paolo massa
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sabato 15 aprile 2006
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broken flowers
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Non sempre un film, dopo averlo visto al cinema, ti lascia con un senso di amaro in bocca al punto da chiedersi “Ma ne è valsa la pena?”. “Broken Flowers”, di Jim Jarmusch, è uno di quelli ad avere questo strano effetto. La storia ruota attorno alla figura di Bill Murray, un uomo sul “viale del tramonto”, ormai un ex don Giovanni alla ricerca di non si sa quale equilibrio esistenziale. Nelle prime battute lo vediamo protagonista di una vita relativamente tranquilla, forse pure troppo, minata da una ripetitività patologica senza precedenti. Almeno nei minuti iniziali del film, sembra di assistere alla solita scena ripetutamente noiosa e priva di un qualsivoglia senso. Ma è proprio questa sequenza battente di immagini statiche ed ammalianti, tanto riflessive quanto prive di azione, che ci dà la possibilità di accumulare una serie impressionante di informazioni sulla reale condizione, in totale solitudine, di Don Johnston (Bill Murray).
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Non sempre un film, dopo averlo visto al cinema, ti lascia con un senso di amaro in bocca al punto da chiedersi “Ma ne è valsa la pena?”. “Broken Flowers”, di Jim Jarmusch, è uno di quelli ad avere questo strano effetto. La storia ruota attorno alla figura di Bill Murray, un uomo sul “viale del tramonto”, ormai un ex don Giovanni alla ricerca di non si sa quale equilibrio esistenziale. Nelle prime battute lo vediamo protagonista di una vita relativamente tranquilla, forse pure troppo, minata da una ripetitività patologica senza precedenti. Almeno nei minuti iniziali del film, sembra di assistere alla solita scena ripetutamente noiosa e priva di un qualsivoglia senso. Ma è proprio questa sequenza battente di immagini statiche ed ammalianti, tanto riflessive quanto prive di azione, che ci dà la possibilità di accumulare una serie impressionante di informazioni sulla reale condizione, in totale solitudine, di Don Johnston (Bill Murray). Sono le immagini a parlarci, più che le parole, sono le inquadrature, i colori e i suoni di un mondo quasi estraneo all’universo emotivo, appartato e imperscrutabile, del protagonista. Ma, al tempo stesso, c’è sempre qualcosa o qualcuno a rompere l’apparente quiete prima della tempesta: si arriva, così, al punto di non ritorno della storia. Arriva una lettera inaspettata, ad informare l’ignaro Don di essere padre di un figlio ormai ventenne. Chi sarà mai la madre, autrice della missiva, tra le tante passioni di gioventù, ad aver dato un erede al non particolarmente entusiasta Bill Murray? E’ questa l’assordante domanda che si pone lo spettatore dinanzi all’evidente confusione del protagonista; è questo il movente a seguire di tutta la pellicola, la molla emotiva che spinge un uomo, in preda dei suoi malcelati rimorsi, alla ricerca di una meta indefinita seppur chiara: trovare la madre del figlio. Ha così inizio il road trip di Don Johnston, sulle strade che in passato lo hanno visto incallito playboy, trovandosi nuovamente ad inciampare nelle “vite mature” delle sue fiamme di un tempo. E qui sta la grandezza del film di Jarmusch, capace di rendere al meglio le vicende esistenziali di uomini e donne, immersi ognuno nelle gioie e nei dolori dei propri destini, dove ciò che conta sono gli sguardi, le emozioni dei personaggi, e il loro punto di vista sul mondo, culla di amori mancati e speranze tradite, passioni vissute e occasioni perdute.
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a.l.
