jaylee
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domenica 10 novembre 2019
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nuovo cinema inferno
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Dopo Il Signor Diavolo di Pupi Avati, ecco un altro thriller di genere (quello psicologico tipo Il Silenzio Degli Innocenti) che affiora in Italia in mezzo al mare magnum delle commedie di diverse qualità. Chissà se sia l’inizio di un rinascimento, in fin dei conti tra gli anni ’70 e ’80 i vari Argento, Fulci, Bava e lo stesso Avati, l’Italia era considerato uno dei Paesi caposcuola.
Quindi una lodevole iniziativa, peraltro Carrisi è uno degli scrittori che in questo momento è assolutamente sull’onda, chissà se la regia sia il suo sogno nel cassetto. In genere sono pochissimi gli scrittori che riescono in questo salto, uno su tutti Stephen King che chi aveva provato, purtroppo -secondo noi - con scarsi risultati.
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Dopo Il Signor Diavolo di Pupi Avati, ecco un altro thriller di genere (quello psicologico tipo Il Silenzio Degli Innocenti) che affiora in Italia in mezzo al mare magnum delle commedie di diverse qualità. Chissà se sia l’inizio di un rinascimento, in fin dei conti tra gli anni ’70 e ’80 i vari Argento, Fulci, Bava e lo stesso Avati, l’Italia era considerato uno dei Paesi caposcuola.
Quindi una lodevole iniziativa, peraltro Carrisi è uno degli scrittori che in questo momento è assolutamente sull’onda, chissà se la regia sia il suo sogno nel cassetto. In genere sono pochissimi gli scrittori che riescono in questo salto, uno su tutti Stephen King che chi aveva provato, purtroppo -secondo noi - con scarsi risultati.
Ecco, non sappiamo se Carrisi si sia ispirato a King nel scrivere il suo libro (che non abbiamo letto), ma ci sentiremmo di sconsigliarlo a imitare il suo approccio alla regia, dando per assodato che la sceneggiatura, visto che è la sua, lo aveva convinto.
Il film è un guazzabuglio di idee, stili (anche visivi), che attingono a mille fonti senza una vera e propria logica, e in genere nel modo peggiore. Dove si svolge il racconto? Sembra un non-luogo, né Italia né Stati Uniti, ma un po’ lo stereotipo di entrambi. In che anni? Com’è che Genko ha un Mac con Skype installato sopra e la polizia usa il Vic20 e dei classificatori anni ’70 per fare ricerche? Ci sembra una caricatura di David Lynch. Le atmosfere dove i protagonisti si muovono in un noir fatto di luci geometriche, mentre parlano in un italiano caricato e teatrale, dove mangiano salsiccia in umido e bevono vodka e whisky, …. Cosa è, Sin City incontra Bud Spencer? E le atmosfere malate alla Seven con labirinti, topi di fogna, insetti all’ospedale (in una camera tipo il Cardarelli di Napoli) o con i set che sembrano Dario Argento che fa un remake di Blade Runner (vedere per credere, il boudoir della prostituta collezionista di unicorni). Sembra quasi di vedere regista, fotografo e Responsabile della Colonna Sonora al tavolo: “Ma qui non vuoi metterci un po’ di Profondo Rosso?"; “E qui se rifacciamo quella scena di Frank Miller? Pero’ come il fumetto, non come Rodriguez, che è commerciale”; “E la musica in crescendo per trasmettere ansia? è un classico, così anche i 70enni sono soddisfatti” “Anche quel pezzo di Prisoners di Villeneuve, dai, con la vecchietta fortissima”, “e il coniglio demoniaco di Donnie Darko? Figata!” “ah, i numeri 23 che fanno molto onirico”, “ma sai che voglio anche metterci il cesso di Trainspotting”? Neanche Tarantino è così derivativo, e di certo non infila così tanti riferimenti scomposti.
