writer58
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martedì 1 maggio 2012
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fino all'ultimo respiro...
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"Verrà il giorno in cui tutta la gente d'Irlanda potrà mostrare il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna »
(The diary of Bobby Sands)
Maze, NordIrlanda, 1981.
Il corpo di Bobby Sands scheletrito, pieno di ulcere, gli organi che cedono uno per uno, la vista che si annebbia,la coscienza tenuta vigile solo da una determinazione immensa, 66 giorni di digiuno totale fino alla morte. La morte come strategia di pressione per ottenere lo status di "prigioniero politico" ed estremo tentativo di riprendersi la propria libertà, il proprio diritto di scegliere.
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"Verrà il giorno in cui tutta la gente d'Irlanda potrà mostrare il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna »
(The diary of Bobby Sands)
Maze, NordIrlanda, 1981.
Il corpo di Bobby Sands scheletrito, pieno di ulcere, gli organi che cedono uno per uno, la vista che si annebbia,la coscienza tenuta vigile solo da una determinazione immensa, 66 giorni di digiuno totale fino alla morte. La morte come strategia di pressione per ottenere lo status di "prigioniero politico" ed estremo tentativo di riprendersi la propria libertà, il proprio diritto di scegliere.
Ogni due settimane, un prigioniero nordirlandese inizia questo calvario, una staffetta verso un esito previsto, un passaggio di testimone da corpo a corpo, da persona a persona, da una vita segnata dal carcere e dalle sevizie dei secondini all'ultima protesta e affermazione di dignità.
Le mani di una guarda carceraria sanguinanti, piene di ecchimosi, screpolate dalle troppe percosse inflitte. Un reparto di poliziotti in assetto da guerra che prende posizione su due fila parallele battendo i bastoni sugli scudi e abbattendoli sui prigionieri che devono passare in mezzo a loro. I corridoi del carcere di Maze invasi dall'urina, le mura delle celle imbrattate di escrementi. Lunghi piani-sequenza che paiono disegnati da un occhio geometrico, che scarnifica le immagini, le riduce all'essenziale, così come priva i corpi dalle protezioni della pelle, del muscoli, del grasso.
Bobby Sands e un prete vicino all'IRA che si confrontano sulla strategia dello sciopero della fame. 20 minuti di dialogo con la telecamera fissa; una guardia freddata con un colpo alla testa mentre visita la madre in una casa di riposo, la testa inondata di sangue sul suo grembo.
I parenti dei detenuti, le loro visite, la compostezza dei genitori di Sands nell'accettare il suo sacrificio. La voce della Thatcher che si oppone alle richieste dei prigionieri, che parla di pietà senza conoscere il significato della parola. Un lenzuolo bianco per avvolgere i 9 cadaveri che seguiranno Sands nel suo percorso.
Un film straordinario, dirompente, tagliente come un bisturi. Un grande esordio.
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osteriacinematografo
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mercoledì 4 luglio 2012
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l'agonia di bobby sands
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Irlanda del nord, anni 70. Margaret Thatcher, primo ministro d’Inghilterra, ha abolito lo status di prigioniero politico, e i detenuti appartenenti all’IRA debbono sottostare al regime carcerario ordinario, subendo la sorte e la destinazione dei criminali comuni. In seguito a tal decisione, i membri della resistenza armata irlandese detenuti a Long Kesh –più noto come Maze (Labirinto)- decisero così di porre in essere una serie di atti di protesta eclatanti: nel 1976 diedero vita alla protesta delle coperte (blanket protest), rifiutando di indossare l’uniforme carceraria ; nel 1978 procedettero alla “protesta dello sporco “ (dirty protest), una sorta di sciopero dell’igiene in base al quale i detenuti rifiutavano ogni forma di pulizia, imbrattando i muri coi propri escrementi e inondando d’urina i corridoi.
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Irlanda del nord, anni 70. Margaret Thatcher, primo ministro d’Inghilterra, ha abolito lo status di prigioniero politico, e i detenuti appartenenti all’IRA debbono sottostare al regime carcerario ordinario, subendo la sorte e la destinazione dei criminali comuni. In seguito a tal decisione, i membri della resistenza armata irlandese detenuti a Long Kesh –più noto come Maze (Labirinto)- decisero così di porre in essere una serie di atti di protesta eclatanti: nel 1976 diedero vita alla protesta delle coperte (blanket protest), rifiutando di indossare l’uniforme carceraria ; nel 1978 procedettero alla “protesta dello sporco “ (dirty protest), una sorta di sciopero dell’igiene in base al quale i detenuti rifiutavano ogni forma di pulizia, imbrattando i muri coi propri escrementi e inondando d’urina i corridoi.