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martedì 13 dicembre 2005
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le belle che amo' il padron mio
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Le etichette hanno un senso, non solo nelle aule scolastiche per la cosiddetta comodità didattica: ad esempio “Broken Flowers”, l’ultimo film di Jarmusch, è una raffigurazione quasi perfetta di ciò che si intende per “minimalismo”, ovvero la poetica dell’attenzione esasperata alla quotidianità sottintesa ai racconti di Carver, al miglior Leavitt e a molta parte della narrativa statunitense degli anni ‘80. Il lungometraggio mostra infatti un’umanità inerte e periferica, priva di identità sociale, isolata in anacronistiche comuni, volontariamente oziosa o occupata in attività inessenziali, come “ordinare gli armadi”, vendere case prefabbricate di prestigio, comunicare con gli animali domestici; essa dialoga, si innamora, si perde e poi si rivede dopo anni, relega inconsciamente a mazzi di fiori, alle tinte dei loro abiti, a un piatto di carote bollite, a una busta rosa, ai silenzi, a un baciamano o a un sorriso imbarazzato il compito di svelare verità vacillanti, aspirazione vaghe, affetti e rancori soffocati o interrotti, nell’incapacità di dare ad incontri o conversazioni approdi risolutivi.
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Le etichette hanno un senso, non solo nelle aule scolastiche per la cosiddetta comodità didattica: ad esempio “Broken Flowers”, l’ultimo film di Jarmusch, è una raffigurazione quasi perfetta di ciò che si intende per “minimalismo”, ovvero la poetica dell’attenzione esasperata alla quotidianità sottintesa ai racconti di Carver, al miglior Leavitt e a molta parte della narrativa statunitense degli anni ‘80. Il lungometraggio mostra infatti un’umanità inerte e periferica, priva di identità sociale, isolata in anacronistiche comuni, volontariamente oziosa o occupata in attività inessenziali, come “ordinare gli armadi”, vendere case prefabbricate di prestigio, comunicare con gli animali domestici; essa dialoga, si innamora, si perde e poi si rivede dopo anni, relega inconsciamente a mazzi di fiori, alle tinte dei loro abiti, a un piatto di carote bollite, a una busta rosa, ai silenzi, a un baciamano o a un sorriso imbarazzato il compito di svelare verità vacillanti, aspirazione vaghe, affetti e rancori soffocati o interrotti, nell’incapacità di dare ad incontri o conversazioni approdi risolutivi. In realtà il film non è né una commedia né un dramma, quanto piuttosto una traballante indagine sul senso della vita e la questione in ballo, nonostante il tono svagato e lieve, non è affatto minimale: “Broken Flowers” esemplifica sfumandola in un disegno a matita leggerissima l’impossibilità di comporre in una storia di senso compiuto i frammenti dispersi della propria esistenza e di mettere radici stabili su questa terra. I cavalieri erranti di oggi, vecchie e nuove generazioni, nella loro quète cercano svogliati o disperati o curiosi le tracce di sé nella selva contemporanea fatta da autostrade e agglomerati urbani e suburbani anonimi. L’espressione apatica del volto di Don ( Bill Murray) succube e mai protagonista degli eventi è paradigmatica di una condizione di sudditanza inerte e di disorientamento di fronte al destino: la vasta America vista dai finestrini della sua auto è il desolato e sconfinato deserto metropolitano dei quadri di Edward Hopper, ove uomini e donne, delusi e vinti, scrutano l’orizzonte, fuori dai vetri di un bar, in attesa di una qualche impossibile rivincita. Jarmusch non offre allo spettatore che un mazzo di fiori spezzati: frasi banali, gesti minimi, grigia routine, abulia, visite di cortesia ripetute, domande e risposte di circostanza, un enigma non risolto, e un solo insegnamento impartito da un improbabile padre a un improbabile figlio:“Il passato è passato, il futuro non è ancora qui e quindi non lo posso controllare; e allora immagino che si tratti soltanto di questo, del presente.” Nel tempo l’uomo pesa e verifica il proprio valore, e se il passato è irrecuperabile, il futuro imprevedibile, l’ancora di salvezza è la coscienza del presente. Ma è proprio il presente a essere ingannevole, sfuggente, nel caso in cui non si possiedano le armi segrete per imprigionarlo. E’ la tragedia di Don Giovanni, il fatuo scialacquatore di se stesso in mille e nessuna conquista, con cui l’ossessione per l’altro sesso costringe Don a identificarsi. La vita in famiglia, figli e mogli fedeli, rappresentata dal suo pragmatico vicino di casa diventa a questo punto la sola alternativa alla dissipazione di sé del libertino sconfitto? Difficile convincersene davanti a un mazzo di fiori reciso posato su una tomba o alle affascinanti lusinghe del vecchio carpe diem oraziano…
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amarilli novel
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martedì 27 maggio 2008
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la danza dell'esercito di don
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Don Johnston: no, non Don Johnson di Miami Vice. È buffo confondere un casanova con qualcun altro e vederlo riaffermare la propria identità ad ogni nuova presentazione, proprio lui: Narciso che si è fatto notare da molte donne. È buffo il viso volutamente inespressivo di Bill Murray: impassibile tanto mentre ascolta musica lirica italiana, quanto mentre ascolta musica etiope. Nulla sembra smuovere in lui una qualche emozione: l’arredamento minimale della sua casa è specchio dell’arredamento minimale del suo volto.