Il tutto reso ancora peggio dal potenziale interpretativo a disposizione di Carrisi: Toni Servillo che sembra sperduto come mai lo avevamo visto, e un Dustin Hoffman, in palese gita italiana, deve aver rimpianto sia Pietro Germi ma anche lo spot del Caffè Vergnano. Lasciamo stare Vinicio Marchioni (Intimidito) e soprattutto Valentina Bellè, che di certo non poteva risollevare dei dialoghi scritti così male, ma ci mette del suo con l’interpretazione così caricaturale.
Magari all’estero sfonda. Oppure, fanno finta di niente, che per il cinema italiano sarebbe molto meglio. Sprofondo Rosso. (www.versionekowalski.it)
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pakomachine
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sabato 9 novembre 2019
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facciamo il punto nave
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Ci sono pellicole nostrane che, pian piano, riescono a riportare fiducia allo spettatore italiano. Storie, mondi, immagini che hanno qualcosa da aggiungere al panorama generale. Di conseguenza capita che, durante una cena o davanti ad una birra, si senta parlare di Indivisibili, Lo chiamavano Jeeg Robot, Dogman, Suburra, Reality, Tito e gli alieni piuttosto che dell’ultima, solita, patinata pellicola statunitense. Bene. Molto bene. Quindi giù a dare spazio al cinema italiano.
Di colpo, ci si trova di fronte a questa pellicola che definirei irritante, pomposa ma soprattutto devastatrice di quanto fin ora detto.
L’uomo del labirinto, a parte essere inconcludente e con una trama che non sposta di una virgola il concetto di twist (il modo grossolano con il quale Hoffman dall’inizio del film tortura la pallina nelle sue mani è a dir poco eloquente, come il fantoccio del piantone dietro la porta della stanza dell’ospedale), è confuso e incede barcollando, costretto in una serie di incroci temporali maldestramente gestiti.
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Ci sono pellicole nostrane che, pian piano, riescono a riportare fiducia allo spettatore italiano. Storie, mondi, immagini che hanno qualcosa da aggiungere al panorama generale. Di conseguenza capita che, durante una cena o davanti ad una birra, si senta parlare di Indivisibili, Lo chiamavano Jeeg Robot, Dogman, Suburra, Reality, Tito e gli alieni piuttosto che dell’ultima, solita, patinata pellicola statunitense. Bene. Molto bene. Quindi giù a dare spazio al cinema italiano.
Di colpo, ci si trova di fronte a questa pellicola che definirei irritante, pomposa ma soprattutto devastatrice di quanto fin ora detto.
L’uomo del labirinto, a parte essere inconcludente e con una trama che non sposta di una virgola il concetto di twist (il modo grossolano con il quale Hoffman dall’inizio del film tortura la pallina nelle sue mani è a dir poco eloquente, come il fantoccio del piantone dietro la porta della stanza dell’ospedale), è confuso e incede barcollando, costretto in una serie di incroci temporali maldestramente gestiti.
Un po’ di Argento degli anni buoni, un coniglio alla Donnie Darko per strizzare l’occhio agli esterofili, una recitazione grottesca che risulta essere l’unico elemento a fare venire la pelle d’oca in questo sedicente thriller.
Servillo e Hoffman, prevedibilmente, si elevano rispetto al resto del cast, rimanendo comunque in un “limbo” doloroso per chi è avvezzo a ben altre performance dei due attori. Tutto troppo.
Messa in scena, fotografia, scenografie elementi esagerati vista la pochezza del racconto. (Perché in un thriller grottesco qualcuno dovrebbe vivere in un appartamento con carta da parati damascata nera e rossa??)
Il punto debole (tra tutti quelli elencati) resta il twist debolissimo. Toccherebbe ridare un’occhiata a film come una Pura Formalità, The others, Fight Club, i Soliti Sospetti e via così. Parliamo di film cesellati con cura e ricchezza di dettagli e una precisione maniacale. Tutti elementi che mancano ne L’uomo del labirinto.
Un film che terrorizza, terrorizza il cinema italiano.
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lizzy
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domenica 22 marzo 2020
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un cerchio più che un labirinto...
