loland10
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domenica 30 settembre 2018
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don, toby (con eolica)
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“L’uomo che uccise Don Chisciotte” (The Man Who Killed Don Quixote, 2018) è il tredicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore del Minnesota, Terry Gilliam.
La battaglia (e oltre) tra il personaggio di M. de Cervantes e il testardo, ostinato e surreale produttore di se stesso, ha emesso il verdetto di una pellicola che ha una connotazione scritturale a dir poco troppo lunga da raccontare. E il regista non smentisce la sua fama in un’opera assolutamente variegatamente carnevalesca nei toni, nell’epopea, nei luoghi e, soprattutto, nelle riprese, usuali, inusuali, vitali e sghembe.
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“L’uomo che uccise Don Chisciotte” (The Man Who Killed Don Quixote, 2018) è il tredicesimo lungometraggio del regista-sceneggiatore del Minnesota, Terry Gilliam.
La battaglia (e oltre) tra il personaggio di M. de Cervantes e il testardo, ostinato e surreale produttore di se stesso, ha emesso il verdetto di una pellicola che ha una connotazione scritturale a dir poco troppo lunga da raccontare. E il regista non smentisce la sua fama in un’opera assolutamente variegatamente carnevalesca nei toni, nell’epopea, nei luoghi e, soprattutto, nelle riprese, usuali, inusuali, vitali e sghembe.
Nonostante le super lungaggini produttive, le attese, le sceneggiature cambiate e rimescolate, le pre-produzioni nel corso di troppi anni, il film del regista statunitense...ora naturalizzato inglese esce allo scoperto per farsi piacere e guardare.
Pellicola di respiro ampio, di costosa iniziativa, di variegate prospettive, di mondi incrociati e di tempi narrativi a più livelli. Oggi, ieri, il passato, il presente, il futuro, il deserto, il pieno, il set, le figure dormiente, le controfigure, il romanzo, i guasti, il popolo di fantasia e i visi post modernizzati. Il Don Chisciotte preme per arrivare senza saperlo: ‘sono un calzolaio, un povero vecchio, uno sconosciuto’. Ecco che l’eroe della tavola rotonda attorno al set del cinema contemporaneo si siede per cercare e cercare l’avventura di de Cervantes contro i mulini a vento.
Un inizio, un solo minuto, comune e quasi atteso, Don Chisciotte e il fido Sancho Panza, poi cambia tutto, nel giro della ruota del mulino, del nemico inesistente si apre il volto di un set, uno stop, un ciak da reinventare, attori che attendono, un produttore inaspettato e un regista che non sa più che pesci prendere.
Tutto da reinventare e da rifare. Non va bene nulla, mentre le pale del mulino puntellano l’attore buffo e aerogeneratori eolici padroneggiano tutta la schiena collinare di un avamposto lontano per girare un film ancora da comprendere. Il vivo antico finto di un mulino e il para-moderno pulito di energia che si alleano, per finta, in un set ridondante del nulla e strapieno di cose ancora da fare. E’ il mondo ‘Grimm’ sparviero e sperduto abitato di ricordi e solo fantasmi.
Un film mescolante di fantasia allegorica, modernismo, chiacchiere, ritrovamenti, luoghi di set andati, ricordi, facce stralunate, fughe, aggrovigliamenti, sentori modernissimi e fatui luoghi, ora vivi e ora spenti, del romanzo dello spagnolo. Il cinema nel cinema, il dietro le quinte, la ricerca dei posti, il lontano andare di un’avventura da costruire, la ricerca delle facce giuste, la proiezione della pellicola dietro alla ripresa e davanti a Toby (Adam Driver) mentre M. de Cervantes e il suo eroe cavalcano per girare. Il set diventa, in sincronia pellicolare, ripresa difesa, ripresa di un ricordo e ripresa in sala per il set stesso e per lo spettatore. Un accavallarsi di tutto. Quasi un non senso come la filmografia del regista promette e mantiene. Chi sa se la sensazione di qualche lungaggine è voluta e qualche stop narrativo il tempo di troppe attese per girare il film hanno creato sensazioni strane allo stesso regista trasmesse nel film stesso. Appunto chi sa....