Ma come un Siddartha apatico o un mistico indotto, Don/Bill intraprende un viaggio alla ricerca di una sua possibile diramazione: un figlio quasi ventenne che una delle molte ex gli annuncia partito alla ricerca –al contrario- delle sue radici.
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Don Johnston: no, non Don Johnson di Miami Vice. È buffo confondere un casanova con qualcun altro e vederlo riaffermare la propria identità ad ogni nuova presentazione, proprio lui: Narciso che si è fatto notare da molte donne. È buffo il viso volutamente inespressivo di Bill Murray: impassibile tanto mentre ascolta musica lirica italiana, quanto mentre ascolta musica etiope. Nulla sembra smuovere in lui una qualche emozione: l’arredamento minimale della sua casa è specchio dell’arredamento minimale del suo volto.
Ma come un Siddartha apatico o un mistico indotto, Don/Bill intraprende un viaggio alla ricerca di una sua possibile diramazione: un figlio quasi ventenne che una delle molte ex gli annuncia partito alla ricerca –al contrario- delle sue radici. Alberi che non sappiamo neanche se realmente uniti, se reali o solo frutto della mente di un appassionato di romanzi gialli di nome Wilson: ammogliato, affigliato, sempre on-line nonostante non lavori con il computer come il nostro speculare Don. Qualcuno cerca ciò da cui viene, qualcuno cerca ciò che ha prodotto. Ma qualcuno ci crede in questa ricerca? Certo non la dea Fortuna, forse Serendipity, dea delle cianfrusaglie incomprensibili: un’adolescente nuda, una macchina da scrivere rosa, un quadro di fiori ancora rosa, un gatto parlante. È questo l’esercito di Don, esercito che danza al ritmo di una melodia strumentale venuta da Oriente su di un cd masterizzato. Papapa-tarata-tarata-taratata: pa, pa, pa, pa. Tasselli di un puzzle che non necessariamente prevedono un disegno finale.
Don Johnston guida la sua macchina: la cambia? È sempre la stessa? Potrebbe. Potrebbe non. Sembra che percorra tutti gli Stati Uniti, sembra che sia sempre sulla stessa strada: impassibile, sempre uguale. E mentre per lo spettatore la melodia venuta da Oriente su di un cd masterizzato comincia a divenir famigliare, nuovi ciarpami senza senso si amalgamano nell’itinerario indefinito. Cominciamo a distinguere sul volto di Don/Bill qualche simbolo: un’alzata di sopracciglio potrebbe voler dire sì, un labbro inferiore ritratto all’interno della bocca potrebbe voler dire no. Ma potremmo anche sbagliarci. O forse potremmo avere perfettamente ragione.