Dopo alcuni anni trascorsi in carcere in condizioni disumane, i paramilitari dell’IRA, nel 1980, intrapresero il primo sciopero della fame, durato quasi due mesi, fino al momento in cui il governo inglese promise rapidi cambiamenti del loro regime carcerario. Ciò non avvenne mai, e Bobby Sands, divenuto ufficiale comandante dell’IRA a Long Kesh, il primo marzo del 1981, iniziò uno sciopero della fame che lo condusse alla morte, poco più di due mesi dopo. Entro l’agosto di quello stesso anno, morirono in modo analogo altri nove militanti dell’IRA detenuti a Maze.
Il film del regista inglese Steve McQueen si rivela un esercizio estetico di puro cinema: mostra la realtà senza filtro e senza artifici di sorta, rifiutandosi di raccontare in modo canonico. Le parole non servono, o ne servono poche per mostrare lo squallore e la crudezza della realtà carceraria, che qui si rivela in una nera magnificenza che diviene spirale di morte.
Lo stile di McQueen ricorda quello contemplativo ed estenuante di Gus Van Sant, per le infinite sequenze che indugiano ossessivamente sui particolari che scandiscono la prigionia, sulla quotidianità che si ripete in modo asfissiante e meccanico, spezzata soltanto da brevi istanti distonici. E così osserviamo la pulizia di un corridoio in versione integrale, e il rumore dello straccio e dell’acqua contro il pavimento e i liquidi organici dei detenuti assume le sembianze di un ritornello dilaniante e raffigura il suono metallico e martellante della follia claustrofobica del carcere.
E poi, nell’unica sequenza in cui il regista concede uno spazio reale alle parole, va in scena un dialogo fitto e serratissimo fra Sands e un prete (Liam Cunningham), che tenta di far desistere l’uomo dai suoi propositi: la sfida dialettica e concettuale prosegue per gradi e fumo di sigarette, fino al racconto rivelatore di Sands, fino al ricordo di quel puledro ferito, che svela al prete quanto Bobby sia risoluto e stanco di trattare, e quanto sia deciso al suo scopo, ad agire, a far parlare i fatti, a scioccare l’opinione pubblica con un gesto definitivo.
Questo è il momento che spezza in due il film, che segna il passo oltre cui si cela il declivio finale, in cui la camera trasferisce i propri occhi su Bobby Sands, sulla parabola discendente e senza ritorno di uomo pronto a dare la vita per difendere le proprie rivendicazioni. La scena si trasferisce quindi sul letto di morte di Sands: il tempo di un conto alla rovescia inesorabile è battuto dal cibo rifiutato che si alterna al fianco del degente.
L’uomo si consuma lentamente, le forze e i sensi si affievoliscono così come la messa a fuoco, la fine si affaccia come un assillo inespugnabile, le immagini si fanno distorte, i sogni di Sands bambino fuggono liberi per i campi d’Irlanda, fino a sostituire una realtà offuscata. E lo sguardo obliquo e appannato sulla madre disperata somiglia allo sguardo straziato di un animale ferito a morte.
Le immagini seguono un ritmo lento e angoscioso: è una fine insopportabile, che logora il corpo del condannato e gli occhi dello spettatore. La camera oscilla e tentenna sullo scrigno depauperato di Bobby Sands, la cui agonia durò ben 66 giorni, fra sofferenze atroci e l’indifferenza del governo inglese. Michael Fassbender è straordinario e quasi spaventoso nei panni di Sands: l’attore tedesco fornisce l’ennesima performance eccellente, l’ennesima trasformazione, prestando sensibilità e il corpo stesso al personaggio che interpreta: è infatti dimagrito fino a venti chili per “incarnare” alla perfezione il dramma di un uomo che ha dato la vita per difendere un’idea.
La storia non è abbastanza nota per i morti che si porta appresso. E’ stato quindi giusto e necessario raccontarla e farla rivivere, trent’anni dopo.
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tiamaster
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lunedì 30 aprile 2012
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un film che resterà.
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"Hunger" è un film molto difficile da recensire,in quanto è praticamente impossibile parlarne senza prendere in considerazione il lato storico e politico.Di fatto hunger è un capolavoro,sia dal aspetto cinematografico (una pellicola che è puro cinema,memorabile il discorso tra il prete e Bobby Sands interpretato da un fassbender STRAORDINARIO) sia da quello emotivo (alcune scene sono talmente crude e feroci da risultare INSOPPORTABILI,e pensare che certi eventi siano accaduti VERAMENTE è TREMENDO);inutile dire a questo punto che è anche un magnifico ritratto di un intero momento storico,troppo delicato,importante e BARBARO per essere discusso in una recensione cinematografica.