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Partiamo col dire che non ho letto (e non ho nessuna intenzione di farlo) il libro, quindi non ho idea se ci sia qualcosa di diverso, qualcosa di meglio o peggio o qualcosa di inesistente nel romanzo rispetto al film.
Limitandomi alla sola pellicola non posso altro che sottoscrivere la recensione "Nuovo Cinema Inferno": questo film è un accozzaglia di situazioni/citazioni che dovresti schiacciare centomila volte il pulsante "pause" per fermarti a riflettere su chi, come, cosa, quando, perchè...
Tecnologie, appunto, mischiate, luoghi assurdi pur se indecifrabili e situazioni al limite del ridicolo.
Come il Genko che segue la vecchia disturbata in cantina: ma che, veramente un tipo, si suppone, scaltro come lui finisca a terra con la solita botta in testa a sorpresa?
E come mai il "Bunny" scende in cantina così avventatamente?
Perchè quando Genko riesce a stordirlo e corre sopra, dopo aver chiuso la porta a sua volta, bloccando la fuga dell uomo, non si ferma a prendere le sue cose e a telefonare alla Polizia?
Stesso dicasi per il Dottor Green: ma scherzate che vien messo k.
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Partiamo col dire che non ho letto (e non ho nessuna intenzione di farlo) il libro, quindi non ho idea se ci sia qualcosa di diverso, qualcosa di meglio o peggio o qualcosa di inesistente nel romanzo rispetto al film.
Limitandomi alla sola pellicola non posso altro che sottoscrivere la recensione "Nuovo Cinema Inferno": questo film è un accozzaglia di situazioni/citazioni che dovresti schiacciare centomila volte il pulsante "pause" per fermarti a riflettere su chi, come, cosa, quando, perchè...
Tecnologie, appunto, mischiate, luoghi assurdi pur se indecifrabili e situazioni al limite del ridicolo.
Come il Genko che segue la vecchia disturbata in cantina: ma che, veramente un tipo, si suppone, scaltro come lui finisca a terra con la solita botta in testa a sorpresa?
E come mai il "Bunny" scende in cantina così avventatamente?
Perchè quando Genko riesce a stordirlo e corre sopra, dopo aver chiuso la porta a sua volta, bloccando la fuga dell uomo, non si ferma a prendere le sue cose e a telefonare alla Polizia?
Stesso dicasi per il Dottor Green: ma scherzate che vien messo k.o. con un mezzo calcio sferrato dal letto dalla vittima? Ma dove, come e quando potrebbe avvenire.
Beh, certo, se io fossi una persona del tipo "guardare e non riflettere" allora tutto avrebbe un senso.
Tipo lo stanzone enorme del (supposto) locale della Polizia dove vengono schedati gli scomparsi: ci si potrebbe giocare a pallone tanto è ampio. E quei contenitori con addirittura le foto delle vittime...
La stanza dell' ospedale poi tutto sembrava tranne, appunto, una stanza di ospedale, ed è qui che il tarlo del dubbio comincia a rodere da subito: fosse una parte del famoso "labirinto" e il Green il "mostro"?
Con questa premessa, già a inizio film, tutto il resto passa in secondo piano.
Poi le boiate tipo il comportamento dei poliziotti (assurdo da qualunque parte si veda) e l'assoluta mancanza di coerenza (vedi scena nella roulotte) fanno il resto.
Nota finale: anche qua i due attoroni sono sprecati e sembrano fuori parte: Hoffman si vede che fa una marchetta e Servillo... beh... un altra recitazione "annoiata".
Valentina Bellè completamente fuori parte (o così pare a me).
Alla fine tutto torna all' inizio (il cerchio si chiude)... e la chiaccherata finale al bar fra Hoffman Servillo e mi sembra tanto uno di quegli spoileroni (voluti) dei film della Marvel dove si buttano le basi per l' opera successiva.
Ma chi la vorrà vedere?
A me "La ragazza nella nebbia" e questo son bastati...
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samanta
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domenica 10 novembre 2019
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lo spettatore nel labirinto ...
