lucaguar
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domenica 26 maggio 2013
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la spiritualità umana raccontata con le immagini
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Definire "Il settimo sigillo" un capolavoro è perfino riduttivo.
In questa pellicola del 1957 il geniale e taciturno Bergman riesce magistralmente a descrivere e ad esprimere i tumulti e i tormenti che l'animo umano da sempre si trova ad affrontare:la ricerca di Dio, la paura della morte, il senso e lo scopo delle fatiche della vita. Il cineasta svedese (che qui, a mio parere,tocca il punto più alto della sua carriera) entusiasma grazie ad un'atmosfera tutta particolare che aleggia sul film: un'atmosfera di mistero e di cupezza,trasmessa grazie ad una ambientazione medievale(epoca ideale quella del Medioevo per rappresentare il cupo,l'arcano e il misterioso) che immerge e coinvolge inevitabilmente lo spettatore nel vortice di domande e di dubbi esistenziali che stradafacendo si pone il cavaliere crociato Antonius Block (eccezionale Max Von Sydow),che rappresenta ogni uomo in ogni tempo.
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Definire "Il settimo sigillo" un capolavoro è perfino riduttivo.
In questa pellicola del 1957 il geniale e taciturno Bergman riesce magistralmente a descrivere e ad esprimere i tumulti e i tormenti che l'animo umano da sempre si trova ad affrontare:la ricerca di Dio, la paura della morte, il senso e lo scopo delle fatiche della vita. Il cineasta svedese (che qui, a mio parere,tocca il punto più alto della sua carriera) entusiasma grazie ad un'atmosfera tutta particolare che aleggia sul film: un'atmosfera di mistero e di cupezza,trasmessa grazie ad una ambientazione medievale(epoca ideale quella del Medioevo per rappresentare il cupo,l'arcano e il misterioso) che immerge e coinvolge inevitabilmente lo spettatore nel vortice di domande e di dubbi esistenziali che stradafacendo si pone il cavaliere crociato Antonius Block (eccezionale Max Von Sydow),che rappresenta ogni uomo in ogni tempo.
La straordinaria fotografia in bianco e nero di Gunnar Fischer fa da splendido contorno ad una magistrale scelta dei personaggi, tra i quali troviamo, oltre al tormentato ed introspettivo crociato Antonius, anche il suo cinico e nichilista scudiero Jons e ovviamente la Morte,rappresentata da Bergman in modo semplice ma perfetto attraverso l'ottima interpretazione di Bengt Ekerot.Ogni personaggio è una gemma incastonata in una miniera di emozioni, dubbi e mancate risposte, che però culminano, alla fine del film, con una sensazione: Bergman attraverso la "danza macabra della Morte"della scena finale vuol forse far capire che i nostri dubbi rimarranno sempre tali e che l'unica soluzione al mistero della vita è quella dell'accettazione serena della Morte quale realtà immutabile,un passaggio necessario ma non necessariamente doloroso e disperato.
Insomma un film che per profondità delle tematiche trattate,fotografia ed efficacia nel trasmettere interesse su temi così importanti forse non ha eguali nella storia del cinema.
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tom87
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giovedì 14 marzo 2013
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il valore del dubbio...
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“Il settimo sigillo”, premio speciale della giuria a Cannes ’57, è una delle opere più note del cinema. Una pellicola asciutta, ricca di immagini consegnate alla memoria collettiva; solenne e tragica; impreziosita da atmosfere metafisiche nonché da toni lugubri, funerei e religiosi, che esprimono un forte malessere esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, ritornato in patria dalle crociate, gioca una partita a scacchi con la Morte: fin quando durerà, la Morte non agirà su di lui. Inizia da qui un duro viaggio tra paure e disumanità. Nel frattempo Antonius renderà utile il tempo rimanente e compie una buona azione. La Morte darà scacco matto: nelle prime luci dell’alba, su una collina, essa guiderà un corteo di defunti con in testa Antonius, in una delle più toccanti e famose sequenze del cinema.