La ciliegina sulla torta offertaci dalla dea del film o da Jarmusch è il vero figlio di Murray nell’ultima scena del film: muto, impassibile, passa di scorcio a bordo di un vecchio Volkswagen mentre Don/Bill, pedina bloccata, viene aggredito da riprese da troppe angolazioni diverse. È la danza dell’esercito di Don, viene da Oriente su di un cd masterizzato, non porta a un luogo preciso.
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andrea battantier
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venerdì 3 marzo 2006
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Con questo film posso ritenermi sazio del cinema minimalista. D'altra parte lo psichiatra Mario Thompson Nati (grande appassionato di cinema) ci aveva avvertito quando diceva che "...per annientare il minimalismo basta farlo diventare fine a se stesso". Prima scena: Don Johnston (Bill Murray) guarda, con il suo tipico fare immobile e assente, un film su Giacomo Casanova. Secondi e secondi, e minuti, del Bill Murray depresso-ma-senza-darci-peso, già visto in Lost in translation: lui e il divano, il divano e lui, e la televisione che vive di vita propria. Casanova, come lo chiama il suo amico Winston (Jeffrey Wright), felicemente sposato e appassionato di gialli. Don è stato appena lasciato dalla sua ultima ragazza Sherry (Julie Delpy), capiamo ben presto che ha avuto tante donne nella sua vita, e che è sempre stato solo, sul divano (e infatti, probabilmente l'ultima ragazza lo abbandona per la disperazione di vederlo in simbiosi con il divano).
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Con questo film posso ritenermi sazio del cinema minimalista. D'altra parte lo psichiatra Mario Thompson Nati (grande appassionato di cinema) ci aveva avvertito quando diceva che "...per annientare il minimalismo basta farlo diventare fine a se stesso". Prima scena: Don Johnston (Bill Murray) guarda, con il suo tipico fare immobile e assente, un film su Giacomo Casanova. Secondi e secondi, e minuti, del Bill Murray depresso-ma-senza-darci-peso, già visto in Lost in translation: lui e il divano, il divano e lui, e la televisione che vive di vita propria. Casanova, come lo chiama il suo amico Winston (Jeffrey Wright), felicemente sposato e appassionato di gialli. Don è stato appena lasciato dalla sua ultima ragazza Sherry (Julie Delpy), capiamo ben presto che ha avuto tante donne nella sua vita, e che è sempre stato solo, sul divano (e infatti, probabilmente l'ultima ragazza lo abbandona per la disperazione di vederlo in simbiosi con il divano). Neanche l'anonima lettera rosa di una donna (quale delle tante?) riesce, almeno inizialmente, ad animarlo: eppure da questa misteriosa donna pare abbia avuto un figlio, ora ventenne. Sarà Winston a svegliare (o almeno ci prova) quest'uomo distaccato dalla terra (sembra sempre spaesato), a pianificargli il viaggio alla ricerca del tempo perduto, dopo aver scoperto che sono quattro le donne che potrebbero essere la madre di suo figlio (i fiori spezzati sono le rose rosa che il protagonista porta alle sue ex, spezzati come i legami andati via per sempre). La casualità di Jarmusch, i dettagli che alimentano un film anoressico, che va a immergere Don Murray nel flusso della vita, e forse (dico forse) solo la consapevolezza dell'essere padre lo porta alla fine a respirare (in tutto il film sembra soffocare). Un film dal ritmo lento, diviso in quattro episodi (ogni amante una puntata), a tratti divertente (diciamo, piuttosto, sorridente), ma la trama (fragile), originale non è. Don incontra le sue ex, accorgendosi di non aver dato e preso nulla, e i sentimenti di malinconia e estraneità pervadono le scene. Una storia sull'incomunicabilità tra esseri che si capiscono sempre troppo tardi. Don Murray, il fallimento di un 60 enne malinconico che vive in un eterno presente (...il passato è andato, il futuro non lo conosco, non mi resta che il presente...afferma più o meno amaramente il protagonista). Brave le quattro madri, Frances Conroy, Jessica Lange, Tilda Swinton, Sharon Stone. Broken flowers ha vinto il Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2005: come sono stati generosi i francesi.
