cappa41
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domenica 23 dicembre 2018
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che delusione!
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di SEVERINO CAPPA
Come sia possibile un così unanime coro di apprezzamenti relativi ad un pessimo film, quale è "Capri- Revolution" - è un mistero difficile da spiegare. A meno che non si debba amaramente concludere che la critica cinematografica resta subalterna ad alcuni criteri che nulla hanno a che vedere con un giudizio motivato, e che riflettono piuttosto la tendenza ad essere indulgenti con le opere di autori italiani. In bilico fra il documentario di promozione turistica, il fantasy casereccio, il film di impegno civile, il saggio parafilosofico, la ricostruzione storico-sociologica, "Capri - Revolution" è un pasticcio indigesto, inutilmente magniloquente, sgangherato e velleitario.
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di SEVERINO CAPPA
Come sia possibile un così unanime coro di apprezzamenti relativi ad un pessimo film, quale è "Capri- Revolution" - è un mistero difficile da spiegare. A meno che non si debba amaramente concludere che la critica cinematografica resta subalterna ad alcuni criteri che nulla hanno a che vedere con un giudizio motivato, e che riflettono piuttosto la tendenza ad essere indulgenti con le opere di autori italiani. In bilico fra il documentario di promozione turistica, il fantasy casereccio, il film di impegno civile, il saggio parafilosofico, la ricostruzione storico-sociologica, "Capri - Revolution" è un pasticcio indigesto, inutilmente magniloquente, sgangherato e velleitario. La prova provata di un assunto di fondo, agevolmente verificabile nel campo della produzione cinematografica, secondo il quale non bastano le "intenzioni", nè le benemernze acquisite in passato, per poter realizzare un'opera decente. Nessuno discute le qualità e i meriti personali di un autore serio, impegnato, competente, quale è Martone. Ma forse proprio per queste caratteristiche, è giusto essere schietti nella valutazione di un film impostato male e realizzato peggio. Due soli esempi, fra i molti. La disputa fra "spiritualismo" e "materialismo", proposte come concezioni generali del mondo, è ridotta ai termini di una caricatura, priva di ogni rigore, e dunque anche totalmente incredibile. Qualcosa di simile vale anche per un altro filone trattato nel film, quello che riguarda la contrapposizione fra la "natura" - in tutte le sie forme, omeopatia e dieta vegetariana incluse - e l'incombente sopravvento di una soietà sempre più tecnologizzata. Rincresce doverlo dire. Ma il tentativo di esprimere mediante il mezzo cinematografico alcune fra le grandi questioni che segnano la cultura della crisi, nel passaggio fra Otto e Novecento, attraverso i dialoghi fra un improbabile santone nordeuropeo e un giovane medico napoletano, naufraga miseramente, attingendo involontariamente livelli parodistici. Se si doveva offrire una testimonianza della possibilità di trattare tematiche filosofiche rilevanti, valorizzando l'intreccio fra cinema e filosofia, questo film fallisce su entrambi i piani.
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[+] grande cinema
(di tenzo)
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paolo ferrarini
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giovedì 27 dicembre 2018
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manieristico, troppo superficiale e poco curato.
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Capri Revolution è un film che parte con buone premesse. L’atavica dicotomia tra materia e spirito, perpetuata ed accesa nel corso della storia e degli eventi, che passa da visioni naturalistiche e ascetiche per un uomo in intima simbiosi con la natura, sino al materialismo e agli ideali di progresso per la collettività nella storia. Questo incontro-scontro concentrato e messo in scena in un’isola che per sua natura ha sempre spinto ogni visitatore a guardare oltre, oltre il mare, oltre le rocce e anche, oltre se stessi. Ma la realizzazione del film non sortisce l’effetto forse sperato. E così la sceneggiatura incede per superficialità e stereotipi, con un inizio focalizzato sull’aspetto bucolico e agreste della vita contadina, raffrontato alle danze paniche dei visionari giunti da ogni parte d’europa ad assaporare il calore delle rocce ed i tramonti capresi.