Arriva la lancia di Don Chisciotte (Jonathan Pryce), arriva un vecchio (scatenato), arriva un calzolaio, arriva un artigiano: tutto alter-ego di un cineasta che non si è preso mai sul serio (o meglio fa vedere ciò che il serio non addice alle contraddizioni in ogni immagine) e, meglio ancora, ci prende in giro di voga e dietro una ripresa. E il suo vecchio in armi spadroneggia per rompere tutte le ‘uova del paniere’ in un volto che ha seguito la sua carriera dai tempi di ‘Brazil’, 1985 (appunto l’attore del Galles J. Pryce).
Cast che si rincorre e da fuoco alle proprie energie mentre Toby rovista tutti, segue le trame e, parimenti, si mette in mezzo tra i narrati e i narranti, tra lo schermo e i set ora reali e ora di fantasia (tutto mentre le polveri e piccoli paesi si svegliano dal funereo mondo di un sogno tra Della Mancia e paramoderni odierni). E da lì diventa lo ‘scudiero’ dell’eroe tra destini antichi e produzioni (cine) di oggi.
Paesi coinvolti nella pellicola ben cinque (Regno Unito, Spagna, Francia, Portogallo e Belgio) e set tra Canarie, Portogallo e Spagna.
Regia multicolore e variegata, ora ferma e ora smossa, lineare e asimmetrica.
Voto: 7,5/10 (***½). (voto che racchiude un plauso al sui-generis-registico)
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fabio
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giovedì 4 ottobre 2018
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ipergilliam...
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Di fronte a questo film confesso il mio limite: una visione non basta.
Troppo complesso e variegato il "materiale" che il regista riversa sulla pellicola; ad una prima visione ho avuto l'impressione di un film sfilacciato che inanella una serie di scene, come tanti deliri, fino alla fine che non è una fine. L'attesa dello spettatore viene sistematicamente sconfessata.
Un po' di lungaggini e di forzature le ho sentite e del resto quanto sia difficile rileggere e trasporre in modo originale un classico come quello di Cervantes è la storia di tanti tentativi a dircelo. Sembra che ad uccidere Don Chisciotte siano proprio in tanti.
Si capisce che c'e tanta ironia e auto-ironia sul mondo del cinema e non solo.
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Di fronte a questo film confesso il mio limite: una visione non basta.
Troppo complesso e variegato il "materiale" che il regista riversa sulla pellicola; ad una prima visione ho avuto l'impressione di un film sfilacciato che inanella una serie di scene, come tanti deliri, fino alla fine che non è una fine. L'attesa dello spettatore viene sistematicamente sconfessata.
Un po' di lungaggini e di forzature le ho sentite e del resto quanto sia difficile rileggere e trasporre in modo originale un classico come quello di Cervantes è la storia di tanti tentativi a dircelo. Sembra che ad uccidere Don Chisciotte siano proprio in tanti.
Si capisce che c'e tanta ironia e auto-ironia sul mondo del cinema e non solo. Qualche risata scappa (bella quella su Trump), la musica è suggestiva e i paesaggi sono davvero belli. Ma forse è proprio così che deve essere: un film che puoi gustare anche a pezzi, che puoi smontare e rimontare come il "Don Chisciotte" originale.
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[+] film interessante che soffre del proprio delirio
(di antoniomontefalcone)
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tmpsvita
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lunedì 15 ottobre 2018
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un viaggio incerto che si perde in sé stesso
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Dopo 25 anni di produzione a dir poco travagliata, finalmente è uscita l'interpretazione in chiave comica e, come sempre, grottesca del mitico regista Terry Gilliam, ex componente dello storico gruppo Monty Python nonché regista del cult "Brazil" e altri grandi film, della celeberrima storia di Don Quixote.