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[+] in effetti murray comincia ad annoiare
(di isa)
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kalina
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sabato 3 dicembre 2005
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stiamo scherzando?
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Andando a vedere ieri Broken Flowers, abbiamo scoperto quanto segue: 1) Da Lost in translation, Bill Murray non sfoggia neanche un'espressione nuova, ma piuttosto l'unico gesto schifato che gli è stato cucito addosso e che ha già mostrato ultimamente in diversi film (anche Avventure acquatiche ecc.). 2) Qua si confonde VUOTO ASSOLUTO sia nel dialogo sia nella SCENEGGIATURA con profondità dei messaggi trasmessi. 3) Il così decantato ritmo dei film americani, qui è scricchiolante, gli episodi sono prevedibili così come la fine. 4) Il protagonista prende l'aereo 4 o 5 volte per essere sempre immerso nel medesimo paesaggio di pini e colline. 5) In passato lui sarebbe stato un Don Giovanni. I maschi del gruppo si sono chiesti: ma come ha fatto! Le donne hanno detto: si capisce perché è stato sempre mollato! Appare piuttosto depresso, annoiato e sopratutto non sa mai che dire né che fare.
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Andando a vedere ieri Broken Flowers, abbiamo scoperto quanto segue: 1) Da Lost in translation, Bill Murray non sfoggia neanche un'espressione nuova, ma piuttosto l'unico gesto schifato che gli è stato cucito addosso e che ha già mostrato ultimamente in diversi film (anche Avventure acquatiche ecc.). 2) Qua si confonde VUOTO ASSOLUTO sia nel dialogo sia nella SCENEGGIATURA con profondità dei messaggi trasmessi. 3) Il così decantato ritmo dei film americani, qui è scricchiolante, gli episodi sono prevedibili così come la fine. 4) Il protagonista prende l'aereo 4 o 5 volte per essere sempre immerso nel medesimo paesaggio di pini e colline. 5) In passato lui sarebbe stato un Don Giovanni. I maschi del gruppo si sono chiesti: ma come ha fatto! Le donne hanno detto: si capisce perché è stato sempre mollato! Appare piuttosto depresso, annoiato e sopratutto non sa mai che dire né che fare. Questo potrebbe suscitare tenerezza, ma da lì a dire che è un gran bel film c’è una bella differenza! 6) La galleria di belle e brave attrici dello scorso decennio non basta a controbilanciare il vuoto di senso. Lo stesso risultato si avrebbe presso un Museo di Arte Contemporanea. Noi ci siamo veramente annoiati tanto, e ci siamo chiesti perché questo film è stato presentato sotto la voce “commedia” a 3 stelle. Io lo definirei triste e noioso. Simpatico è il trailer!!
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francesco
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domenica 3 settembre 2006
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senilita'
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Congelato sul set di 'Lost in translation', Bill Murray viene scongelato qui per raccontare la senilita' di un don Giovanni costretto a ripercorre il proprio passato di collezionista di donne. Tutte diverse fra loro, tutti amori di un momento che adesso gli appaiono lontanissimi e irriconoscibili, resi ancor piu' grotteschi dalle loro assurde professioni. Le altre donne, quelle mai viste prima - la Lolita desnuda, le ragazze mai zitte sul bus, la segretaria lesbica, gelosa, 'tenera come un muro' per dirla alla Vecchioni - restano ormai pianeti distanti, da osservare con il sereno distacco con cui si guarda 'The private life of Don Juan' (di Alexander Korda, 1934) in tv. Ma se il passato non vale piu' (anche se il protagonista vive in una casa che sembra arredata in un'altra epoca) e l'importante e' vivere il presente, i conti non tornano quando si apre un'inattesa finestra sul futuro.