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Capri Revolution è un film che parte con buone premesse. L’atavica dicotomia tra materia e spirito, perpetuata ed accesa nel corso della storia e degli eventi, che passa da visioni naturalistiche e ascetiche per un uomo in intima simbiosi con la natura, sino al materialismo e agli ideali di progresso per la collettività nella storia. Questo incontro-scontro concentrato e messo in scena in un’isola che per sua natura ha sempre spinto ogni visitatore a guardare oltre, oltre il mare, oltre le rocce e anche, oltre se stessi. Ma la realizzazione del film non sortisce l’effetto forse sperato. E così la sceneggiatura incede per superficialità e stereotipi, con un inizio focalizzato sull’aspetto bucolico e agreste della vita contadina, raffrontato alle danze paniche dei visionari giunti da ogni parte d’europa ad assaporare il calore delle rocce ed i tramonti capresi. Ma la fotografia un po’ sterile non spiega, mostra. E gli attori (tutti belli ed acconciati come modelli di D&G) non recitano, appaiono. La teoria è lasciata dopo oltre 45min. di film all’incontro-scontro tra il maestro guru e il dottore socialista espressione della società, in un dialogo superficiale e didascalico. Tecnicamente girato con arte, soprattutto nel cogliere alcuni aspetti dell’isola che affascina da secoli uomini semplici ed imperatori, Capri Revolution paga lo scotto di una scelta di attori troppo belli e curati per essere veri (possibile che nel 1914 nessuno avesse un filo di pancetta o cellulite ?), alcuni palesemente sotto tono in recitazione (si vedano i famigliari di Lucia, la protagonista, o i freddi membri della comune), inseriti in una scenografia poco curata nei dettagli (costumi troppo perfetti per essere veri, arredi finti, tavole imbandite come in modernissimo ristorante vegano, scene artificiosamente mal ricostruite). In sostanza, un film che nasce con buoni presupposti e su accadimenti reali (i circoli di naturisti e artisti che da sempre si succedono a Capri – si pensi anche ad Axel Munthe), ma che diviene un film manieristico, troppo superficiale e poco curato nei dettagli, che potrebbe tranquillamente essere diviso in 4 puntate e trasmesso a mo’ di fiction per scaldare le prime serate invernali del piccolo schermo.
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gbavila
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domenica 13 gennaio 2019
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sogno o son desto
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La fatica di vivere coincide con la fatica di raccontare e di capire: come nei sogni più ossessivi, occorre andare dallo psicanalista per cercarne un senso. Me n'è derivata un'emicrania per inseguire i sottotitoli di una sceneggiatura frammentaria, banale, fumettistica e quasi inesistente, che rasenta i fumetti dei vecchi fotoromanzi e che ha il mero scopo di distrarre dalla bellissima scenografia. Trionfa l'easperazione finalizzata alla incomprensione reciproca, tutti contro tutti, (tranne quando nella piazza arriva la luce eletrica, la scena più bella). Il desiderio di stare altrove è fortissimo e la voglia di comprendere lascia il posto al "non vedo l'ora che finisca", e non si capisce perchè non finisca molto prima vista la fatica a cui ci sottopone per una esigenza registica abbastanza contorta.
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La fatica di vivere coincide con la fatica di raccontare e di capire: come nei sogni più ossessivi, occorre andare dallo psicanalista per cercarne un senso. Me n'è derivata un'emicrania per inseguire i sottotitoli di una sceneggiatura frammentaria, banale, fumettistica e quasi inesistente, che rasenta i fumetti dei vecchi fotoromanzi e che ha il mero scopo di distrarre dalla bellissima scenografia. Trionfa l'easperazione finalizzata alla incomprensione reciproca, tutti contro tutti, (tranne quando nella piazza arriva la luce eletrica, la scena più bella). Il desiderio di stare altrove è fortissimo e la voglia di comprendere lascia il posto al "non vedo l'ora che finisca", e non si capisce perchè non finisca molto prima vista la fatica a cui ci sottopone per una esigenza registica abbastanza contorta. La recitazione quasi assente, le figure statuarie, credo solo per l'incapacità recitative ma soprattutto per una regia tirannica e visionaria incompatibile con la partecipazione e condivisine degli interpreti e il risultato è che appaiono forzati, bloccati: paradossalmente si parla di libertà, un vero ossimoro.
Giulian Bavila
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peergynt
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sabato 8 settembre 2018
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la rivoluzione della pastorella
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Ancora un bel film di Mario Martone, un film che coinvolge e non lascia indifferenti. Capri, paesaggio assolato dai colori vivissimi, dipinta dal film con l'azzurro intenso delle sue acque, è una vera metafora del mondo, quello scrigno che alberga da sempre esperienze contrastanti: la cultura tradizionale e ancestrale della famiglia della protagonista, la pastorella Lucia, da una parte; la comune di intellettuali europei pagani, naturisti, vegetariani che vedono nell'arte l'unico modo per rinnovare la società ed abbatterne lo strapotere politico-economico, dall'altra; infine la società progressista dell'epoca, rappresentata dal medico condotto del paese, che si porta dietro inevitabili conquiste culturali (la fede nella scienza, un umanesimo integrale che sa cogliere anche i valori della tolleranza e del rispetto del diverso) assieme a convinzioni ideologiche sincere ma storicamente errate (l'interventismo di una buona parte degli intellettuali del primo Novecento).