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"Hunger" è un film molto difficile da recensire,in quanto è praticamente impossibile parlarne senza prendere in considerazione il lato storico e politico.Di fatto hunger è un capolavoro,sia dal aspetto cinematografico (una pellicola che è puro cinema,memorabile il discorso tra il prete e Bobby Sands interpretato da un fassbender STRAORDINARIO) sia da quello emotivo (alcune scene sono talmente crude e feroci da risultare INSOPPORTABILI,e pensare che certi eventi siano accaduti VERAMENTE è TREMENDO);inutile dire a questo punto che è anche un magnifico ritratto di un intero momento storico,troppo delicato,importante e BARBARO per essere discusso in una recensione cinematografica.Hunger preme l'accelleratore sulla violenza del governo inglese e sulla caratterizazione dei personaggi,disturbando lo spettatore come è giusto che debba essere,perchè simili BARBARIE non devono essere dimenticate,e narrate da un grande regista nascente (guardate "shame") diventano un film e una narrazione storica RARA e UNICA.Meraviglioso,potente e importante.
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michele recchia
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martedì 24 aprile 2012
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l'esordio del regista steve mcqueen
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Esordio molto impegnativo del regista Steve McQueen. L’argomento trattato è la ribellione in carcere dei militanti dell’IRA negli anni ’80 e soprattutto del loro sciopero della fame che porterà alla morte di alcuni di essi, a cominciare dal loro capo, il purtroppo celebre Bobby Sands. E su di lui si impernia il film e l’intero racconto.
Opera divisa praticamente in tre parti.
La prima mostra gli arresti degli attivisti nordirlandesi e le violenze inferte loro dalle guardie carcerarie; quindi sequenze di scene dure e cruente, da stomaci forti. Ma anche i ribelli sono duri e resistono a qualsiasi massacro in nome della loro fede, perché non diversamente si può chiamare il loro credo politico che li spinge unitariamente a resistere a tutti i soprusi e punizioni che devono sopportare.
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Esordio molto impegnativo del regista Steve McQueen. L’argomento trattato è la ribellione in carcere dei militanti dell’IRA negli anni ’80 e soprattutto del loro sciopero della fame che porterà alla morte di alcuni di essi, a cominciare dal loro capo, il purtroppo celebre Bobby Sands. E su di lui si impernia il film e l’intero racconto.
Opera divisa praticamente in tre parti.
La prima mostra gli arresti degli attivisti nordirlandesi e le violenze inferte loro dalle guardie carcerarie; quindi sequenze di scene dure e cruente, da stomaci forti. Ma anche i ribelli sono duri e resistono a qualsiasi massacro in nome della loro fede, perché non diversamente si può chiamare il loro credo politico che li spinge unitariamente a resistere a tutti i soprusi e punizioni che devono sopportare.
La seconda parte è la fase cruciale del film, perché il colloquio del protagonista, un eccezionale Michael Fassbender, con un prete cattolico irlandese è la chiave di lettura del film. Questa è la fase clou anche dal punto di vista artistico, in quanto la sequenza lunghissima della durata di ben 22 minuti e girata senza stacchi e con un unico ciak ha richiesto una preparazione di un mese; l’inquadratura unica è fissa sui due interlocutori che si incontrano nel parlatorio del durissimo carcere di Long Kesh conosciuto col nome di Maze e si vedono solo tavoli e sedie, perché tutto è concentrato sul dialogo serrato tra i due e sull’annuncio da parte di Bobby Sands dell’inizio di uno sciopero della fame che sarà effettuato coinvolgendo piano piano tutti i ribelli sino ad arrivare al suicidio, per provocare ancor più la reazione dell’opinione pubblica. E ne morirono sette, difatti.
E da qui la terza fase del film HUNGER, la fame, la fame che porta alla morte. Fassbender dà una prova attoriale che spaventa, il suo dimagrimento è ben superiore alla pur notevole prestazione di Christian Bale de L’UOMO SENZA SONNO, pelle e ossa e martoriato da ulcerazioni. La morte che lentamente si impossessa del suo corpo in sequenze lente e di grande sofferenza fisica quale estrema protesta verso il governo della signora Thatcher.
Il binomio McQueen-Fassbender nasce così, in un film che non fa sconti alla violenza e alla storia della protesta nordirlandese. La bravura del regista e dell’attore è evidente ed oggi è esplosa con SHAME e sicuramente in futuro saranno fuochi d’artificio.