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E' il secondo film di Donato Carisi che ha curato la regia, la scenggiatura la storia è tratta da un suo romanzo. Il film precedente era La ragazza nella nebbia (da me recensito), nel quale si ravvisava una certa ingenuità e poca scioltezza e professionalità nella regia. Tali difetti, seppure attenuati, emergono anche nel nuovo film.
La trama riguarda il raèimento di una giovane ragazza di 13 anni Samantha (interpretata adulta da Valentina Bellè) che viene ritrovata dopo 15 anni e ricoverata nell'Ospedale di S. Caterina (California?) curata da un psicologo/profiler il dr. Green (Dustin Hoffman). La ragazza era stata chiusa in un labirinto in cui le veniva imposto un gioco mediante un cubo, se vinceva si apriva una porta che nascondeva un cibo, una bevanda o altro.
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E' il secondo film di Donato Carisi che ha curato la regia, la scenggiatura la storia è tratta da un suo romanzo. Il film precedente era La ragazza nella nebbia (da me recensito), nel quale si ravvisava una certa ingenuità e poca scioltezza e professionalità nella regia. Tali difetti, seppure attenuati, emergono anche nel nuovo film.
La trama riguarda il raèimento di una giovane ragazza di 13 anni Samantha (interpretata adulta da Valentina Bellè) che viene ritrovata dopo 15 anni e ricoverata nell'Ospedale di S. Caterina (California?) curata da un psicologo/profiler il dr. Green (Dustin Hoffman). La ragazza era stata chiusa in un labirinto in cui le veniva imposto un gioco mediante un cubo, se vinceva si apriva una porta che nascondeva un cibo, una bevanda o altro. Due indagini sono partite: una del detective privato Bruno Genko (Toni Servillo) che 15 anni prima non era riuscito a trovare la ragazzina e la polizia locale tra cui l'agente Lumann (Luis Gnecco) e l'agente Berish che cura l'archivio degli scomparsi (Vinicio Marchioni) ufficio in cui lavora Mila Vazquez che è sparita dal giorno del ritrovamento. Il film si dipana (dura oltre 2 ore) con colpi di scena intricati, in un intreccio di ricerche, nonchè con alcuni omicidi, non svelo il finale per l'eventuale spettatore.
La trama si dimostra confusa e con salti logici e lacune nel racconto, un conto è essere un bravo scrittore e un conto essere un bravo sceneggiatore e in questo caso la sceneggiatura, compresi i dialoghi, è carente. Sono non solo improbabili ma inverosimili i poliziotti americani, che di americano non hanno neppure lontanamente l'aspetto, il film girato evidentemente in Italia ha molte riprese in interni che sembrano fondali teatrali di cartapesta. Carrisi indubbiamente scrive romanzi di successo, ma ad essere franchi non è Mario Soldati che scriveva romanzi pregevoli e girava fim di valore, la regia non ha il controllo della situazione lo sviluppo della vicenda è troppo confusa e viene dimenticato un assioma di Hitchcock e cioè lasciare qualche traccia, qui i colpi di scena cadono dal cielo. Così facendo gli eventi non determinano nello spettatore momenti di suspence o tensione che in un film di questo tipo dovrebbero correre per tutta vicenda, il che peraltro non avviene.
Anche l'interpretazione degli attori lascia a desiderare: Toni Servillo è un un detective privato poco credibile si vede che non è in parte, quanto a Dustin Hoffman
la cui professionalità e bravura è fuori discussione, recita la parte sottotono certamente non salva il livello del film il regista non ha saputo sfruttare due assi come loro. Per quanto rguarda gli altri interpreti solo Valentina Bellè fa un'interpretazione buona, gli altri protagonist recitano mediocremente.
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felicity
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lunedì 22 giugno 2020
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quando manca un grande regista...
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Il film ha una estetica che miscela più generi: dal noir, alla detective story, passando naturalmente per alcuni topoi del genere orrorifico, che trova la sua massima espressione nel gioco sapiente dei toni utilizzati, delle luci e della loro alternanza.