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“Il settimo sigillo”, premio speciale della giuria a Cannes ’57, è una delle opere più note del cinema. Una pellicola asciutta, ricca di immagini consegnate alla memoria collettiva; solenne e tragica; impreziosita da atmosfere metafisiche nonché da toni lugubri, funerei e religiosi, che esprimono un forte malessere esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, ritornato in patria dalle crociate, gioca una partita a scacchi con la Morte: fin quando durerà, la Morte non agirà su di lui. Inizia da qui un duro viaggio tra paure e disumanità. Nel frattempo Antonius renderà utile il tempo rimanente e compie una buona azione. La Morte darà scacco matto: nelle prime luci dell’alba, su una collina, essa guiderà un corteo di defunti con in testa Antonius, in una delle più toccanti e famose sequenze del cinema. Il film rimanda all’Apocalisse di S. Giovanni: il 7° sigillo, l’ultimo ad essere aperto, avrebbe annunciato la venuta di sette angeli portatori di sciagure sulla Terra; ad ogni suono di tromba l’umanità avrebbe patito sofferenze, angosce e morte. Per il laico Bergman, però, a differenza del brano, guai e dolori non sono stati decisi da un Dio castigatore, bensì procurati dall’Uomo stesso. Nella soffocante atmosfera di un Medioevo nordico, il regista trova la degna cornice per mettere in scena la foschia spirituale che opprime l’uomo contemporaneo. E lo fa con elegante cura formale: fotografia b/n raggelante, raffinatezza stilistica-figurativa, richiami pittorici e scultorei a celebri artisti, ottimi interpreti, regia rigorosa, scarna e austera. Bergman ha sempre indagato con lucida intelligenza il senso dell’esistenza e i misteri dello spirito. E in questo film si è interrogato soprattutto sull’inquietante silenzio di Dio e sul potere salvifico dell’amore. Questo angosciante silenzio terrorizza il protagonista nel suo infinito vagabondare, a sua volta metafora di un continuo oscillare tra perdizione e salvezza spirituale, disperazione e speranza. In lui si riflette il regista, atterrito dall’ignoto e dall’impossibilità di cogliere Dio con i propri sensi. Eppure ciò malgrado, è incapace di restare indifferente allo struggente richiamo del sacro in lui. Ombrosi primi piani e tenebrosi ambienti, nel rappresentare gli sconsolati e cupi stati d’animo dei personaggi, descrivono fortemente il senso di smarrimento e confusione esistenziale di un mondo sempre meno sorretto dalla fede in Dio o dall’amore, e sempre più alla ricerca di un senso al proprio Io e alla propria vita. All’infuori degli innamorati attori consorti, tutti gli altri sembrano essere l’indistinto sfondo di tetri paesaggi. E’ solo nella bontà e sensibilità dei due attori coniugi, simboli di un’innocenza da tutelare, che Antonius sembra intravedere una luce salvifica per il riscatto della sua anima inquieta e disillusa, inaridita e svuotata dal cieco materialismo del mondo, dall’oscurità del mistero, dall’assurdità dell’esistenza. Per questo sentirà il desiderio di salvarli. Ma soprattutto perché, proteggendo le loro anime dalla corruzione del mondo, proteggerà a sua volta anche quella flebile speranza per il futuro dell’umanità, che loro incarnano con tanta tenerezza e dolcezza. Alla fine risiede qui il senso della pellicola: l’Uomo dev’essere sempre responsabile verso il Mistero che lo circonda, perché la salvezza non viene solo dal fare il bene, ma anche dal rispettare il valore grande del dubbio. Solo così, lo scacco matto da parte della Morte, sarà un po’ meno trionfante...
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giuliana 1939
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giovedì 20 settembre 2012
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la purezza
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Ho visto " Il settimo sigillo " che ero una ragazzina ( io credo, come lo credevano i miei genitori) che la bellezza può essere compresa anche da ibambini. Ogni cinque o sei anni lo rivedo e sempre stupisco di come le domande che si pone Bergmar siano le mie domande e, alla fine quelle di tutti. Ho individuato alcuni personaggi che danno gioia e lietezza: il giullare è semplice di cuore,incline al perdono, ed è l'unico a vedere la Madonna e poi il cavaliere con la morte e tutti altri altri che si tengono per mano Nella " Fontana della vergine " semplicità di cuore e purezza sono la ragazza che rimane vittima e anche il ragazzino. Nel èposto delle fragole.