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(di fabrizio dividi)
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diomede917
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lunedì 30 aprile 2012
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the passion of bobby sands
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Il cinema ci aveva già fatto conoscere le vicissitudini di Bobby Sands nel commovente Una Scelta d’amore dove la sua storia era rappresentata dal punto di vista di una madre orgogliosa e battagliera.
Hunger invece entra dentro la storia sia quella con la s minuscola che quella con la S.
Il debuttante Steve Mc Queen la prende alla larga, prima ci fa conoscere come si viveva nel 1980.
Giustissima e coraggiosa la scelta di aprire con uno dei poliziotti più violenti del film, seguendolo nella sua quotidianità fatta di colazione preparata dalla moglie, controllo di bombe sotto la macchina e le mani (il suo vero attrezzo di lavoro) a mollo nell’acqua fredda per riposarle.
Giustissima e coraggiosa la scelta di farci conoscere la protesta irlandese tramite due non protagonisti, seguire sia la protesta della coperta (ossia il rifiuto di indossare la divisa carceraria e restare nudi slo con una coperta addosso) che quella dello sporco (cospargendo di feci i muri e rovesciando l’urina nei corridoi del carcere moto di ribellione per le botte prese nei bagni durante i bisogni).
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Il cinema ci aveva già fatto conoscere le vicissitudini di Bobby Sands nel commovente Una Scelta d’amore dove la sua storia era rappresentata dal punto di vista di una madre orgogliosa e battagliera.
Hunger invece entra dentro la storia sia quella con la s minuscola che quella con la S.
Il debuttante Steve Mc Queen la prende alla larga, prima ci fa conoscere come si viveva nel 1980.
Giustissima e coraggiosa la scelta di aprire con uno dei poliziotti più violenti del film, seguendolo nella sua quotidianità fatta di colazione preparata dalla moglie, controllo di bombe sotto la macchina e le mani (il suo vero attrezzo di lavoro) a mollo nell’acqua fredda per riposarle.
Giustissima e coraggiosa la scelta di farci conoscere la protesta irlandese tramite due non protagonisti, seguire sia la protesta della coperta (ossia il rifiuto di indossare la divisa carceraria e restare nudi slo con una coperta addosso) che quella dello sporco (cospargendo di feci i muri e rovesciando l’urina nei corridoi del carcere moto di ribellione per le botte prese nei bagni durante i bisogni).
Solo dopo venti minuti irrompe la fisicità di Michael Fassbender e il Cinema (con la C maiuscola) decolla.
Mc Queen non fa di Bobby Sands un eroe, nemmeno una vittima ma un martire….la protesta è vissuta nel corpo e nelle ferite di un protagonista che si getta totalmente nelle mani del regista…un’osmosi che si farà più netta nel successivo Shame.
Hunger è uno degli esordi più promettenti e convincenti degli ultimi dieci anni….e la meritatissima Camera d’or testimonia il talento di uno dei migliori registi della sua generazione.
Per capire la personalità di regia che Mc Queen usa in questo film bisogna vedere in apnea il dialogo serrato senza stacchi tra Bobby Sands e il prete che cerca di intercedere per lui o la pulizia del corridoio centrale….senza musica, senza parole solo il rumore dello spazzolone…..
L’assenza di una colonna sonora portante per dare spazio ai silenzi, ai rantoli e alle esplosioni di violenza sono la dimostrazione di uno che sa cosa vuole e come ottenerla.
La cosa curiosa che mi è venuta in mente all’uscita del film è che uno guarda un’opera prima ed è curioso di come sarà il film successivo…..io dopo Shame avevo una voglia di vedere e capire chi è questo genio e perché ha dovuto subire quest’onta di un’uscita postuma del suo esordio….
Voto 8
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[+] dettaglio non futile
(di angelo umana)
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ashtray_bliss
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giovedì 27 settembre 2012
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film conturbante ma audace sulla resistenza morale
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Hunger significa ''fame'' ma il film non si limita a riferirsi alla fame come istinto umano, quella che Bobby Sandsha volutamente deciso di combattere, ma il film si riferisce anche alla fame per la giustizia e fame per quell'ideale di liberta' che Bobby vuole portare avanti a tutti i costi, anche, o forse sopratutto, al costo di sacrificarsi.
Hunger, e' la storia di un uomo, Bobby Sands, e di tutti gli altri uomini come lui, che essendo detenuti in una delle carceri piu' severe e controllate, essendo sempre esposti alla violenza e degrado, ritenuti sempre e solo dei terroristi che vanno repressi e umiliati, in primis a suon di violenza fisica.