La domanda che sorge spontanea, date la lunga attesa, la storia che lo ha reso cult già prima che uscisse e le numerose speculazioni che lo hanno accompagnato nel corso degli anni, è non solo se il film meritava di essere finito, e la risposta è sempre sì perché ogni film bello o brutto che possa essere merita di essere visto da un pubblico, ma se tutta questa difficile e complessa lavorazione ha influito negativamente sul profitto finito.
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Dopo 25 anni di produzione a dir poco travagliata, finalmente è uscita l'interpretazione in chiave comica e, come sempre, grottesca del mitico regista Terry Gilliam, ex componente dello storico gruppo Monty Python nonché regista del cult "Brazil" e altri grandi film, della celeberrima storia di Don Quixote.
La domanda che sorge spontanea, date la lunga attesa, la storia che lo ha reso cult già prima che uscisse e le numerose speculazioni che lo hanno accompagnato nel corso degli anni, è non solo se il film meritava di essere finito, e la risposta è sempre sì perché ogni film bello o brutto che possa essere merita di essere visto da un pubblico, ma se tutta questa difficile e complessa lavorazione ha influito negativamente sul profitto finito.
Purtroppo la risposta è anch'essa un sì.
Il film ha un inizio perfetto, che cattura subito l'attenzione dello spettatore catapultandolo immediatamente nella storia e abituandolo già dai primi minuti al timbro costantemente in bilico tra il comico e il grottesco con il quale praticamente ogni film di Gilliam viene da lui caratterizzato; purtroppo però più il tempo passa, più la storia prosegue e più che il film si perde in sé stesso in un nodo sempre più stretto ed irriparabile di strade imboccate e strade abbandonate in quanto al proseguimento della trama.
La difficoltosa produzione ha portato a degli enormi problemi nella scrittura e soprattutto nella narrazione all'interno dell'intera pellicola che appare confusa, confusionaria e indecisa su quale genere appartenere finendo per staccare da genere a genere in maniera fastidiosamente netta: drammatico poi comico poi parodistico, ma mai riuscendo né a far prediligere uno di questi genere né ad amalgamare i vari generi che sceglie di seguire.
Fa confusione anche con le varie sottotrame che vanno ad incatenarsi in maniera forzata e poco chiara finendo per far perdere nella confusione totale anche la trama principale che infatti finisce per risultare quasi assente, o meglio raccontata in maniera da farla sembrare tale, proprio perché imbocca troppe strade senza accorgersi di aver lasciato quella precedente senza averla prima conclusa o collegata.
Il film si conclude con un finale altrettanto confuso e assolutamente mal contestualizzato che lascia lo spettatore alla fine della visione con più domande che risposte, tanto dispiacere e un pizzico di frustrazione.
Un vero peccato perché la regia del punto di vista visivo riesce in diversi tratti a stupire con varie inquadrature e scene suggestive, tecnicamente impeccabili ed inventive, anche la fotografia, con i suoi splendidi colori e la sua luce ben calibrata, e la colonna sonora irriverente ci provano a rendere il tutto più piacevole ed in parte ci riescono, viste anche le ottime interpretazioni, ma la confusione la fa da padrone.
Voto: 5+/10
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flyanto
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martedì 2 ottobre 2018
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un regista tale e quale a don chisciotte
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Dopo alcuni anni ritorna nelle sale cinematografiche il regista Terry Gilliam con “L’Uomo che Uccise Don Chisciotte”, l’ultima e definitiva versione di un suo precedente lavoro risalente a circa 25 anni fa. Come si evince dal titolo l’opera si ispira in parte al poema di Cervantes per poi assumere una sua propria valenza
La vicenda, in alternanza continua tra l’epoca contemporanea e quella di circa 10 anni antecedente, ruota tutta intorno alla figura di un regista (Adam Driver), il quale, mentre è impegnato nelle riprese in Spagna di uno spot di una vodka finanziato da un magnate russo, si imbatte negli stessi luoghi ed in alcuni individui che, appunto, anni prima egli aveva scritturato per le riprese del suo film su Don Chisciotte.