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Ancora un bel film di Mario Martone, un film che coinvolge e non lascia indifferenti. Capri, paesaggio assolato dai colori vivissimi, dipinta dal film con l'azzurro intenso delle sue acque, è una vera metafora del mondo, quello scrigno che alberga da sempre esperienze contrastanti: la cultura tradizionale e ancestrale della famiglia della protagonista, la pastorella Lucia, da una parte; la comune di intellettuali europei pagani, naturisti, vegetariani che vedono nell'arte l'unico modo per rinnovare la società ed abbatterne lo strapotere politico-economico, dall'altra; infine la società progressista dell'epoca, rappresentata dal medico condotto del paese, che si porta dietro inevitabili conquiste culturali (la fede nella scienza, un umanesimo integrale che sa cogliere anche i valori della tolleranza e del rispetto del diverso) assieme a convinzioni ideologiche sincere ma storicamente errate (l'interventismo di una buona parte degli intellettuali del primo Novecento). Martone mette in scena queste diverse anime del mondo, in opposizione dialettica fra individualismo e solidarietà, tenendo lo sguardo fisso sulla sua protagonista e sul suo progresso di crescita della propria autocoscienza, ma senza farne (ed è questo il pregio della sua scrittura filmica) una figura retorica, senza immergerla in un femminismo ante-litteram. Quella di Lucia è una fede nell'autorealizzazione culturale e sociale, una volontà di rinnovarsi, anche se è cosciente, come dice chiaramente Seybu, il pittore a capo della comune, che "il mondo vuole rinnovarsi, e nulla di nuovo viene senza la morte". Anche per Lucia il rinnovamento implica la morte: morte degli affetti (morte del padre, ripudio dei fratelli, abbandono della madre), morte della terra che l'ha generata (la partenza per l'America su una nave di emigranti). Ma, malgrado tutto, è verso il nuovo che deve andare: è questa la sua rivoluzione.
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carloalberto
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giovedì 3 settembre 2020
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cartoline da capri e tanta noia
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Noioso. Gli scorci di Capri e dei faraglioni non bastano a riscattare un film decisamente tedioso, che non si vede l’ora che finisca. La bravura dei giovani attori, Marianna Fontana, Antonio Folletto, Eduardo Scarpetta, Gianluca Di Gennaro, non è sufficiente per reggere due ore di dialoghi imbarazzanti. I personaggi, che parlano come libri stampati, sono stereotipati e senza spessore psicologico, sono pure semplificazioni emblematiche della Scienza, dell’Arte, delle Tradizioni, caratterizzati in modo estremo e quasi fumettistico.
Sembra un compitino ben fatto da uno scolaretto che si vuole mettere in mostra dopo aver studiato bene la lezione, che diligentemente riporta le tesi positiviste e le teorie socialiste di inizi novecento mettendole a confronto con l’idealismo new age ante litteram di un maestro santone con le fattezze del Gesù di Zeffirelli, alto biondo e con gli occhi azzurri, e l’arcaismo contadino dei caprari tradizionalisti e bigotti, ignoranti rozzi e violenti.
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Noioso. Gli scorci di Capri e dei faraglioni non bastano a riscattare un film decisamente tedioso, che non si vede l’ora che finisca. La bravura dei giovani attori, Marianna Fontana, Antonio Folletto, Eduardo Scarpetta, Gianluca Di Gennaro, non è sufficiente per reggere due ore di dialoghi imbarazzanti. I personaggi, che parlano come libri stampati, sono stereotipati e senza spessore psicologico, sono pure semplificazioni emblematiche della Scienza, dell’Arte, delle Tradizioni, caratterizzati in modo estremo e quasi fumettistico.
Sembra un compitino ben fatto da uno scolaretto che si vuole mettere in mostra dopo aver studiato bene la lezione, che diligentemente riporta le tesi positiviste e le teorie socialiste di inizi novecento mettendole a confronto con l’idealismo new age ante litteram di un maestro santone con le fattezze del Gesù di Zeffirelli, alto biondo e con gli occhi azzurri, e l’arcaismo contadino dei caprari tradizionalisti e bigotti, ignoranti rozzi e violenti.
