la danno a cani e porci. E il diavolo potrebbe saperla lunga in fatto di segnali stradali e sensi vietati, tanto da passare l'esame con estrema facilità. Ma l'essere diabolico che si nasconde dietro al volante di una Lincoln Continental tirata a lucido ne "La Macchina Nera" pare non aver alcuna intenzione di rispettare stop e precedenze, macinando chiunque gli capiti a tiro. Sono principalmente i simboli della civiltà occidentale, gli obiettivi che l'inarrestabile auto mette sotto le ruote seguendo forse un progetto preciso ma incomprensibile agli esseri umani che devono contrastarla. Nessuno che a Santa Ynez sappia da quale Canyon sia sbucata fuori e soprattutto perché stia infestando le strade con una guida a dir poco incivile. E' ovvio quindi che tutti diano inizialmente la caccia a un pirata della strada cercando di dargli un volto. Solo quando un'indiana testimonierà di non aver visto anima viva dentro al veicolo, la polizia comincerà a individuare nella stessa auto una fonte di pericolo spaventosa e sovrumana.
Wade Parent (James Brolin) è il prestante poliziotto a due ruote - una specie di Poncherello di provincia - che deve cercare di fermare il bolide abbattutosi all'improvviso sulla sua piccola comunità. Lauren (Kathleen Loyd) è la sua compagna, una maestrina di scuola tutto pepe, con una strana somiglianza a Elisabetta Canalis e con un temperamento che non le manda a dire a nessuno, nemmeno all'auto tanto da diventare, nel giro di poco, uno dei bersagli preferiti della malefica ferraglia lanciata su strada. Dopo che anche il capo della polizia locale è stato steso sulla striscia continua dall'indomita belva a motore, Wade è costretto a prendere su di sé la responsabilità dell'intera operazione e a coordinare uomini e posti di blocco. Intanto Lauren, ignara di tutto, sta svolgendo una parata musicale on the road con bambini e personale scolastico, offrendo così se stessa e una gremita comitiva di bersagli mobili al demonio col parafanghi.
Il film si apre con l'investimento di due giovani ciclisti innamorati - lei è l'allora sconosciuta Melody Thomas Scott - e la distruzione dei miti dell'innocente adolescenza, del salutismo e del mezzo (la bici) che non inquina.
Toccherà poi alla Musica (il suonatore di corno francese), alla Libertà (il musicista è anche un yppie autostoppista), alla Legge (lo sceriffo capo), alla Scuola (gli studenti in fuga), alla Casa (l'agguato nel garage di proprietà), alla Famiglia (le figlie di Wade) e via discorrendo, in un tragitto sempre più convulso, imprevedibile e avvolto dalle polverose spirali di una scenografia desertica e mozzafiato. Di contaminazioni nel film potremmo parlare sino a domani, a partire dall'efficace colonna sonora di Leonard Rosenman che ricorda nei momenti topici quella de "Lo Squalo". E in fondo la macchina cos'è se non un grosso pescecane cromato che fuori dall'acqua semina il panico e sconvolge equilibri? Ma poi dove lo mettiamo il chiaro riferimento a "Duel", capolavoro visionario di Steven Spielberg dove c'era un tir a fare le veci della due posti? E ancora: l'asserragliamento di una cittadina e l'attacco sferrato agli allievi e agli insegnanti non sono forse una palese reminiscenza di ciò che accade anche ne "Gli Uccelli" di A. Hitchcock? "La Macchina Nera" (The Car) nulla inventa, per la verità, nemmeno quando colpisce le vittime con la soggettiva a vetri ambrati dell'assassino che si avvicina loro strombazzando in modo prepotente e fastidioso. Ma è comunque un buon "investimento" in quanto riesce ad essere un film "con una marcia in più" per il modo tutto particolare in cui rielabora le proprie fonti, per la perfetta fotografia e per i pirotecnici effetti speciali sui quali può contare (tipo quello della Lincoln che sfonda una casa o del finale che certo non rivelerò). E in fondo, il regista Elliot Silverstein riesce perfettamente a "veicolare" inquietudini e dilemmi dell'uomo contemporaneo, denunciando il progressivo abbrutimento della società industriale, partendo dall'inurbana condotta automobilistica e finendo con il demonizzare l'evoluzione tecnologica. Il messaggio giunge chiaro come un colpo di clacson, anche se per arrivare a destinazione chiede spesso un passaggio agli altri mezzi transitati sulla stessa via. D'altronde si sa che il diavolo riesce a fare le pentole ma non i copertoni.
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