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Congelato sul set di 'Lost in translation', Bill Murray viene scongelato qui per raccontare la senilita' di un don Giovanni costretto a ripercorre il proprio passato di collezionista di donne. Tutte diverse fra loro, tutti amori di un momento che adesso gli appaiono lontanissimi e irriconoscibili, resi ancor piu' grotteschi dalle loro assurde professioni. Le altre donne, quelle mai viste prima - la Lolita desnuda, le ragazze mai zitte sul bus, la segretaria lesbica, gelosa, 'tenera come un muro' per dirla alla Vecchioni - restano ormai pianeti distanti, da osservare con il sereno distacco con cui si guarda 'The private life of Don Juan' (di Alexander Korda, 1934) in tv. Ma se il passato non vale piu' (anche se il protagonista vive in una casa che sembra arredata in un'altra epoca) e l'importante e' vivere il presente, i conti non tornano quando si apre un'inattesa finestra sul futuro. E il distaccato, sornione, un po' misantropo Don Johnston (...) scopre quanto vorrebbe un figlio. Per continuare ad esistere. Scongelato.
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antonello
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martedì 1 maggio 2007
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capolavoro o spazzatura?il confine è labile
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Un playboy vecchio stampo e vecchio d'eta viene mollata dalla sua giovane compagna,stanca della sua avversione al matrimonio.Vedendola andare via,raccoglie la posta appena arrivata e una lettera gli rivela una scomoda verita:ha un figlio di 19anni mai conosciuto ma non c'è scritto altro.Crudele burla o crudele verità?Jarmusch cuce addosso a Murray un road movie soffice ma lento,divertente ma a tratti pesante.Il confine tra spazzatura e capolavoro è labile e infatti è un film che divide le platee.Qualcuno rimarrà affascinato dalle mille citazioni dell'autore,altri si addormenteranno di fronte al viso da clown triste del grande Murray.Buone trovate come la incredibile psicologa per animali.Un film piacevole ma non al livello di LOST IN TRANSLATION,per avere un termine di paragone.
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Un playboy vecchio stampo e vecchio d'eta viene mollata dalla sua giovane compagna,stanca della sua avversione al matrimonio.Vedendola andare via,raccoglie la posta appena arrivata e una lettera gli rivela una scomoda verita:ha un figlio di 19anni mai conosciuto ma non c'è scritto altro.Crudele burla o crudele verità?Jarmusch cuce addosso a Murray un road movie soffice ma lento,divertente ma a tratti pesante.Il confine tra spazzatura e capolavoro è labile e infatti è un film che divide le platee.Qualcuno rimarrà affascinato dalle mille citazioni dell'autore,altri si addormenteranno di fronte al viso da clown triste del grande Murray.Buone trovate come la incredibile psicologa per animali.Un film piacevole ma non al livello di LOST IN TRANSLATION,per avere un termine di paragone.Finale che divide ma originale.
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tiamaster
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martedì 22 maggio 2012
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umano,delicato,amaro.
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Broken flowers non è un film per tutti.è troppo introspettivo,umano,psicologico per essere apprezzato da tutti.Il film dal'inizio alla fine si concentra su i personaggi, caratterizandoli come meglio non si potrebbe e come pochi spettatori sensibili possono apprezzare ,e grazie all' INCREDIBILE prova d'attore di Bill Murray (e merita di essere citata l'interpretazione di Sharon Stone), lo spettatore si immedesima completamente in lui,fino al grande finale,dove broken flowers SBOCCIA IN TUTTA LA SUA BELLEZZA:un finale amaro,potente,vero,impossibile da dimenticare.Un film per pochi,da VIVERE assieme al prottagonista, da pensare e da ripensare, da vedere e da rivedere,una PERLA sostenuta da una sceneggiatura,da una regia e da una fotografia di RARA BELLEZZA.