Morale della favoletta esopica, adatta ad un pubblico delle elementari o tutt’al più delle medie: l’Arte non salverà il mondo ed infatti la guerra incombente del 15-18 scoppierà nonostante le danze esoteriche e la ricerca sui colori e sui suoni e le sonate al pianoforte, ma avrà avuto un senso se soltanto sarà servita ad emancipare una sola donna, liberandola dalla cultura atavica misogina ed opprimente del suo paesello.
I paesaggi da cartolina sullo sfondo distraggono un poco lo spettatore e lo tengono desto fino alla fine, ma resta comunque una fatica.
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carlosantoni
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venerdì 4 gennaio 2019
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c’era in tempo di guerra un gruppo di fricchettoni
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Non è un film di cui mi sia facile argomentare, perché è complesso, ambizioso, formalmente ineccepibile… e però distonante: lo si apprezza intellettualmente, ma scalda poco il cuore, e questo per un film non è certo un pregio. Parto dai punti negativi: prima di tutto il titolo, così incomprensibile: che bisogno c’era di unire il nome dell’isola di Capri al termine inglese Revolution, per definire una storia che qui si svolge agl’inizi del Novecento? Ma veniamo alla sostanza. Il film è prolisso, direi che se fosse durato una mezz’ora di meno ci avrebbe guadagnato in armonia descrittiva. In particolare perché si dilunga incomprensibilmente sulle scene di ballo e di esercizi estetici della comunità proto-hippy di cui il film tratta: bastava veramente molto meno e ne avremmo avuto in ogni caso abbastanza: sono scene estenuanti, nella loro inutile bellezza formale, che allude continuamente a Matisse e alla pittura simbolista francese e tedesca di fine Ottocento.
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Non è un film di cui mi sia facile argomentare, perché è complesso, ambizioso, formalmente ineccepibile… e però distonante: lo si apprezza intellettualmente, ma scalda poco il cuore, e questo per un film non è certo un pregio. Parto dai punti negativi: prima di tutto il titolo, così incomprensibile: che bisogno c’era di unire il nome dell’isola di Capri al termine inglese Revolution, per definire una storia che qui si svolge agl’inizi del Novecento? Ma veniamo alla sostanza. Il film è prolisso, direi che se fosse durato una mezz’ora di meno ci avrebbe guadagnato in armonia descrittiva. In particolare perché si dilunga incomprensibilmente sulle scene di ballo e di esercizi estetici della comunità proto-hippy di cui il film tratta: bastava veramente molto meno e ne avremmo avuto in ogni caso abbastanza: sono scene estenuanti, nella loro inutile bellezza formale, che allude continuamente a Matisse e alla pittura simbolista francese e tedesca di fine Ottocento. Ancora: la figura del “maestro” della comunità, il bellone così iconicamente vicino al Gesù di tante rappresentazioni, con barba e capelli da profeta e la palandrana da Venerabile Ciabatta del Deserto… ma anche simile a Shel dei Rokes degli anni ’60. Veramente troppo macchietta. Poi per la scommessa quanto meno ardita di girare il film quasi tutto “in lingua straniera”: quando napoletano strettissimo (vera lingua straniera per il 99% degl’italiani) con tanto di doverosi e faticosi sottotitoli, quando in inglese o in tedesco fluente, sempre coi sottotitoli: che senso ha, se non quello di uno snobismo intellettualoide francamente insopportabile? A’ Martone! Prenditi le tue responsabilità, e fai a meno dei sottotitoli, e ognuno poi si arrangia come può, oppure fai doppiare e noi ti ringraziamo. Punti di forza: i dialoghi, specialmente quelli tra i due protagonisti/antagonisti maschili, il maestro e il dottore, veri dialoghi platonici che entrambi i personaggi intendono diretti alla ricerca della verità, avvertita in maniera opposta.