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Ho visto " Il settimo sigillo " che ero una ragazzina ( io credo, come lo credevano i miei genitori) che la bellezza può essere compresa anche da ibambini. Ogni cinque o sei anni lo rivedo e sempre stupisco di come le domande che si pone Bergmar siano le mie domande e, alla fine quelle di tutti. Ho individuato alcuni personaggi che danno gioia e lietezza: il giullare è semplice di cuore,incline al perdono, ed è l'unico a vedere la Madonna e poi il cavaliere con la morte e tutti altri altri che si tengono per mano Nella " Fontana della vergine " semplicità di cuore e purezza sono la ragazza che rimane vittima e anche il ragazzino. Nel èposto delle fragole.la ragazza contesa fra o Vittorio Spinazzola sia del mio parere.l'ateo e il credente, che diventa amica del professore. Non posso fare un'analisi di tutti i film di Bergmar da questo punto d ivista.Sono contenta che anche il grande critico Vittorio Spinazzola sia del mio parerei
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tiamaster
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martedì 29 maggio 2012
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il capolavoro di bergman
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Il settimo sigillo....probabilmente non esiste un film più bello,struggente e angosciante sul tema del rapporto tra l'uomo e la morte.Con questo CAPOLAVORO ingmar bergman non solo si afferma come uno dei più grandi registi di sempre,che ha regalato al mondo decine e decine di capolavori intramontabili,ma scrive la storia del cinema,creando più di un film,un opera d'arte.Ingmar bergman racconta questa grandissima storia in modo mai superficiale,con tale forza da riuscire a far pensare lo spettatore ancora oggi,a 56 anni dalla sua uscita.Infatti le opere d'arte non invecchiano mai,e il settimo sigillo è efficace come allora,non meno angosciante,non meno universale e potente.
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Il settimo sigillo....probabilmente non esiste un film più bello,struggente e angosciante sul tema del rapporto tra l'uomo e la morte.Con questo CAPOLAVORO ingmar bergman non solo si afferma come uno dei più grandi registi di sempre,che ha regalato al mondo decine e decine di capolavori intramontabili,ma scrive la storia del cinema,creando più di un film,un opera d'arte.Ingmar bergman racconta questa grandissima storia in modo mai superficiale,con tale forza da riuscire a far pensare lo spettatore ancora oggi,a 56 anni dalla sua uscita.Infatti le opere d'arte non invecchiano mai,e il settimo sigillo è efficace come allora,non meno angosciante,non meno universale e potente.più che da vedere DA VIVERE.Grandissima la fotografia,grandissima la regia e grandissimo Max Von Sydow.Straordinario.
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salvo
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mercoledì 7 marzo 2012
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il medioevo di antonius e jons non è mai finito.
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In compagnia di Jons, uno scettico e disilluso e pragmatico scudiero (the squire), (Gunnar Björnstrand), il cavaliere Antonius Block (Max von Sidow) ha consumato quasi tutta la sua fede in Dio in guerra.
Stanco e sfiduciato e infastidito dalla vita, credente ma assalito e tormentato e roso dal dubbio, torna dalle Crociate in Terra Santa.
Si ritrova in un paese (la Danimarca, tra Roskilde e Illerod) dove imperversano il disordine, la peste e il fanatismo religioso.
Su una spiaggia sassosa e inospitale, dove ha passato la notte, sotto un cielo grigio e vicino ad un mare minaccioso, le si manifesta la Morte (Bengt Ekerot) che lo segue ormai da molto tempo.
E' arrivata per portarlo via con se.
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In compagnia di Jons, uno scettico e disilluso e pragmatico scudiero (the squire), (Gunnar Björnstrand), il cavaliere Antonius Block (Max von Sidow) ha consumato quasi tutta la sua fede in Dio in guerra.
Stanco e sfiduciato e infastidito dalla vita, credente ma assalito e tormentato e roso dal dubbio, torna dalle Crociate in Terra Santa.
Si ritrova in un paese (la Danimarca, tra Roskilde e Illerod) dove imperversano il disordine, la peste e il fanatismo religioso.
Su una spiaggia sassosa e inospitale, dove ha passato la notte, sotto un cielo grigio e vicino ad un mare minaccioso, le si manifesta la Morte (Bengt Ekerot) che lo segue ormai da molto tempo.
E' arrivata per portarlo via con se.
Block le dice di non essere pronto:
"Il mio spirito lo è, ma non il mio corpo. Dammi ancora del tempo”.
E, proprio per prendere tempo, la sfida ad intraprendere una partita a scacchi contro di lui.
Nel prosieguo del film, una famiglia di saltimbanchi, incrociata sulla via di casa, gli fa assaporare, forse per l'ultima volta, un pizzico di fiducia nella vita.