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Broken flowers non è un film per tutti.è troppo introspettivo,umano,psicologico per essere apprezzato da tutti.Il film dal'inizio alla fine si concentra su i personaggi, caratterizandoli come meglio non si potrebbe e come pochi spettatori sensibili possono apprezzare ,e grazie all' INCREDIBILE prova d'attore di Bill Murray (e merita di essere citata l'interpretazione di Sharon Stone), lo spettatore si immedesima completamente in lui,fino al grande finale,dove broken flowers SBOCCIA IN TUTTA LA SUA BELLEZZA:un finale amaro,potente,vero,impossibile da dimenticare.Un film per pochi,da VIVERE assieme al prottagonista, da pensare e da ripensare, da vedere e da rivedere,una PERLA sostenuta da una sceneggiatura,da una regia e da una fotografia di RARA BELLEZZA.Indimenticabile,umano,struggente e amaro.
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angelo umana
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martedì 13 maggio 2014
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paternità cercata, nuova ragione di vita
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In “Stanno tutti bene” del 2009 il pensionato Robert De Niro pensava a quanto utile era stato il suo lavoro, aver consentito a milioni di voci di parlarsi, ricopriva di PVC i cavi telefonici che “trasportano” la voce della gente, “quante cose in un filo di fiato” (ma questa è una canzone di Celentano). Affascinante è anche pensare ai viaggi che fanno le lettere trasportate dalla US Mail, dalle buche delle lettere ai nastri di smistamento, fino ai furgoni e agli aerei. In questo film pure affascinante di Jim Jarmusch, ma del 2005, una di queste lettere, di colore rosa e anonima, arriva allo svagato Don-Bill Murray, sessantenne dongiovanni che ha passato molte donne e molti letti e che, riferimento non casuale, vediamo osservare distrattamente un film in tv su Don Giovanni.
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In “Stanno tutti bene” del 2009 il pensionato Robert De Niro pensava a quanto utile era stato il suo lavoro, aver consentito a milioni di voci di parlarsi, ricopriva di PVC i cavi telefonici che “trasportano” la voce della gente, “quante cose in un filo di fiato” (ma questa è una canzone di Celentano). Affascinante è anche pensare ai viaggi che fanno le lettere trasportate dalla US Mail, dalle buche delle lettere ai nastri di smistamento, fino ai furgoni e agli aerei. In questo film pure affascinante di Jim Jarmusch, ma del 2005, una di queste lettere, di colore rosa e anonima, arriva allo svagato Don-Bill Murray, sessantenne dongiovanni che ha passato molte donne e molti letti e che, riferimento non casuale, vediamo osservare distrattamente un film in tv su Don Giovanni. Il nostro Don sembra riflettere su glorie passate che non lo animano più, abbastanza agiato per il suo passato nel business dei computers, con la bottiglia di Moet et Chandon sul tavolo. La sua noia e indolenza assomigliano molto a quella dell’ex rocker Sean Penn in “This must be the place”, altro film del nostro Sorrentino del 2011: entrambi paiono aver bisogno di un motivo per rianimarsi, uno scopo da perseguire e che li metta in marcia.
A Don la ignota ex amante di vent’anni prima ha scritto che ebbe un figlio da lui, ma non lo avvertì, non gli disse niente essendo la loro ormai “una storia che era acqua passata”. Il figlio sarebbe ora un “timido e riservato 19enne”, interessato alla filosofia (dalla descrizione anonima parrebbe un tipo un po’ svagato come Don), che forse lo cerca, è scritto nella lettera. L’amico e vicino di casa Winston, molto diverso da lui, legato alla famiglia e ai suoi cinque bambini, appassionato di detectiveness, gli organizza un viaggio attraverso l’America per far tappa da tutte le sue ex fidanzate, una delle quali deve essere la possibile madre autrice della lettera, scritta con una macchina da scrivere anch’essa rosa, un indizio.