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Hunger significa ''fame'' ma il film non si limita a riferirsi alla fame come istinto umano, quella che Bobby Sandsha volutamente deciso di combattere, ma il film si riferisce anche alla fame per la giustizia e fame per quell'ideale di liberta' che Bobby vuole portare avanti a tutti i costi, anche, o forse sopratutto, al costo di sacrificarsi.
Hunger, e' la storia di un uomo, Bobby Sands, e di tutti gli altri uomini come lui, che essendo detenuti in una delle carceri piu' severe e controllate, essendo sempre esposti alla violenza e degrado, ritenuti sempre e solo dei terroristi che vanno repressi e umiliati, in primis a suon di violenza fisica.
Un giorno, verra arrestato e trasferito nello stesso carcere, la Maze Prison, anche Bobby Sands, la figura principale dell'attivismo politico per la liberazione dell'Irlanda del Nord e l'unificazione della stessa regione con il resto dell'Irlanda (lui stesso ammettera' al prete che questa e' una cosa "giusta e legittima"). Nel carcere pero' ricevera' lo stesso trattamento degli altri, violenza fisica (vedi il modo in cui viene lavato) e umiliazione. Ma per Bobby non basta, lui non vuole negoziare, come gli viene chiesto, lui vuole portare avanti le sue idee, o meglio i suoi ideali, vuole far sentire la sua voce e la sua determinazione a tutto il mondo, ma in primis al ferreo governo inglese.
Cosi un giorno, dopo le proteste inutili 'dello sporco' (=proteste dei detenuti i quali rovesciavano urina nel corridoio del carcere e sporchavano le muera delle celle con escrementi) Bobby Sands confessa al prete del carcere che lui e altre 9 persone hanno preso una decisione. Una decisione drammatica e tragica ma anche determinata a lanciare un messaggio di protesta che non restera' ignorato: la decisione di rendere il proprio corpo l'ultimo mezzo di protesta, trammitte la volontaria interruzione di nutrirsi. Uno sciopero della fame per tentare di piegare il governo e portare avanti le proprie idee e convinzioni a favore di una Irlanda libera, nonche' per riuscire a garantire ai carcerati del Maze Prison trattamenti migliori.
Bobby Sands mori, dopo 66 giorni di sciopero della fame e dopo lunghe ed estenuanti agonie psico-somatiche. Bobby visse in prima persona il deterioramento fisico del suo corpo e lo spettatore si fa partecipe a questa interminabile agonia : la perdita di peso fino a ridursi pelle e ossa, le piaghe da decubito che scavano sempre piu' il suo corpo martirizzato, il collasso progressivo di fegato e reni rappresentato dal vomitare sangue, le allucinazioni (=il giovane Bobby che gli fa visita), fino ad arrivare alla morte, come sempre tragica ma liberatoria.
Hunger, e' un film potente, d'impatto ma sopratutto e un film visivamente molto crudo e violento, che non lascia tregua allo spettatore ma anzi lo provoca e lo costringe ad assistere alla lenta ed estenuante agonia che porta il protagonista alla distruzione. Si tratta anche di un film scarno, con pochi dialoghi e molti silenzi, che rappresentano il vuoto e il silezio dell'anima. La parola lascia tutto lo spazio possibile all'immagine che domina sullo schermo. Immagini realistiche di violenza, umiliazione ma anche audacia e determinazione. Immagini che restano impresse nella mente di ogni spettatore, specialmente quelle del martirio finale di Bobby Sands. Immagini che scuotono e disturbano la visione, perche' ci rendono partecipi a qualcosa di ineguagliabilmente drammatico: la lenta e progressiva dissoluzione di un uomo (seppur autoinflitta). Ma e' anche un film che manda un messaggio che va oltre le immagini : quello che un uomo e' determinato a sacrificare, anche il bene piu' prezioso come la vita, per un forte ideale, la "fame" di liberta' e giustizia.
Fassbender ha saputo reggere in modo impressionante gli ultimi giorni di Bobby.
Il regista, da canto suo, ha saputo confezionare straordinariamente un film d'impatto, provocatorio, violento e drammatico per narrare una vicenda realmente accaduta.
Interpretazione ottima (Fassbender mi ha ricordato Bale per scelta di entrambi di perdere cosi tanti chili pur di immedesimarsi perfettamente nei rispettivi ruoli), regia di buon livello anche se ammetto che McQueen ricorda (o forse tenta di imitare) molto lo stile di Gus Van Sant, che comunque ammiro : uno stile narrativo non comune, abbastanza peso (vedi le interminabili sequenze di alcune scene) e sicuramente non per tutti, ma che caratterizza perfettamente i film d'autore, quelli audaci e non convenzionali. I film che vogliono mandare un messaggio a tutti i costi, per quanto scomodi possano risultare al pubblico. E ci riescono.
