
Una riflessione a partire da On the Road di Walter Salles, tratto dal romanzo capolavoro di Jack Kerouac. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
Sabato scorso Iris HD ha trasmesso On the Road, il film di Walter Salles tratto dal romanzo capolavoro di Jack Kerouac: Dico subito che come sempre il film non è all’altezza dello scritto ma talvolta gli si può avvicinare.
Il film racconta la ribellione di quella che venne chiamata la beat generation può riguardare una fascia particolare, un segmento, una certa casta. Riguarda i giovani con l’attitudine della estrema ricerca personale, magari antropologica, ma dolorosa e possibile solo se sei un prescelto, se quell’attitudine ti appartiene davvero. Non era questione di genitori o di padroni, era una vicenda di “se stessi”, con un progetto profondo e finale, radicale come una missione, con la marijuana invece della fede. Il resto era girare il mondo, con¬frontarsi coi propri (pochi) simili, rifiutare non solo il sogno ame¬ricano della realizzazione – coi dollari – ma procurarsi quel poco che serviva caricando sacchi, pulendo cessi o servendo a un bar. Per poi partire per un altro viaggio e un altro incontro. Viaggiando su un furgone guardando le stelle con l’opportuno additivo visionario. Un’istantanea generale può essere: una stanza scrostata, un portacenere tracimante di cicche, un lavandino sporco, una ragazza o un ragazzo a letto, nudi, che si intravedono da una porta socchiusa, un libro vicino a un accendino e a una lattina di birra, a firma Proust, o Wolfe, o Bourrougs, una macchina da scrivere là in un angolo.
Quelli non volevano cambiare il mondo, anzi, volevano che restasse com’è, come specchio a contrasto delle loro diversità. Poi vennero, alla fine del decennio successivo, altri giovani, dalle ottime intenzioni iniziali, portatori di una ribellione collettiva. Gruppi diversi, ma non così diversi. E le generazioni che seguirono, tutte finché rimasero giovani, qualcosa raccolsero, degli uni e degli altri.
Sal Paradise è il protagonista, intende fare lo scrittore ma resta invischiato nel branco, finché si ravvede e prende coscienza di essere “americano”. Abbandona tutti, compreso il suo grande amico Moriarty. Diventerà uno scrittore, e che scrittore, diventerà Kerouac. Memorabili sono le ultime righe di "On the Road".
“…E così in America, quando il sole tramonta e me ne sto sedu¬to sul vecchio molo diroccato del fiume a guardare i lunghi cieli sopra il New Jersey e sento tutta quella terra nuda che si srotola in un’unica incredibile enorme massa fino alla costa occidentale, e a tutta quella strada che corre e a tutta quelle gente che sogna nella sua immensità, e so che a quell’ora nello Iowa i bambini stanno piangendo nella terra in cui si lasciano piangere i bambini, e che stanotte spunteranno le stelle, e non sapete che Dio è Winnie Pooh?, e che la stella della sera sta tramontando e spargendo le sue fioche scintille sulla prateria proprio prima dell’arrivo della notte fonda che benedice la terra, oscura tutti i fiumi, avvolge le vette e abbraccia le ultime spiagge, e che nessuno, nessuno sa cosa toccherà a nessun altro se non il desolato stillicidio della vecchiaia che avanza, allora penso a Dean Moriarty, penso persino al vecchio Dean Moriarty padre che non abbiamo mai trovato, penso a Dean Moriarty… “
Ecco qui. E non c’è pellicola, e non c’è cineasta, che possa star dietro a queste parole grandi.
Era quella l’America degli anni Cinquanta, cioè i suoi anni belli. Erano appena finite due guerre, Mondiale e Corea e già incombeva il Vietnam. Da allora altra America, il Golfo, l’Afghanistan e le guerre di adesso in gran parte “americane”. Eh sì, tempi molto diversi.
Ma il mio tema diventa un altro. Per analogia e contrappasso se vogliamo. Allora quei giovani era così e i nostri, qui da noi, come sono? C’è qualche lontana analogia?
C’è qualche modo per misurare la felicità? Per cercare di immaginare un destino?
I nostri giovani. In generale, sono multietnici, inclusivi, informatici, iperconnessi.
Non mancano casi di razzismo, ma dovuti all'ignoranza e al non sapere i retroscena, ma credo questo sia un problema trasversale a tutte le età e a tutte le categorie.
Sono gender fluid, cioè non prestano più di tanto attenzione al genere sessuale: si è come si è!
La generazione Z: gli adolescenti nel 2024.
Sono ipertecnologici, hanno totale dimestichezza coi Social, tutti quanti, che sono la loro principale fonte di confronto col mondo, e anche la loro principale vetrina. Sono attenti all'ambiente e alla sostenibilità.
Tra questi, una categoria molto ampia, più effimera, invece è molto più legata alle mode che a temi sociali, ai grandi marchi del lusso che spesso si ritrovano nelle canzoni rap e trap, a uno status sociale elevato (da raggiungere) connotato da satus symbol precisissimi: il borsello di Gucci, la tuta della Nike, la Lamborghini...
Gli Alternativi
Sono artisti e artistoidi, intellettuali sia in amniera profonda che, a volte, per posa, (includiamo anche i graffitari, non tutti sono vandali, alcuni sono veri e propri artisti che hanno anche ottenuto visibilità e riconoscimenti e con le loro opere sui muri portano avanti concetti socialmente impegnati).
Restano al di fuori del sistema "denaro a tutti i costi", che un po’ disprezzano, non seguono le mode, preferiscono il local al global. Sono alternativi.
Ecco, ho presentato due istantanee di tempi e di umani diversi. Le analogie le lascio al lettore.