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Dopo alcuni anni ritorna nelle sale cinematografiche il regista Terry Gilliam con “L’Uomo che Uccise Don Chisciotte”, l’ultima e definitiva versione di un suo precedente lavoro risalente a circa 25 anni fa. Come si evince dal titolo l’opera si ispira in parte al poema di Cervantes per poi assumere una sua propria valenza
La vicenda, in alternanza continua tra l’epoca contemporanea e quella di circa 10 anni antecedente, ruota tutta intorno alla figura di un regista (Adam Driver), il quale, mentre è impegnato nelle riprese in Spagna di uno spot di una vodka finanziato da un magnate russo, si imbatte negli stessi luoghi ed in alcuni individui che, appunto, anni prima egli aveva scritturato per le riprese del suo film su Don Chisciotte. Nel corso delle giornate l’uomo vivrà delle avventure straordinarie (come il Don Chisciotte letterario) ed al limite o meno del pericolo, prendendo parte ad una serie di eventi sempre più incalzanti da cui egli non potrà sottrarsi e nel cui coinvolgimento non potrà fare ameno di raffrontare il proprio presente con il passato e la realtà con la finzione del poema di Cervantes. E così di continuo sino alla fine….
Riassumere in maniera più precisa e succinta la trama di quest’ultimo film di Gilliam risulta un’impresa difficile ed un poco svilente l’opera stessa, intrisa, come, del resto, tutte le pellicole di questo autore, di simbolismi e contenuti e rischiando, inoltre, di togliere allo spettatore lo stupore e l’atmosfera quasi magica. Visionario come i precedenti films, anche “L’Uomo che Uccise Don Chisciotte”, è una sorta di metafora sulla vita in generale od anche, in senso più ristretto, sul mondo del cinema stesso in cui l’uomo, come un Don Chisciotte, si trova a dover combattere svariate lotte contro innumerevoli nemici e detrattori, fare fronte a molteplici pericoli ed inseguendo l’amore sincero, fugace od ingannatore sino all’epilogo di tutto. La pellicola risulta dignitosa dal punto di vista registico e conferma la professionalità di Terry Gilliam, ma l’originalità in quest’ultima occasione non è così preponderante come in molte sue opere precedenti ed il film appare un poco ‘forzato’ e quasi un ‘già visto’. Peccato, sebbene nel suo complesso la pellicola risulti piacevole.
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mauridal
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mercoledì 3 ottobre 2018
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magico,fantastico,imprevedibile, comico ....
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magico fantastico, imprevedibile comico e malinconico
tutto questo scriverebbe il nostro commento critico, ,se non fosse che il film "l'uomo che uccise Don Chisciotte" rappresenta uno strabiliante miscuglio di tutte queste definizioni e molto altro ancora. Quando si prova a descrivere il senso di questo film ,allora ci si trova innanzi ad un bivio.Da un lato ci troviamo affianco al regista Terry Gilliam poliedrico artista dalle mille risorse capace di far durare un film 25 anni tra inizi, interruzioni annullamenti, fallimenti finanziari scontri, rinunce di attori , malattie e persino lutti, insomma una odissea più che una epopea cavalleresca spagnoleggiante e barocca.