Altro punto di forza, la descrizione della tripartizione ideale della cultura isolana caprese nell’anno 1914, che direi plateale metafora di quella nazionale odierna: una prima radice atavica e retriva difficile da estirpare, che però ha le sue ragioni storiche di esistere; una seconda radice, che si vorrebbe scientificamente orientata, razionalistica, materialistica, ma che alla prova dei fatti dimostra di soccombere sul punto essenziale: la guerra! La Prima Guerra Mondiale non viene boicottata e avversata come carneficina voluta dai vari imperialismi, come coerentemente e lucidamente faranno in Russia i Bolscevichi, ma invece irrazionalmente abbracciata con convinzione dal medico “razionalista”: come in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Colonie, Usa… faranno tanti patriottici nazionalisti, molti dei quali diverranno poi a loro volta fascisti, nazisti, imperialisti…); una terza, quella irrazionalistica-estetica impersonata dalla comunità proto-hippy, proto-figlia dei fiori, che in gran parte del film ruba la scena. E notevole mi pare la descrizione della dialettica e dell’intreccio che incorre tra le tre realtà concrete e ideali, anche se fin troppo intellettualistica, all’interno delle quali la protagonista femminile, Lucia, fa da cerniera e, direi da Aufhebung tra tesi e antitesi, in quanto tutte le prova e tutte in sé le sussume e le supera. Quasi superfluo dire che la scena finale del battello carico di emigranti richiama esplicitamente quanto sta avvenendo ancor oggi, ma in senso geograficamente e sociologicamente opposto: oggi non siamo tanto noi a emigrare verso un’altra patria, quanto semmai siamo una nuova patria per altri migranti che da noi arrivano. Preziosa la fotografia e anche la colonna sonora.
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vanessa zarastro
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venerdì 11 gennaio 2019
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living theater o dadaismo?
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Con questo film il regista Mario Martone chiude la trilogia sulla costruzione d’Italia realizzata dall’Unità (“Noi credevamo” del 2010), vista attraverso la vita di Giacomo Leopardi (“Il giovane favoloso” del 2014), fino all’avvento del Novecento (“Capri Revolution”). Siamo nel 1914, alla vigilia della Grande Guerra, e a Capri la popolazione vive di agricoltura e pastorizia. Sull’isola deve ancora arrivare l’elettricità e giungono solo echi di ciò che sta avvenendo nel resto del mondo. Le donne lavorano la terra, si sposano e fanno figli, cucinano, servono a tavola e non parlano in pubblico.
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Con questo film il regista Mario Martone chiude la trilogia sulla costruzione d’Italia realizzata dall’Unità (“Noi credevamo” del 2010), vista attraverso la vita di Giacomo Leopardi (“Il giovane favoloso” del 2014), fino all’avvento del Novecento (“Capri Revolution”). Siamo nel 1914, alla vigilia della Grande Guerra, e a Capri la popolazione vive di agricoltura e pastorizia. Sull’isola deve ancora arrivare l’elettricità e giungono solo echi di ciò che sta avvenendo nel resto del mondo. Le donne lavorano la terra, si sposano e fanno figli, cucinano, servono a tavola e non parlano in pubblico.
In una casa minuscola e arroccata vive la capraia Lucia (Marianna Fontana) con i due fratelli (Gianluca Di Gennaro e Eduardo Scarpetta), con la madre (Donatella Finocchiaro) e un padre molto malato, poiché aveva lavorato in fabbrica a Bagnoli dove si era rovinato i polmoni. Il giovane medico condotto (Antonio Folletto), da poco sbarcato finalmente sull’isola, non può che constatare la gravità del male del padre di Lucia. Lì vicino vive una comunità cosmopolita, basata sulla condivisione e sulla liberazione sessuale, e i suoi membri vengono da vari paesi europei (Germania, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Olanda), praticano il nudismo, suonano vari strumenti e danzano al mare, alla luna, alla Natura. Il gruppo è pacifista, crede nel contatto fisico spontaneo che crea calore e il passaggio di energia provoca varie cose, anche la levitazione. La comune è una sorta di setta naturista e vegetarianaante litteram, che si cura con l’omeopatia, e con la psicoterapia. Il guru del gruppo è Seybu (Reinout Scholten van Aschat), un artista, pittore e pianista, che protegge con amore i propri accoliti, anche da qualche membro provocatore che sarà prontamente allontanato, come nel caso di un fanatico pagan-nietzschiano. In effetti, agli inizi del Novecento il pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, tra il 1900 e il 1913, aveva realmente costituito a Capri una comunità immersa nella Natura, cui Martone fa esplicito riferimento. L’isola magica di montagna dolomitica nel Mediterraneo, all'inizio del Novecento aveva attratto vari gruppi utopistici con ideali di libertà, e oltre alla comune pacifista ha ospitato anche gli esuli russi che, invece, si preparavano alla rivoluzione.