Tutto questo però sarebbe stato più facilmente digeribile se regia e sceneggiatura fossero state all'altezza delle ambizioni di Donato Carrisi, ma purtroppo non è così.
Alla base c'è un gioco nell’insano rapporto tra rapitore e vittima che viene rievocato dai flashback: il superamento di una prova per poter rimanere aggrappati alla vita. Così come il Genko di Servillo sembra inizialmente barcamenarsi in un ambiente e in una vicenda più grandi di lui, a volte sembrando più un Deckard malridotto a caccia di replicanti, salvo poi trovare la pista giusta.
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Il film ha una estetica che miscela più generi: dal noir, alla detective story, passando naturalmente per alcuni topoi del genere orrorifico, che trova la sua massima espressione nel gioco sapiente dei toni utilizzati, delle luci e della loro alternanza.
Tutto questo però sarebbe stato più facilmente digeribile se regia e sceneggiatura fossero state all'altezza delle ambizioni di Donato Carrisi, ma purtroppo non è così.
Alla base c'è un gioco nell’insano rapporto tra rapitore e vittima che viene rievocato dai flashback: il superamento di una prova per poter rimanere aggrappati alla vita. Così come il Genko di Servillo sembra inizialmente barcamenarsi in un ambiente e in una vicenda più grandi di lui, a volte sembrando più un Deckard malridotto a caccia di replicanti, salvo poi trovare la pista giusta. Il male che circonda la figura di quest’uomo con la faccia da coniglio non sembra mai troppo terreno e il fumetto per bambini che ne rappresenta le origini ha sicuramente il suo sorprendente effetto perturbante.
A livello di script è evidente il lavoro di rimaneggiamento per fare sì che lo spirito e la storia del romanzo, nella sua interezza, siano presenti anche nel film, ma forse Carrisi era talmente preoccupato che tutto funzionasse, che tutto fosse chiaro e che ogni colpo di scena sortisse il suo effetto, da perdersi per strada gli aspetti più importanti: una migliore caratterizzazione dei suoi personaggi e un maggiore approfondimento del tema più importante della sua opera, quello degli abusi e delle conseguenze sulla psiche dei più giovani.
A livello di regia troppa sicurezza, troppa disinvoltura, troppa tranquillità nell'affrontare un genere come il thriller che, nonostante le apparenze, non è affatto facile da gestire con maestria: il problema è che non bastano dei semplici colpi di scena a fare un grande thriller, serve prima di tutto un grande regista.
In sintesi, la forma de L’uomo del labirinto non lascia sicuramente indifferenti, ma la sostanza è alle volte molto rivedibile.
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elgatoloco
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martedì 1 dicembre 2020
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meglio che"la ragazza nella nebbia"
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In"L'uomo del labritinto"(DOnato Carrisi, anche autore della sceneggiatura dal suo ormonimo romanzo, 2019) lo scrittore passato anche alla regia dosa più attentatamente il rapporrto parola-immagine, anche see rimane, in qualche modo, una"sovrabbondanza"delle parole, del racconto verbale rispetto a quello per immagini, che è invece più propiro del cinema, il che non toglie(o"taglia")la parola, ovviamnete. La storia della ragazza rapita e della sua"detenzione"durata quindici anni è da rivedere alla luce del finale(sul quale, ovviamente, non si piò entrare)rilevando solo come tale narrazione sia comunque finalizzata alla scoperta della"verità", dove come al solito sono impegnati sia un detecive privato(ancora una volta Toni Servillo)e uno psicologo-profiler(Dustin Hoffman), dove però è da dire che il detective è alla viglia della sua morte per infezione cardiaca, morte peraltro preannuciatagli dai medici.