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magico fantastico, imprevedibile comico e malinconico
tutto questo scriverebbe il nostro commento critico, ,se non fosse che il film "l'uomo che uccise Don Chisciotte" rappresenta uno strabiliante miscuglio di tutte queste definizioni e molto altro ancora. Quando si prova a descrivere il senso di questo film ,allora ci si trova innanzi ad un bivio.Da un lato ci troviamo affianco al regista Terry Gilliam poliedrico artista dalle mille risorse capace di far durare un film 25 anni tra inizi, interruzioni annullamenti, fallimenti finanziari scontri, rinunce di attori , malattie e persino lutti, insomma una odissea più che una epopea cavalleresca spagnoleggiante e barocca. Dall'altro lato del bivio finiamo spettatori ignari in un turbine immaginifico dove la finzione del cinema insegue una storia credibile quasi realistica dove la fantasia dell'autore si compenetra nella fantasia folle del protagonista, Quijote della Mancha Ma un film su Don Chisciotte deve essere eroico , e il buon regista riesce a compiere una opera che forse neanche Cervantes immaginava. Dunque non ci provo a confrontare Cervantes con Gilliam, e neanche i due Hidalgo, ognuno ha il proprio mondo da vivere e tutti noi spettatori, abbiamo il diritto di rivivere le loro fantasie e magie. Altrimenti lasciamo pure la sala cinema e immergiamoci nella lettura, dei classici. Ma questo non Ë avvenuto, il cinema ha vinto con questo film l'Hidalgo Gilliam ha portato il suo Don Chisciotte a vincere la sua realtà popolata da personaggi incredibilmente veri ma in fondo tutti personaggi di un film , che di vero e di credibile non ha nulla. Le tante donne angeliche e dulcinee diventano megere ed escort al servizio di danarosi padroni della fiction cinema più che fanciulle da amare in sogni cavallereschi Dunque il nostro Chisciotte non è un eroe cavalleresco ma una semplice comparsa di un film che un giovane regista cercava di girare in un paesaggio spagnolo tra i più desolati e che non porta a termine, e però il vecchio scelto per la parte del cavaliere errante un ciabattino di paese, quando il giovane regista ritorna a girare il film per ultimare le riprese e incassare i soldi del produttore, lo riprende ma lo ritrova che pensa follemente di essere e di vivere realmente Don Chisciotte ,e il film pur di finire gli dà ragione ,cosÏ come la si dà ai matti , ovvero assecondandoli. Ma tutti gli altri personaggi, sono altrettanto folli nel partecipare ad un film il cui regista fa la parte dello scudiero Sancho pur di assecondare la follia del vecchio Don Chisciotte , a cui alla fine si affeziona. Intanto anche il film dell'Hidalgo Gilliam deve continuare e avviarsi all’ END con invenzioni e fantasie strabilianti, e ci riesce col raccontare le avventure del cavaliere e anche dello scudiero che come regista si chiama Toby ,ma nella finzione del film di Chisciotte è Sancho. In conclusione possiamo essere sicuri di assistere ad un film che non ha conclusione poiché la morte di Don Chisciotte non è un assassinio ma neanche una morte defunta, il vecchio Hidalgo dopo le esortazioni del suo fedele regista scudiero non cederà ad una rovinosa caduta e si consegnerà alla storia eterna della narrazione , della finzione di cavalieri ,di armi e amori ma anche di follie cinematografiche come il buon Terry Gilliam ha dimostrato portando a termine questo film (mauridal)
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zapata
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domenica 25 novembre 2018
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zeitgeist
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quando si perde lo spirito del tempo e si fa un film gia vecchio, e meglio smetterla. L opera di gilliam e un,operetta, purtroppo. E una storia invecchiata ancora prima di debuttare con rimandi a temi scoloriti come il metateatro, la storia circolare, etc. La sceneggiatura e caotica, banale, fatta di personaggi scontati e con una morale di redenzione patetica. Don chisciotte non e un titolo qualunque, e uno dei TITOLI. di opere letterarie come queste ce ne sono ben poche al mondo. Don chisciotte non e solo l opera simbolo e bandiera di una nazione, la spagna, ma un,opera emblematica che ha cambiato la storia della letteratura europea. L sceneggiatura affronta con superficialita i temi don chisciotteschi perdendo sin da subito il bandolo della matassa che, cervantes, ha svolto con arguzia e mirabile artifico.
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quando si perde lo spirito del tempo e si fa un film gia vecchio, e meglio smetterla. L opera di gilliam e un,operetta, purtroppo. E una storia invecchiata ancora prima di debuttare con rimandi a temi scoloriti come il metateatro, la storia circolare, etc. La sceneggiatura e caotica, banale, fatta di personaggi scontati e con una morale di redenzione patetica. Don chisciotte non e un titolo qualunque, e uno dei TITOLI. di opere letterarie come queste ce ne sono ben poche al mondo. Don chisciotte non e solo l opera simbolo e bandiera di una nazione, la spagna, ma un,opera emblematica che ha cambiato la storia della letteratura europea. L sceneggiatura affronta con superficialita i temi don chisciotteschi perdendo sin da subito il bandolo della matassa che, cervantes, ha svolto con arguzia e mirabile artifico. Non e facile entrare nel mondo di don chisciotte senza perdere la bussola. Ci hanno provato in tanti e tutti hanno fallito, anche guilliam. Aspettiamo il prossimo eroe! Intanto guilliam, dopo aver perso questa ultima grande sfida, forse capira che il suo tempo e finito che lo spirito del tempo gli e sfuggito di mano...e tempo di andare in pensione.
