Hunger

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Un film di Steve McQueen (II). Con Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon.
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Drammatico, durata 96 min. - Gran Bretagna, Irlanda 2008. - Bim Distribuzione uscita venerdì 27 aprile 2012. MYMONETRO Hunger * * * * - valutazione media: 4,25 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

L'agonia di Bobby Sands Valutazione 4 stelle su cinque

di osteriacinematografo


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mercoledì 4 luglio 2012

 Irlanda del nord, anni 70. Margaret Thatcher, primo ministro d’Inghilterra, ha abolito lo status di prigioniero politico, e i detenuti appartenenti all’IRA debbono sottostare al regime carcerario ordinario, subendo la sorte e la destinazione dei criminali comuni. In seguito a tal decisione, i membri della resistenza armata irlandese detenuti a Long Kesh –più noto come Maze (Labirinto)- decisero così di porre in essere una serie di atti di protesta eclatanti: nel 1976 diedero  vita alla protesta delle coperte (blanket protest), rifiutando di indossare l’uniforme carceraria ;  nel 1978 procedettero alla “protesta dello sporco “ (dirty protest), una sorta di sciopero dell’igiene in base al quale i detenuti rifiutavano ogni forma di pulizia, imbrattando i muri coi propri escrementi e inondando d’urina i corridoi.

Dopo alcuni anni trascorsi in carcere in condizioni disumane, i paramilitari dell’IRA, nel 1980, intrapresero il primo sciopero della fame, durato quasi due mesi, fino al momento in cui il governo inglese promise rapidi cambiamenti del loro regime carcerario. Ciò non avvenne mai, e Bobby Sands, divenuto ufficiale comandante dell’IRA a Long Kesh, il primo marzo del  1981, iniziò uno sciopero della fame che lo condusse alla morte, poco più di due mesi dopo. Entro l’agosto di quello stesso anno, morirono in modo analogo altri nove militanti dell’IRA detenuti a Maze.
Il film del regista inglese Steve McQueen si rivela un esercizio estetico di puro cinema: mostra la realtà senza filtro e senza artifici di sorta, rifiutandosi di raccontare in modo canonico. Le parole non servono, o ne servono poche per mostrare lo squallore e la crudezza della realtà carceraria, che qui si rivela in una nera magnificenza che diviene spirale di morte.
Lo stile di McQueen ricorda quello contemplativo ed estenuante di Gus Van Sant, per le infinite sequenze che indugiano ossessivamente sui particolari che scandiscono la prigionia, sulla quotidianità che si ripete in modo asfissiante e meccanico, spezzata soltanto da brevi istanti distonici.  E così osserviamo la pulizia di un corridoio in versione integrale, e il rumore dello straccio e dell’acqua contro il pavimento e i liquidi organici dei detenuti assume le sembianze di un ritornello dilaniante e raffigura il suono metallico e martellante della follia claustrofobica del carcere.
E poi, nell’unica sequenza in cui il regista concede uno spazio reale alle parole, va in scena un dialogo fitto e serratissimo fra Sands e un prete (Liam Cunningham), che tenta di far desistere l’uomo dai suoi propositi:  la sfida dialettica e concettuale prosegue per gradi e fumo di sigarette, fino al racconto rivelatore di Sands, fino al ricordo di quel puledro ferito, che svela al prete quanto Bobby sia risoluto e stanco di trattare, e quanto sia deciso al suo scopo, ad agire, a far parlare i fatti, a scioccare l’opinione pubblica con un gesto definitivo.
Questo è il momento che spezza in due il film, che segna il passo oltre cui si cela il declivio finale, in cui la camera trasferisce i propri occhi su Bobby Sands, sulla parabola discendente e senza ritorno di uomo pronto a dare la vita per difendere le proprie rivendicazioni.  La scena si trasferisce quindi sul letto di morte di Sands: il tempo di un conto alla rovescia inesorabile è battuto dal cibo rifiutato che si alterna al fianco del degente.
L’uomo si consuma lentamente, le forze e i sensi si affievoliscono così come la messa a fuoco, la fine si affaccia come un assillo inespugnabile, le immagini si fanno distorte, i sogni di Sands bambino fuggono liberi per i campi d’Irlanda, fino a sostituire una realtà offuscata. E lo sguardo obliquo e appannato sulla madre disperata somiglia allo sguardo straziato di un animale ferito a morte.
Le immagini seguono un ritmo lento e angoscioso: è una fine insopportabile, che logora il corpo del condannato e gli occhi dello spettatore. La camera oscilla e tentenna sullo scrigno depauperato di Bobby Sands, la cui agonia durò ben 66 giorni, fra sofferenze atroci e l’indifferenza del governo inglese. Michael Fassbender è straordinario e quasi spaventoso nei panni di Sands: l’attore tedesco fornisce l’ennesima performance eccellente, l’ennesima trasformazione, prestando sensibilità e il corpo stesso al personaggio che interpreta: è infatti dimagrito fino a venti chili per “incarnare” alla perfezione il dramma di un uomo che ha dato la vita per difendere un’idea.
La storia non è abbastanza nota per i morti che si porta appresso. E’ stato quindi giusto e necessario raccontarla e farla rivivere, trent’anni dopo.

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