Tre Weltanschauung sono quindi rappresentante in “Capri Revolution”: il conservatorismo di un’Italia contadina che considera le donne poco più che animali da riproduzione, una visione naturistica con matrice spiritualista indiana, e una visione materialista rivoluzionaria e atea – «confidiamo nella Madonna, dottò» dice la madre di Lucia, «confidiamo nella scienza» ribatte Carlo, il medico condotto.
La nostra ribelle eroina è affascinata dai membri di questa comunità, così diversa da ciò che lei conosce – «è vero che site nu diavolo?» chiede a Seybu - e si trova a spiarne i movimenti quando porta le capre a pascolare, ma anche di notte verso l’alba quando esce di nascosto di casa. Piano piano, Lucia sarà sempre più attratta da loro e, una volta morto il padre, va a stare con la comunità, non sopportando che i fratelli decidano della sua vita al suo posto.
Sarà così derisa dalla popolazione, sbeffeggiata dagli scugnizzi dell’isola e allontanata dai fratelli. Solo il giovane medico, forse un po’ invaghito di lei, continua a vederla e a preoccuparsi della sua salute, ma la sua filosofia razionale di vita entra in palese contrasto con quella trascendental-spirituale professata dalla comunità.
Scrive Roberto Manassero su cinematografo.it: «Si potrebbe perciò discutere sull’attualità del contro-pensiero proposto da Martone, sull’efficacia anche solo ideale del modello utopico indicato da Beuys e da altre esperienze artistiche degli anni ’60 (dal Living Theater alle esperienze di teatro laboratorio), oggi affascinanti da ripensare ma non si sa quanto adatte all’asimmetria sfuggente della contemporaneità».
Ottime musiche contemporaneo finto-primitive di Sascha Ring e Philipp Thimm (premiate all’ultima Mostra di Venezia), intense fotografie e splendida interpretazione di Marianna Fontana. I dialoghi sono di grande interesse, anche se si fatica un po’ a seguirli leggendo i sottotitoli. Magari al posto di Martone (co-sceneggiatore con Ippolita Di Majo) io avrei tagliato qualche scena della comunità e forse avrei fatto vedere un po’ più la vita della popolazione isolana. Un’unica domanda: come fa una capraia ventenne analfabeta, che non sa neanche cosa sia un’infermiera, a parlare in inglese piuttosto bene dopo così poco tempo, quando non conosce neanche l’italiano?
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nino pellino
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giovedì 3 gennaio 2019
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gli albori dell'emancipazione femminile
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Ancora una volta il bravo regista Mario Martone imprime in questa sua ultima opera cinematografica una considerevole lezione di storia che questa volta riguarda l'interessante tema dell'emancipazione femminile, di cui attraverso questo film, ne colloca verosimilmente gli allbori nel periodo immediatamente antecedente lo scoppio della prima guerra mondiale che naturalmente vide coinvolta anche l'Italia. La storia di questo film si svolge a Capri e la protagonista è la giovane Lucia, sommessamente consenziente e servizievole nei riguardi prima della figura paterna e, poi, successivamente alla morte di costui, al potere autoritario del propri fratelli. Lucia è pertanto un'umile pastorella dallo scarso grado di alfabetizzazione che dedica il suo tempo a mungere e a guidare un gruppo di capre appartenenti alla sua famiglia.