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elgatoloco
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venerdì 28 giugno 2019
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gtrande film su don quixote
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"The Man Who Killed Don Quixote"(Terry Gilliam, 2018)è un ennesimo, ma grande tentativo di riflettere sulla figura dell'eroe eponimo che riflette maggiormente la mentalità di molti umani riflettenti, ossia Don Quijote(preferisco questa grafia originaria)de la Mancha di Miguel de Cervantes Saavedra-"el ingenioso Hidalgo"cervantesiano nel film di Gilliam rivive sempre e si ri.incarna anche in chi sembrava"troppo furbo"per cascare nella trappola dell'eroe"romantico". Attraverso il playing the play (filln nel film, anzi proprio regista e attori/attrici che girano un film sul personaggio immortale), anzi anche attraverso la citazione di un film che il regista aveva realizzato quando era studente di cinematrografia, il mito si perpetura, divenendo vera mitopoiesi.
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"The Man Who Killed Don Quixote"(Terry Gilliam, 2018)è un ennesimo, ma grande tentativo di riflettere sulla figura dell'eroe eponimo che riflette maggiormente la mentalità di molti umani riflettenti, ossia Don Quijote(preferisco questa grafia originaria)de la Mancha di Miguel de Cervantes Saavedra-"el ingenioso Hidalgo"cervantesiano nel film di Gilliam rivive sempre e si ri.incarna anche in chi sembrava"troppo furbo"per cascare nella trappola dell'eroe"romantico". Attraverso il playing the play (filln nel film, anzi proprio regista e attori/attrici che girano un film sul personaggio immortale), anzi anche attraverso la citazione di un film che il regista aveva realizzato quando era studente di cinematrografia, il mito si perpetura, divenendo vera mitopoiesi. Straordinario il lavoro di ricostruzione scenografica e archittettonico-urbanistica dell'ambiente delll'Estremadura dell'inzio del 1600, con opportuna tendenza barocca, decisamente nelle corde del grande Gilliam, di cui chi scrive aveva già appprezzato "The Life od Brian"(1979)e "MOnthy Python's Life of Brian"(1983(quando, da"blasfemo intelligente"era nel terribile trio.... e poi quanto aveva realizzato successivamente-e ai tempi dei due film citati era solo attore e sceneggiaotre... Insiemea quanto rimane(poco, invero)del film incompiuto "Don Quixote"del grande Orson Welles è l'opera filmica più importante su questo straordinario eroe-antieroe-simbolo assoluto che è appunto il personaggio di Cervantes. apprezzato da chi ama l'escapismo fantastico ma anche da chi ama il realismo"classico"(Goethe, Marx ed Engels), per limitarsi agli esempi più classici e in qualche modo conosciuti-"tradizionali". Da esaminare a lungo anche nei dettagli, per ribadire quel"Don Qijote forever"che percorre, senza tregua, tutto il film segnando realmente la perennitù di un mito concreto, ossia nato insieme all'uomo El Gato
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great steven
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lunedì 11 ottobre 2021
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imprese di un cavaliere vagabondo ai nostri tempi.