Ma, questa inaspettata serenità, lo indurrà anche a porsi ulteriori domande su Dio, sulla religione, sulla vita e sulla morte.
Antonius Block si trattiene addirittura, durante la partita a scacchi itinerante più incredibile della storia del cinema, in una lunga serie di incontri-scontri dialogici con la stessa Morte.
Il film, sicuramente uno dei migliori, dei più profondi e ricchi di simbolismi, di Ingmar Bergman, è, in definitiva, un'allegoria tipicamente scandinava sulla vita dell'uomo, passata quasi interrottamente alla spasmodica ricerca di Dio, ma che ha, come unica definitiva certezza, solo la morte.
Come era solito che accadesse negli spettacoli medievali (un esempio viene fedelmente ricostuito e riproposto dal regista, nel corso del film, proprio attraverso lo spettacolo della famiglia di attori composta da Jof-Niels Poppe, Mia-Bibi Anderson e dall'altro attore anziano), il tragico convive con il comico.
Il film esprime in modo assai lineare tutte le problematiche esistenziali dell'uomo.
Il cavaliere Antonius Block, attraversa idealmente ma anche fisicamente tutte le possibili tragedie umane:
la guerra;
le pestilenze;
il giustizialismo;
l'adulterio;
il ladrocinio;
le sopraffazioni;
la violenza sessuale;
la superstizione;
il fanatismo religioso;
et alia.
E sembra riscattarle tutte con un unico escamotage: provocando un diversivo (fa cadere alcuni pezzi degli scacchi con un maldestro movimento del suo mantello) il cavaliere distrae la Morte e salva la famiglia dei saltimbanchi, permettendo loro di allontanarsi alla sua vista.
La famiglia: un'oasi felice in un mondo crudele.
Molto importante una delle scene iniziali che vede protagonista l'intera famiglia di attori, composta dal saltimbanco Jof, sua moglie Mia (una sfolgorante esordiente Bibi Anderson) il suo figlioletto e l'amico capo-comico.
Mentre parla al suo cavallo, Jof ha una visione celestiale: la Madonna regge per mano il bambino, accompagnandolo mentre muove i suoi primi passi sul prato.
Jof sveglia la moglie Mia che lo esorta a non abbandonarsi alle solite fantasticherie.
Si sveglia anche l'attore che vive e lavora con loro.
Si sveglia anche il figlioletto, per il quale il padre prevede un avvenire luminoso.
Mia ribadisce il suo amore per il marito Jof.
E' una famiglia povera e semplice, ma felice.
E non a caso sfugge alla Morte.
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gi4ndo
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giovedì 23 febbraio 2012
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l'essenza della vita
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il film che fa amare il cinema. uno dei migliori film di sempre
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oblivion7is
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lunedì 29 agosto 2011
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innanzitutto una poesia sulla morte, e poi un film
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Cos'è la morte? È l'unica certezza che si ha della vita. Ma se si vive per morire, come fa ad esistere un Dio, come fa ad essere così crudele? E non esistendo Dio non esiste nemmeno la vita dopo la morte, che già non avrebbe scopo: se vivere serve a morire cosa serve un'altra vita dopo di essa nella quale non si muore? E qui possono nascere riflessioni filosofiche religiose che durano millenni. Ed è proprio per questo che Il Settimo Sigillo è un film così bello! Perché fa ragionare tanto, dice poche semplici cose che però ne rivelano tante e complesse dalle quali ne nascono tante altre ancora sulle quali si può parlare all'infinito tirando fuori la morte, l'amore, la vita, la religione.