8/10
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pepito1948
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giovedì 3 maggio 2012
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thatcher e i suoi misfatti
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Un carceriere della prigione di Maze in Ulster conduce una vita normale, tra celie con i compagni, ordinari atti quotidiani in famiglia, qualche misura di autodifesa (il controllo sotto la propria macchina), ma ha un problema; le sue nocche sanguinano perennemente, le ferite non si chiudono, come quelle delle vittime delle sue violenze, finchè qualcuno decide che è arrivata la sua ora. Questa volta è lui la vittima, ed il suo sangue inonda come in una tragedia greca il corpo inerte della madre. Questo il prologo che svela il vero protagonista del racconto, il sangue, quello che sgorga inesorabile dal corpo martoriato dalla violenza. A Maze i prigionieri irlandesi dell’IRA sono corpi nudi avvolti in una coperta in balia della brutalità senza limiti del Potere (del Governo Thatcher come dei carcerieri degli H Blocks, la sezione di massima sicurezza); corpi piagati, torturati, che tuttavia non rinunciano ad azioni di protesta anche terribilmente forti (come l’uso dimostrativo dello sporco) per riottenere lo status di prigioniero politico con gli annessi diritti.
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Un carceriere della prigione di Maze in Ulster conduce una vita normale, tra celie con i compagni, ordinari atti quotidiani in famiglia, qualche misura di autodifesa (il controllo sotto la propria macchina), ma ha un problema; le sue nocche sanguinano perennemente, le ferite non si chiudono, come quelle delle vittime delle sue violenze, finchè qualcuno decide che è arrivata la sua ora. Questa volta è lui la vittima, ed il suo sangue inonda come in una tragedia greca il corpo inerte della madre. Questo il prologo che svela il vero protagonista del racconto, il sangue, quello che sgorga inesorabile dal corpo martoriato dalla violenza. A Maze i prigionieri irlandesi dell’IRA sono corpi nudi avvolti in una coperta in balia della brutalità senza limiti del Potere (del Governo Thatcher come dei carcerieri degli H Blocks, la sezione di massima sicurezza); corpi piagati, torturati, che tuttavia non rinunciano ad azioni di protesta anche terribilmente forti (come l’uso dimostrativo dello sporco) per riottenere lo status di prigioniero politico con gli annessi diritti. Nella lotta si inserisce uno dei loro capi, Bobby, scrittore, giornalista, cattolico, che, visto l’insuccesso delle iniziative messe in atto, passa alla strategia del digiuno ad oltranza coinvolgendo ad intervalli regolari gli altri compagni. Da questo momento il corpo, da impotente oggetto di azioni altrui, diventa strumento aggressivo di lotta attraverso l’autoannientamento, la violenza verso se stessi per una causa in nome della quale non sono più ammesse alternative, pause, scrupoli morali, possibilità di ripensamento. I detenuti attaccano, il Potere è impotente, gli indipendentisti rifiutando ogni alimentazione affondano la lama giorno dopo giorno, le piaghe si estendono fuori e dentro, la pelle, ultimo baluardo di difesa, si assottiglia, il Potere, spiazzato, non colpisce più, attende, controlla, barcolla nell’inazione. Bobby muore, e dopo di lui altri 9 attivisti, e con essi muore l’inamovibilità pregiudiziale del Potere e l’ostilità o il cauto distacco della pubblica opinione. Da quei corpi martoriati e dalle reazioni del mondo nascerà un nuovo negoziato che porterà entro pochi anni alla fine della guerra e ad un travagliato processo di pace. Bobby il primo martire di Maze divenne mito, eroe di libertà, come era stato Jan Palach e come tanti altri che verranno dopo. Tutto questo McQueen ci racconta nel suo film di esordio con stile personale, asciutto, senza divagazioni che possano distrarre dallo scorrere degli eventi: niente musica di fondo, pochi esterni, niente colori forti, massima attenzione ai particolari per cogliere ogni piccolo frammento emotivamente rilevante, dialoghi essenziali che si attenuano man mano che la tragedia si avvicina. Tutto converge e riparte dal confronto centrale, ombelico significante del racconto, in cui lo scontro dialettico tra opzione estremistica e quella razionale, morale e filonegoziale all’interno del perimetro del pensiero cattolico spiega le posizioni in campo e pone gli interrogativi intorno a cui orbita il tema di fondo del film: ne valeva la pena? Era una lotta giusta? Fu vera gloria libertaria o piuttosto esaltazione politico/religiosa di un gruppo di giovani estremisti? Belli alcuni richiami iconografici , come la “deposizione” del Cristo ravvisabile nel corpo inerte di Bobby portato a mano dall’infermiere dopo il suo svenimento, come interessanti sono le frequenti inquadrature anticonvenzionali alla “Lars von Trier”. Insomma un’opera di alto spessore artistico ed emotivo, di ben altro livello del deludente Shame, che mette nel dovuto risalto tanto il talento del regista quanto la buona prova recitativa di Fassbender, qui all’altezza della sua improvvisa fama.