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In"L'uomo del labritinto"(DOnato Carrisi, anche autore della sceneggiatura dal suo ormonimo romanzo, 2019) lo scrittore passato anche alla regia dosa più attentatamente il rapporrto parola-immagine, anche see rimane, in qualche modo, una"sovrabbondanza"delle parole, del racconto verbale rispetto a quello per immagini, che è invece più propiro del cinema, il che non toglie(o"taglia")la parola, ovviamnete. La storia della ragazza rapita e della sua"detenzione"durata quindici anni è da rivedere alla luce del finale(sul quale, ovviamente, non si piò entrare)rilevando solo come tale narrazione sia comunque finalizzata alla scoperta della"verità", dove come al solito sono impegnati sia un detecive privato(ancora una volta Toni Servillo)e uno psicologo-profiler(Dustin Hoffman), dove però è da dire che il detective è alla viglia della sua morte per infezione cardiaca, morte peraltro preannuciatagli dai medici. Effetti speciali più"forti"che nel primo film(c'è il labirionto, ma anche altro, naturalmente), musiche di Vito Lo Re che sono più"tagliate"sulle singole sequenze e sui gruppi di esse, con echi non prettamente"gobliniani"ma in parte più fortemente richiamanti le musiche scritt per i film di Dario Argento e/o di Brian De Palma e un montaggio che, anche se in parte ancora"bloccato"riesce a caratterizzare i passaggi in maniera più fluida rispetto al primo film, dove ci si domanda(da non lettori dei romanzi di Carrisi, devo precisare per correttezsa)se la scelta sia di Massimo QUaglia, il responsabile del montaggio o dello stesso scrittore8il che appare decisamente più verosimile, ma forse è solo una supposizione). INutile qui insistere ancora sulla questione del rapporto tra lo scrittore passato alla regia, senza lasciare ovviamete la scrittura, "quaestio aeterna" (si fa per dire, cderto, da quando esiste il cinema)ma esso pesa naturalmente trovandosi di fronte ad opere che sono non solo di matrice letteraria(vale per buona parte dei trhiller, dei film fantastici horror etc., per non dire dei film in gneere)per di più opera di uno scrittore che si avvicina al cinema da autore da qualche anno. Quanto all'i9nteprretazione, Toni Servillo è più"libero"rispeotto alla prova precednete, il ghigno di Dustin Hoffman è olttremodo espressivo(il grnade attoree USA conferma di esseree uno dei grandissimi di ogni tempo); la prova di Valentina Bellé nella parte della"reclusa"è certamente convincente e altrettanto vale per altri ruoli. El Gato
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uppercut
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venerdì 5 agosto 2022
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sì, davvero inquietante
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Se il film voleva apparire inquietante, direi che per quanto mi riguarda il risultato è pienamente raggiunto. Davvero inquietante vedere Dustin Hoffman e Toni Servillo arrabattarsi in un contesto (fatico a chiamarlo film) dove il livello è da saggio di scuola primaria di secondo grado (per esser generosi). Inquietante è il fatto che non solo in Italia si investa per una nullità del genere ma che si arrivi pure a riconoscerle una candidatura ai David di Donatello. Inquietante è trovarsi per la prima volta ad abbandonare la visione di un "film" per il disagio di sentirsi in qualche modo complici di una mediocrità così offensiva ad ogni livello: narrativo, recitativo e pure tecnico (scavalcamenti di campo, luci e trucco alla caccia dell'effettazzo più gratuito, montaggio da subito arrangiato senza gusto e rigore.
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Se il film voleva apparire inquietante, direi che per quanto mi riguarda il risultato è pienamente raggiunto. Davvero inquietante vedere Dustin Hoffman e Toni Servillo arrabattarsi in un contesto (fatico a chiamarlo film) dove il livello è da saggio di scuola primaria di secondo grado (per esser generosi). Inquietante è il fatto che non solo in Italia si investa per una nullità del genere ma che si arrivi pure a riconoscerle una candidatura ai David di Donatello. Inquietante è trovarsi per la prima volta ad abbandonare la visione di un "film" per il disagio di sentirsi in qualche modo complici di una mediocrità così offensiva ad ogni livello: narrativo, recitativo e pure tecnico (scavalcamenti di campo, luci e trucco alla caccia dell'effettazzo più gratuito, montaggio da subito arrangiato senza gusto e rigore...). Inquietante, come purtroppo sempre più spesso accade su questa piattaforma. è assistere al mesto, patetico, ridicolo tramonto della critica cinematografica.