Come l’ex musicista Sean Penn che parte per cercare l’aguzzino di suo padre, Don intraprende un po’ controvoglia questo viaggio, ma in fondo un motivo lo trova: la paternità che non ha mai avuto, conoscere questo figlio, una nuova ragione di vita. Le tappe sono nelle case e le vite diverse delle ex amanti, a cui si presenta sempre con un mazzo di rose (consiglio di Winston). Quasi tutte lo accolgono volentieri e con curiosità o almeno educatamente, due sono le cene silenziose e con qualche imbarazzo, tutto molto ironico come pieno d’ironia è il film: a casa della creatrice di look Laura-Sharon Stone e presso l’agente immobiliare Dora-Frances Conroy. Altro ex amore è la veterinaria che comunica con gli animali, “nientepocodimeno” che Carmen-Jessica Lange e poi c’è la più sregolata e violenta, che vive accanto a una specie di rurale autorimessa con due uomini altrettanto violenti, la bellissima Penny-Tilda Swinton, la più sospettabile come autrice della lettera e madre del ragazzo che Don cerca. Un viaggio nelle vite private del grande ventre americano.
Don incontrerà casualmente un ragazzo che potrebbe essere il figlio cercato. Parlano per strada, costui chiede tra l’altro all’anziano un pensiero saggio, che in effetti capta la sua attenzione. La frase famosa di Don è “Il passato è passato, questo lo so, e il futuro non è ancora arrivato, così l’unica cosa che esiste è il presente”. Quando però Don gli chiede di suo padre il ragazzo dice di non saperne nulla e di non volerne parlare: fugge via ad un gesto di avvicinamento di Don. Il regista Jim Jarmusch ha creato un’atmosfera da cui dispiace distaccarsi, ma i 105 minuti di Broken Flowers ci han detto già tutto. Magnifico.
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aldo marchioni
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lunedì 19 gennaio 2015
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quasi nulla, giusto qualcosa
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Solitamente Jim Jarmusch non mi trasmette nulla, nemmeno il vuoto (il vuoto è qualcosa, è più di nulla).
Qui, un po' di vuoto c'è. Di tutti i film di Jarmusch che ho avuto la sventura di vedere, questo è l'unico che ha qualcosa di guardabile, l'unico che mi ha trasmesso quache sentimento che non fosse stupidità (tipo Solo gli amanti Sopravvivono).
C'è da dire che Jarmusch riesce, al solito, a far sembrare suallidissimi paesaggi meravigliosi. Ho riconosciuto, dalle inquadrature, i monti Appalachi, in autunno, quando le foglie cambiano colore: ci sono stato, esattamente in quella stagione. E' un paesaggio che si fotografa da solo, se affidate la vostra fotocamera ad una scimmia, avrete comunque immagini da levare il fiato.
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Solitamente Jim Jarmusch non mi trasmette nulla, nemmeno il vuoto (il vuoto è qualcosa, è più di nulla).
Qui, un po' di vuoto c'è. Di tutti i film di Jarmusch che ho avuto la sventura di vedere, questo è l'unico che ha qualcosa di guardabile, l'unico che mi ha trasmesso quache sentimento che non fosse stupidità (tipo Solo gli amanti Sopravvivono).
C'è da dire che Jarmusch riesce, al solito, a far sembrare suallidissimi paesaggi meravigliosi. Ho riconosciuto, dalle inquadrature, i monti Appalachi, in autunno, quando le foglie cambiano colore: ci sono stato, esattamente in quella stagione. E' un paesaggio che si fotografa da solo, se affidate la vostra fotocamera ad una scimmia, avrete comunque immagini da levare il fiato. Ecco, Jim Jarmusch riesce nell'impresa impossibile di far sembrare piatto e banale un simile capolavoro di Dio e della natura. Delle due l'una: o lo fa di proposito, e questo non depone a favore dell'intelligenza del regista. O lo fa senza renderesene conto: il che qualifica Jarmush come un incapace. Quanto meno della fotografia.
Ciò detto, la storia qualche spunto di riflessione lo da. Ma che noia ...
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[+] forse il film e'' stato sopravvalutato.
(di no_data)
[ - ] forse il film e'' stato sopravvalutato.
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