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donni romani
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martedì 1 maggio 2012
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lo stile mc queen trasforma la cronaca in arte
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Prima collaborazione Mc Queen - Fassbender tre anni prima di Shame (Hunger è infatti del 2008), Camera d'Oro a Cannes e manifesto dichiarato dello stile Mc Queen, visivo, fisico, inquietante e spiazzante. Il film segue la storia di Bobby Sands, esponente della lotta per l'indipendenza irlandese, in carcere negli Anni Ottanta quando Margareth Thatcher abolì lo status di prigioniero politico equiparando di fatto tutti i detenuti appartenenti all'Ira a terroristi comuni. A questo seguì lo sciopero "dello sporco" represso dalle guardie carcerarie con una ferocia impressionante e un ben più definitivo sciopero della fame in cui morirono ben nove detenuti in sette mesi, fra cui Bobby Sands appunto.
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Prima collaborazione Mc Queen - Fassbender tre anni prima di Shame (Hunger è infatti del 2008), Camera d'Oro a Cannes e manifesto dichiarato dello stile Mc Queen, visivo, fisico, inquietante e spiazzante. Il film segue la storia di Bobby Sands, esponente della lotta per l'indipendenza irlandese, in carcere negli Anni Ottanta quando Margareth Thatcher abolì lo status di prigioniero politico equiparando di fatto tutti i detenuti appartenenti all'Ira a terroristi comuni. A questo seguì lo sciopero "dello sporco" represso dalle guardie carcerarie con una ferocia impressionante e un ben più definitivo sciopero della fame in cui morirono ben nove detenuti in sette mesi, fra cui Bobby Sands appunto. Ma più che un film cronaca o un film biografia Mc Queen ci regala un'opera potente fatta di immagini forti, di pochissimi dialoghi - eccettuata la lunghissima scena centrale (23 minuti e 30 secondi) del colloquio in carcere fra Bobby e un sacerdote, tutta in piano sequenza, inquadratura a distanza sui due prima e primo piano stretto su Fassbender poi - e di un finale lento, prolungato, straziante e indimenticabile grazie anche al fisico devastato di Fassbender. Hunger è il racconto di una fede si potrebbe dire, non importa quale, del credere talmente in qualcosa da essere pronti a sacrificare la propria vita in nome di quel qualcosa. La libertà dell'Irlanda per Bobby Sands, la salvazione dell'umanità per Gesù Cristo. E non a caso certe scene, lasciate in assoluto silenzio, senza neanche un commento sonoro a stiepidirle, evocano il martirio di Gesù, le piaghe da decubito ricordano le stimmate, il lenzuolo macchiato di sangue evoca la Sindone, il volto emaciato e sperduto ripropone l'iconografia di tante immagini di Cristo sulla croce. Il lungo dialogo fra Bobby e il prete che tenta di convincerlo e non intraprendere lo sciopero che lo porterà alla morte e di optare per la via più diplomatica delle mediazioni è intenso, teologico e filosofico, ma è soprattutto la dimostrazione di quanto una fede sia più forte di una qualunque analisi sociale politica e culturale, di una qualunque ragione, di un qualunque compromesso. E infatti non c'è mai rabbia nelle parole di Sands, e non c'è rassegnazione, c'è solo la personale, intima e privata convinzione di star facendo la scelta giusta, coerente con la sua natura. Film potente dicevamo, tanto più nella sua capacità di raccontare un evento storico con toni antiepici e antieroici, mostrando solo i corpi, i gesti di detenuti e poliziotti (le violenze avvengono quasi sempre fuori campo e solo le nocche insanguinate che un poliziotto immerge nell'acqua del lavandino sono lì in primo piano a raccontare l'orrore di quei giorni), lasciando che siano i fluidi corporali a parlare, le cicatrici a raccontare, le celle sporche ad evocare. Mc Queen è capace come pochi di fare un cinema estremamente fisico, che scava nel corpo, e attraverso quel corpo, sempre più scarno, sempre più provato, sempre più mezzo di espressione e di rivendicazione, evocare l'universo che muove quel corpo, rendere materiale, quasi tangibile ciò che invece tangibile non è, quel groviglio di passioni e ideali che portò un ragazzo di ventotto anni a morire dopo 66 giorni di sciopero della fame. Film denuncia si usa dire di pellicole che evocano tragedie come questa, ma in questo caso la denuncia si fa opera d'arte e il vissuto diventa, cinematograficamente parlando, un magnifico esercizio di stile Mc Queen.