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Cos'è la morte? È l'unica certezza che si ha della vita. Ma se si vive per morire, come fa ad esistere un Dio, come fa ad essere così crudele? E non esistendo Dio non esiste nemmeno la vita dopo la morte, che già non avrebbe scopo: se vivere serve a morire cosa serve un'altra vita dopo di essa nella quale non si muore? E qui possono nascere riflessioni filosofiche religiose che durano millenni. Ed è proprio per questo che Il Settimo Sigillo è un film così bello! Perché fa ragionare tanto, dice poche semplici cose che però ne rivelano tante e complesse dalle quali ne nascono tante altre ancora sulle quali si può parlare all'infinito tirando fuori la morte, l'amore, la vita, la religione. Antireligioso fino al midollo, questo diciassettesimo (su oltre 40, senza contare quelli minori e quelli per la TV) film di Bergman ci mostra un pessimismo lucido e a tratti quasi leggera, tant'è che ci propina delle scene comiche che sfiorano l'esilarante, in particolare quella del maniscalco che becca Jonas con sua moglie mentre in sottofondo Jöns anticipa tutte le loro mosse e battute. Ma le scene più cupe e cattive sono dietro l'angolo, che aspettano ad attaccare lo spettatore al divano e a fargli pensare "Meno di 5 minuti di fa ridevo, ma adesso mi chiedo... perché?" (situazione che si trova, tra l'altro, nella scena prima descritta). Un cavaliere appena tornato dalle Crociate, mentre torna a casa con scudiero e un gruppo di saltimbanchi, deve contrattare con la Morte la sua vita, tramite una partita a scacchi. Il protagonista perde di proposito per salvare i saltimbanchi, ma in compenso la Morte porta fuori sia lui che il suo scudiero, la moglie e altri tre tra conoscenti e amici che lo accompagnavano nel viaggio. Pieno di scene memorabili che hanno fatto la storia del cinema (molte parodiate nel cereberrimo "Sacro Graal" dei Monty Python), tra le quali una che è stata citata in molteplici film, ovvero quella della ragazza fintamente indemoniata che, mentre viene bruciata, viene apostrofata da Jöns, non credente, che, rivolgendosi al protagonista, dice "Guarda i suoi occhi. Sono vuoti, come Dio" e cose simili (tra i film che l'hanno citato nomino l'horror-drama "Martyrs" di Pascal Laugier del 2008, dove un'associazione crudele tortura vittime casuali fino a far loro sfiorare la morte per poi cercare di vedere nei loro occhi - "È stata torturata per tre mesi, guardi i suoi occhi. Lei, 1914, è stata torturata dai nazisti dopo essere andata a letto con un ebreo. Guardi i suoi occhi!" - se si può capire dov'è l'aldilà). Le riflessioni poi sono un sacco e potrebbero prendere l'intera recensione, quindi passo alla tecnica. La regia è molto bella, la sceneggiatura è azzeccata e, ovviamente, la fotografia è il punto forte. Premetto che di Bergman per ora conosco solo questo e "Sussurri e grida" (i suoi due film più famosi oltre che a "Il Posto delle Fragole"?), quindi non posso giudicare benissimo. Però urlo comunque al capolavoro. Nella top 50 di ogni appassionato che si rispetti.
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riccardo-87
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mercoledì 25 maggio 2011
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bergman tra kierkegaard e nietzsche
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Capolavoro inarrivabile e senza tempo, “il settimo sigillo” parla della vita e della morte, del “timore e tremore”, per citare Kierkegaard, che attanaglia l’uomo quand’egli si ponga il problema di senso esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, di ritorno dalle crociate, trova ad aspettarlo la morte, con la quale compirà il suo ultimo viaggio , alla ricerca di una risposta al problema che lo affligge, il problema del senso dell’esistere e del trapassare. Il tremore che affligge il nobile protagonista appare scaturire non tanto la morte in sé, quanto il timore di aver vissuto invano, per quanto cerci al contempo anche una risposta alla domanda sul che cosa ci sarà dopo la morte.