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Ancora una volta il bravo regista Mario Martone imprime in questa sua ultima opera cinematografica una considerevole lezione di storia che questa volta riguarda l'interessante tema dell'emancipazione femminile, di cui attraverso questo film, ne colloca verosimilmente gli allbori nel periodo immediatamente antecedente lo scoppio della prima guerra mondiale che naturalmente vide coinvolta anche l'Italia. La storia di questo film si svolge a Capri e la protagonista è la giovane Lucia, sommessamente consenziente e servizievole nei riguardi prima della figura paterna e, poi, successivamente alla morte di costui, al potere autoritario del propri fratelli. Lucia è pertanto un'umile pastorella dallo scarso grado di alfabetizzazione che dedica il suo tempo a mungere e a guidare un gruppo di capre appartenenti alla sua famiglia. Ma la ragazza, con il passare dle tempo, resta sempre più attratta da una comunità di naturalisti e di artisti che, provenienti dal Nord Europa, sono riiusciti ad insediarsi in una zona ben delimitata dell'isola. Ella si unirà alla comunità e grazie alla loro presenza, Lucia inizierà, un poco alla volta, a prendere coscienza della propria femminilità e a costruirsi una propria autonomia, discostandosi sempre di più dalle concezioni ataviche e molto provinciali della sua famiglia d'origine. Molto importante è poi la presenza di un giovane medico sull'isola che concettualmente si farà portavoce di un idealismo avente alla base il progresso scientifico e l'importanza della materia, in contrapposizione alle tesi spirtuali e naturalistiche avanzate dalla comunità ospitata sull'isola. La giovane Lucia assimilerà entrambi gli orientamenti di pensiero e alla fine prenderà una propria decisione, dimostrando in tal modo, il desiderio e l'obiettivo di porre le basi verso una sua assoluta e totale emancipazione. Alla fine, pertanto, da una parte la comunità dei nord europei concettualmente punta al cambiamento in nome della natura ma, intanto, sembra staticamente condurre un'esistenza quasi fine a se stessa e senza effettive prese di posizioni pratiche nel loro angolo circoscritto dell'isola; per un altro verso, contemporaneamente è scoppiata la guerra e molti abitanti del luogo, tra cui i fratelli di Lucia, sono costretti a partire per il fronte impermeando concettualmente l'ideologia che nella vita solo la legge della battaglia che determinerà la morte potrà portare a dei cambiamenti in nome della libertà e della giustizia. Ma in mezzo a tutto ciò, la giovane Lucia ha già preso la sua decisione ed è pronta pertanto al suo decisivo cambiamento. Film indubbiamente molto profondo nei suoi dettagliati significati e pertanto dal grande valore narrativo.
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[+] siamo nel 1914 ma i temi sono anche attuali.
(di no_data)
[ - ] siamo nel 1914 ma i temi sono anche attuali.
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mauridal
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lunedì 7 gennaio 2019
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le rivoluzioni mancate
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Capri -Revolution un film di Mario Martone 2018
( Le rivoluzioni mancate)
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Capri -Revolution un film di Mario Martone 2018
( Le rivoluzioni mancate)
Quando si affrontano i discorsi e le storie sulle rivoluzioni popolari e politiche del millennio, tutte ,da quella americana alla francese alla russa alla cinese allora inevitabilmente ci si pone una domanda , ma infine , queste Revolution sono riuscite a rivoluzionare oppure sono storie mancate o parzialmente riuscite. Il film di Martone ispira pessimismo, quello della ragione , ma anche del sentimento, insomma , un aspirante rivoluzionario giovane di poca esperienza dopo la visione del film ne uscirebbe distrutto. Al contrario un vecchio sovversivo , come Martone pure è stato , nel suo teatro e nei film precedenti ne esce deluso avvilito . Come mai le rivoluzioni finiscono , oppure perché quella rappresentata nel film inizia proprio male dove quasi niente ha senso e i personaggi predisposti al cambiamento sono inverosimili come probabilmente lo sono stati i veri personaggi degli anni ’13 e ‘14 che hanno occupato una parte della storia di Capri e dei suoi abitanti . in effetti i capresi sono passati indenni attraverso mille storie e mille personaggi che hanno scelto Capri come isola felice, o almeno lontana dalle miserie umane. Forse la rivoluzione è stata vera in passato, per artisti, filosofi politici, medici scienziati, e incredibilmente anche per il passaggio di personaggi come Lenin e i russi come pure i tedeschi nazisti di Goering Dunque come si racconta nel film , Capri e i capresi hanno visto di tutto e di più ma come dice Erri De Luca Capri è una conchiglia e come tale si sa difendere conservando una propria identità. Ecco , questo bel film di immagini e vedute naturali, sembra voler rappresentare , nel riuscitissimo personaggio di Lucia , la giovane pastorella caprese , una identità propria della cultura popolare anche se “ rivoluzionata “ da esperienze sociali o artistiche come nella storia raccontata . Tuttavia il possibile contributo , delle avanguardie artistiche, accennate nella vicenda di Lucia, da Herman Nitsch lo sventratore, a Beuys con la sua Capri -batterie fino ai seguaci pacifisti animalisti di Diefenbach non è riuscito a convincerci nella finale trasformazione di Lucia da pastorella caprese , a evoluta donna colta e poliglotta che abbandona l’isola conchiglia per un sogno Americano , dopo aver caldamente salutato il medico condotto , socialista scienziato e interventista nella Grande Guerra . In conclusione un coacervo di presenze e conflitti che hanno prodotto una mancata Rivoluzione sia sociale che culturale a Capri e dintorni. (Mauridal)
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fabiofeli
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martedì 22 gennaio 2019
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non rinunciare alla metà del cielo
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Lucia (Marianna Fontana), una pastorella analfabeta, spinge le capre al pascolo sulle rupi scoscese di un’isola; è l’alba e i suoi occhi stupiti colgono la visione di un gruppo di uomini e donne nudi sulle scogliere sottostanti in trepidante attesa del primo sole. La giovane vive con la famiglia, padre madre e due fratelli, a Capri, immersa in un mondo patriarcale e chiuso alle soglie del primo conflitto mondiale. Il padre di Lucia è gravemente infermo per una malattia contratta sul lavoro a Bagnoli. Il gruppo naturista è guidato dal pittore Seybu (Reinhout Scholten Van Aschat) ed è composto da artisti provenienti da vari paesi Europei, alla ricerca di espressioni artistiche nuove, come la danza, in sintonia con la natura in grado di fornire bellezza ed energia non solo ai corpi umani.