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nino pellino
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sabato 2 novembre 2019
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affascinante thriller dalla struttura articolata
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Un thriller che si articola e si sviluppa su diverse situazioni che tendono ad incuriosire, ma a volte anche a disorientare lo spettatore. Il film è ricco di colpi di scena per cui non appena si è convinti di essere giunti alla soluzione dell'enigma, improvvisamente si avvicendano nuovi punti interrogativi e nuove piste da seguire, finché non si giunge al più classico dei colpi di scena in cui si scoprirà il vero volto del serial Killer. Questa pellicola trova il suo punto di forza nella presenza di attori di grande livello, come il sempre carismatico Toni Servillo, una convincente Valentina Bellé e soprattutto un Dustin Hoffman naturalmente sempre molto bravo a livello interpretativo.
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Un thriller che si articola e si sviluppa su diverse situazioni che tendono ad incuriosire, ma a volte anche a disorientare lo spettatore. Il film è ricco di colpi di scena per cui non appena si è convinti di essere giunti alla soluzione dell'enigma, improvvisamente si avvicendano nuovi punti interrogativi e nuove piste da seguire, finché non si giunge al più classico dei colpi di scena in cui si scoprirà il vero volto del serial Killer. Questa pellicola trova il suo punto di forza nella presenza di attori di grande livello, come il sempre carismatico Toni Servillo, una convincente Valentina Bellé e soprattutto un Dustin Hoffman naturalmente sempre molto bravo a livello interpretativo. Mentre, secondo me, tra gli aspetti negativi, vi ho trovato forse un eccessivo susseguirsi di situazioni caratterizzate da personaggi traviati e dalle tendenze omicide, per cui una trama leggermente più semplice e meno cervelloticamente articolata, avrebbe determinato sicuramente maggiore fluidità a questo thriller. Ma col senno del poi, è anche vero il dover mettere in evidenza che probabilmente la vera bellezza di questo thriller sta proprio nella sua laboriosità.
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ruben
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venerdì 8 novembre 2019
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mindfuck!
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Mindfuck movie italiano, girato da un regista che di professione fa lo scrittore. La direzione, solo discreta, riesce a trasmettere la giusta dose di inquietudine e invoglia ad incedere nel racconto, malgrado in alcuni passaggi fatichi a padroneggiare uno script complesso in partenza. Seguìto con attenzione si riesce comunque ad unire tutti i puntini e alla fine tutto (o quasi) torna. Bravo Dustin Hoffman, meno bravi gli altri comprimari (stranamente Toni Servillo non sembra troppo a suo agio nella parte). La fotografia, enfatica, satura nei colori e plumbea nelle atmosfere, a tratti ricorda le graphic Novel di Frank Miller. Nota di merito per la bella colonna sonora e per gli omaggi, più o meno voluti, ai gialli di Dario Argento e al "bunny" di Donnie Darko.
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Mindfuck movie italiano, girato da un regista che di professione fa lo scrittore. La direzione, solo discreta, riesce a trasmettere la giusta dose di inquietudine e invoglia ad incedere nel racconto, malgrado in alcuni passaggi fatichi a padroneggiare uno script complesso in partenza. Seguìto con attenzione si riesce comunque ad unire tutti i puntini e alla fine tutto (o quasi) torna. Bravo Dustin Hoffman, meno bravi gli altri comprimari (stranamente Toni Servillo non sembra troppo a suo agio nella parte). La fotografia, enfatica, satura nei colori e plumbea nelle atmosfere, a tratti ricorda le graphic Novel di Frank Miller. Nota di merito per la bella colonna sonora e per gli omaggi, più o meno voluti, ai gialli di Dario Argento e al "bunny" di Donnie Darko. Voto 6/10.
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