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Capolavoro inarrivabile e senza tempo, “il settimo sigillo” parla della vita e della morte, del “timore e tremore”, per citare Kierkegaard, che attanaglia l’uomo quand’egli si ponga il problema di senso esistenziale. Il cavaliere Antonius Block, di ritorno dalle crociate, trova ad aspettarlo la morte, con la quale compirà il suo ultimo viaggio , alla ricerca di una risposta al problema che lo affligge, il problema del senso dell’esistere e del trapassare. Il tremore che affligge il nobile protagonista appare scaturire non tanto la morte in sé, quanto il timore di aver vissuto invano, per quanto cerci al contempo anche una risposta alla domanda sul che cosa ci sarà dopo la morte. La morte (intepretata magistralmente da Bengt Ekerot), dice al cavaliere che questo è l’interrogativo che tutti le pongono, ma che non è dato sapere la risposta. Block decide così di sfidare la morte ad una partita a scacchi, con il duplice scopo di prendere tempo per trovare risposte e di vedere se si può vincere la morte nella partita a scacchi che ogni uomo, proprio in quanto ente definito dalle categorie kantiane di spazio e tempo, deve necessariamente giocare, e, altrettanto necessariamente, perdere. L’ambientazione in cui Bergman decide di far svolgere la vicenda è significativa: un paesaggio medievale – appunto il tempo delle crociate – pervaso dalla peste e dall’autoflagellazione a cui molte persone, sopraffatte dal terrore della malattia mortale per eccellenza di quel tempo, si sottopongono nella speranza di redimere così i propri peccati. In questo contesto macabro, superstizioso e mortuario siccano però diverse figure di notevole interesse: oltre al cavaliere Block, da rimarcare sono il suo scudiero Jons, figura che rappresenta il sarcasmo dello scettico del materialista verso il fanatismo religioso, e il buffone Jof, colui che prende la vita come un gioco e, per così dire, come un carnevale continuo. Il film rappresenta una ricerca vana della risposta: la morte non da spiegazioni, e solo la fede, una fede profonda e interiore, kierkegaardiana, può alleviare il senso di oppressione costante della morte nella vita; altrimenti si può sfuggire tale senso di oppressione tramite il vivere dionisicamente, come il buffone Jof, il quale, pur vedendo alla fine la morte danzare con il cavaliere e gli altri, riesce a sfuggirle. Emblematica e nietzschiana è appunto l’idea che sia il buffone a sopravvivere, colui che incarna da un lato la vita spensierata, dall’latro la vita di colui che risece a guardare la morte con il “pathos della distanza” che gli permette di non caderne preda. Si potrebbe inoltre fare un parallelo assai suggestivo tra la figura del buffone di Bergman ne “il settimo sigillo” e il “matto” di Fellini ne “la strada”: entrambe appaiono felici perché riescono a filosofeggiare sulla vita senza venir coinvolti dai drammi che essi stessi vedono nel mondo e nell’esistenza degli uomini, la morte vista appunto dal buffone e la solitudine di Zampanò che il matto fa notare a Gelsomina – “se non ci stai tu con lui, chi ci sta?”-. in conclusione, si potrebbe dire che il film pone anche un altro poblema centrale: la sensazione che vi siano al mondo troppe domande che esigono una risposta ma che non la trovano; questa assenza di risposte è ciò che, ancora una volta kierkegaardianamente, produce nell’uomo il sentimento dell’angoscia che lo accompagna, per lo più, durante l’intera sua esistenza.
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mondolariano
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lunedì 18 aprile 2011
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un cerimoniale del pensiero
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Il “settimo sigillo” è uno dei più potenti procedimenti drammatici conosciuti. Fascino sottile, di difficile comprensione per chi ragiona in termini di ritmo, azione e spettacolo. Ciò che da alcuni critici viene scambiato per noia è niente meno che meditazione profonda, quel particolare tipo di meditazione che alle parole preferisce i silenzi, i volti, i gesti, sorta di cerimoniale del pensiero di impressionante potere evocativo. Attenzione al monologo filosofico del protagonista davanti alla grata del confessionale.
Certe inquadrature valorizzate dal bianco-nero, certe situazioni strazianti cui fa da ottimo contrasto il candore della giovane coppia o la semplicità di alcune scene come la morte del saltimbanco sull’albero, fino a sfociare in un terribile finale dove il nulla si fa realtà e il senso della vita resta ignoto davanti alla morte, non soltanto per i cinque protagonisti ma per l’intero genere umano.
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Il “settimo sigillo” è uno dei più potenti procedimenti drammatici conosciuti. Fascino sottile, di difficile comprensione per chi ragiona in termini di ritmo, azione e spettacolo. Ciò che da alcuni critici viene scambiato per noia è niente meno che meditazione profonda, quel particolare tipo di meditazione che alle parole preferisce i silenzi, i volti, i gesti, sorta di cerimoniale del pensiero di impressionante potere evocativo. Attenzione al monologo filosofico del protagonista davanti alla grata del confessionale.
Certe inquadrature valorizzate dal bianco-nero, certe situazioni strazianti cui fa da ottimo contrasto il candore della giovane coppia o la semplicità di alcune scene come la morte del saltimbanco sull’albero, fino a sfociare in un terribile finale dove il nulla si fa realtà e il senso della vita resta ignoto davanti alla morte, non soltanto per i cinque protagonisti ma per l’intero genere umano. Tutto questo, a mio parere, si merita la medaglia d’argento della filmografia dopo “Quarto potere”.
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[+] il punto di vista di dio
(di giuliana 1939)
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