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Lucia (Marianna Fontana), una pastorella analfabeta, spinge le capre al pascolo sulle rupi scoscese di un’isola; è l’alba e i suoi occhi stupiti colgono la visione di un gruppo di uomini e donne nudi sulle scogliere sottostanti in trepidante attesa del primo sole. La giovane vive con la famiglia, padre madre e due fratelli, a Capri, immersa in un mondo patriarcale e chiuso alle soglie del primo conflitto mondiale. Il padre di Lucia è gravemente infermo per una malattia contratta sul lavoro a Bagnoli. Il gruppo naturista è guidato dal pittore Seybu (Reinhout Scholten Van Aschat) ed è composto da artisti provenienti da vari paesi Europei, alla ricerca di espressioni artistiche nuove, come la danza, in sintonia con la natura in grado di fornire bellezza ed energia non solo ai corpi umani. Lucia comincia a frequentare il gruppo e viene isolata dai compaesani. Allo scoppio della guerra i due fratelli di Lucia partono per il fronte, mentre il padre si aggrava e muore nonostante le cure del medico condotto, Carlo (Antonio Folletto), un giovane socialista che crede nella forza della scienza ed ha una visione materialistica della realtà; questi discute animatamente con Seybu, che ama la natura cercando in essa lo spiritualismo, nuove ritualità e forme espressive …
Forse il nome Capri deriva dalla parole latina cinghiale o indica il luogo abitato da capre, o, ancora, c’è una diversa origine. Martone sceglie questa isola al centro del Mediterraneo per ambientare il terzo film della trilogia, iniziata con Noi credevamo e proseguita con Il Giovane Favoloso. La comune anticipatrice di quelle hippy, infatti, è realmente esistita a Capri dall’inizio del secolo fino al 1913 ed era diretta dal pittore Diefenbach. In questo terzo film l’Italia giovane ed ancora non riunita fin sotto le Alpi si affaccia all’Europa (non ancora pensata, e tuttora in abbozzo imperfetto e non compiuto) e al Nuovo Mondo. Tutte le contraddizioni attuali sono presenti “in nuce” nella storia, e può sembrare che dopo un secolo di passi in avanti si è tornati indietro: il Bel Paese spezzato tra Nord e Sud e il Continente che sta chiudendosi nei confini di piccoli stati che guardano il loro egoistico immediato tornaconto. La sceneggiatura di Martone e di Ippolita Di Majo prefigura una possibile riscossa del paese (e del continente) dell’Arte, della Filosofia, della Musica e della Scienza ripercorrendo strade già battute ed altre ancora da esplorare completamente: tutto sembra compromesso e invecchiato, ma non è finito ancora il ruolo guida del Pensiero Umano. Basta soltanto guardare indietro ai propri errori, alla distruzione e al depredamento perpetrato dagli europei nel mondo, per capire che ora si deve dare e ricevere, che ci si deve mescolare e meticciare. La prima lezione da ricavare è che finora si è rinunciato alla metà del cielo, alla parità tra donna e uomo, gradino difficile da scalare, ma ineluttabile. Anche la scelta vegetariana indica una attenzione diversa al mondo animale ed alla natura, le cui risorse vanno rispettate e preservate per il futuro. Forse Lucia brucia le tappe di progressi troppo rapidi ed il quadro è troppo ottimistico; ma il suo carattere ostinato, caparbio come quello degli animali di cui si occupa, la porta a ragionare con la sua testa partendo con il piede giusto, mettendo a frutto quanto ha imparato, senza uniformarsi al pensiero di nessuno. Da non mancare.
Valutazione ***e 1/2
FabioFeli
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