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hidalgo
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mercoledì 9 maggio 2012
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quando il cinema è arte
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Arrivato in Italia con 4 anni di ritardo, Hunger, film d'esordio di Steve McQuenn, maniaco della cinepresa, è un capolavoro di stile, di tecnica cinematografica. Un'opera d'arte di cruda bellezza, estremamente realistico nella sua violenza fisica e mentale ma mai gratuita, mai fine a se stessa. Girato con un budget ridotissimo, "accompagnato" da una regia che è nello stesso tempo essenziale e minimalista ma geniale e ricercata, McQuenn usa le immagini al posto delle parole, il linguaggio del corpo (straziato) al posto del linguaggio vocale, "concedendo" in sostanza un unico, strepitoso dialogo nel magistrale piano sequenza dove Fassbender e Cunningham servono allo spettatore un ricco contorno di parole funzionali al prelibato pasto che è il film in se stesso.
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Arrivato in Italia con 4 anni di ritardo, Hunger, film d'esordio di Steve McQuenn, maniaco della cinepresa, è un capolavoro di stile, di tecnica cinematografica. Un'opera d'arte di cruda bellezza, estremamente realistico nella sua violenza fisica e mentale ma mai gratuita, mai fine a se stessa. Girato con un budget ridotissimo, "accompagnato" da una regia che è nello stesso tempo essenziale e minimalista ma geniale e ricercata, McQuenn usa le immagini al posto delle parole, il linguaggio del corpo (straziato) al posto del linguaggio vocale, "concedendo" in sostanza un unico, strepitoso dialogo nel magistrale piano sequenza dove Fassbender e Cunningham servono allo spettatore un ricco contorno di parole funzionali al prelibato pasto che è il film in se stesso. Ogni inquadratura trasmette un'emozione, una sensazione ben precisa e mai uguale a quella precedente. Il regista inglese sa essere "presente" senza diventare invadente, lasciando alle scene e a quelle soltanto il compito di arrivare al cuore e allo stomaco di chi guarda il film. Un'opera prima difficile, durissima ma che trova anche il suo momento di poesia nella parte fnale, dove Bobby Sands/Fassbender (ri)vede se stesso da bambino e nel lui stesso di allora, chissà, anche suo figlio, mentre la sua anima vola via nella metafora di uno stormo d'uccelli. Memorabile.
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claudiofedele93
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lunedì 7 ottobre 2013
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mcqueen ed il suo primo capolavoro!
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Il senso di concreto disturbo, accompagnato daldisgusto e dalla curiosità, che lascia Hunger nello spettatore è la dimostrazione che il messaggio che voleva mandare McQueen è arrivato dritto al cuore e che nulla è stato vano.
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Il senso di concreto disturbo, accompagnato daldisgusto e dalla curiosità, che lascia Hunger nello spettatore è la dimostrazione che il messaggio che voleva mandare McQueen è arrivato dritto al cuore e che nulla è stato vano. Potente ed allo stesso tempo capace di dipingere alla perfezione un quadro storico ancora molto recente e doloroso, il lungometraggio è capace di lasciare qualcosa nella mente di chi lo guarda in modo concreto e senza cadere mai nel banale. Non è un film per tutti ed è un tipo di cinema che richiede grande attenzione e chiede di essere ammirato per quello che è, rimanendo comunque un grandissimo lavoro e un’opera completa. Sorprendente Fassbender nel ruolo del protagonista ed ottimo Liam Cunningham nella parte del Prete Dominic Moran; entrambi gli attori sono Irlandesi. A farla da padrone è inoltre una sceneggiatura che si adatta alla perfezione alla regia, in quanto presenta pochissimi dialoghi, poche battute da parte dei comprimari e si concentra principalmente sulle azioni e i gesti. Essenziale la voce fuori campo della Thatcher che sottolinea la presa del governo britannico riguardo allo sciopero della fame e alle condizioni dei carcerati. Ottima, infine, la fotografia sopratutto nel finale della pellicola e quasi completamente assente la colonna sonora. E' giusto sottolineare il fatto che Hunger più che un’opera prima ha tutta la forza necessaria per imporsi al pubblico ed alla critica come un vero e proprio capolavoro cinematografico degli ultimi tempi e di sicuro dell’annata di cui fa parte. McQueen promosso con lode.
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