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L'UOMO CHE UCCISE DON CHISCIOTTE (UK/SP/FR/PORT/BELG, 2018) diretto da TERRY GILLIAM. Interpretato da ADAM DRIVER, JONATHAN PRYCE, JOANA RIBEIRO, STELLAN SKARSGARD, OLGA KURYLENKO, JASON WATKINS, ÒSCAR JAENADA, JORDI MOLLá ● toby, svogliatissimo regista di spot pubblicitari, si trova in Spagna per girarne uno finanziato da un magnate russo della birra, col quale fa da tramite il sospettoso datore di lavoro di Toby. Dieci anni prima, quest’ultimo aveva girato proprio in quelle zone il film della sua laurea, un cortometraggio su Don Chisciotte per il quale scese un vecchio calzolaio per il ruolo da protagonista, lasciando una profonda impronta anche psicologica negli abitanti dello sperduto villaggio dove il ciabattino abitava.
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L'UOMO CHE UCCISE DON CHISCIOTTE (UK/SP/FR/PORT/BELG, 2018) diretto da TERRY GILLIAM. Interpretato da ADAM DRIVER, JONATHAN PRYCE, JOANA RIBEIRO, STELLAN SKARSGARD, OLGA KURYLENKO, JASON WATKINS, ÒSCAR JAENADA, JORDI MOLLá ● toby, svogliatissimo regista di spot pubblicitari, si trova in Spagna per girarne uno finanziato da un magnate russo della birra, col quale fa da tramite il sospettoso datore di lavoro di Toby. Dieci anni prima, quest’ultimo aveva girato proprio in quelle zone il film della sua laurea, un cortometraggio su Don Chisciotte per il quale scese un vecchio calzolaio per il ruolo da protagonista, lasciando una profonda impronta anche psicologica negli abitanti dello sperduto villaggio dove il ciabattino abitava. A causa di alcune rocambolesche vicende che lo vedono coinvolto con la moglie del suo capo, Toby si ritrova ben presto tagliato fuori dalla produzione dello spot e disperso per le assolate e desertiche campagne spagnole… e qui ritrova il calzolaio da lui scelto per il suo film giovanile, ora completamente impazzito perché convinto di essere il vero Don Chisciotte. La convivenza col delirante "cavaliere" settuagenario, al quale Toby è costretto a fare da scudiero (il vecchio, inutile dirlo, lo identifica come Sancho Panza), è oltremodo faticosa, ma se non altro il frequente contatto con le forze dell’ordine locali e soprattutto l’incontro con Angelica – cameriera del posto che lavorò come comparsa nel film di cui sopra e sognò a lungo una brillante carriera cinematografica sperando nell’aiuto di Toby – aiutano il povero regista a tirare avanti alla meno peggio. Passato qualche giorno fra sberleffi e ribalderie, Toby e l’ex ciabattino vengono invitati a una festa in costume in pompa magna nel gigantesco castello dell’oligarca russo: l’invito si rivela infine un pretesto per umiliare pesantemente l’anziano uomo. Toby non la prende bene, ma neanche il suo tempestivo intervento riuscirà a rinsavire Javier (questo il nome autentico dell’ex calzolaio), né tantomeno a punire i suoi detrattori.
Uno dei più estremi esempi di development hell nella storia cinema è questo magnifico, scanzonato, visionario, caleidoscopico giocattolone che porta la firma di T. Gilliam: la pre-produzione prese avvio la prima volta addirittura nel 1998, e allora c’era Jean Rochefort nel ruolo del personaggio di Cervantes e Johnny Depp nei panni dello sventurato regista. Gilliam ebbe a che fare con una marea infinita di problemi finanziari, contrattempi e distruzioni di set, senza contare un’alluvione che si aggiunse anch’essa a complicare il già caotico quadro. Il materiale girato fu poi riutilizzato per girare Lost in La Mancha (2002), che racconta la vicenda travagliata di questo primo progetto. In seguito, Gilliam perse i diritti della sceneggiatura, recuperandoli soltanto nel 2006. Ma questa volta ci si misero di mezzo le indisposizioni degli attori: infatti, prima di arrivare a J. Pryce come Don Chisciotte, rinunciarono al ruolo Robert Duvall, Michael Palin e John Hurt, mentre per il personaggio di Toby si succedettero Ewan McGregor e Jack O’Connell, prima di confermare Driver.
Difficoltà di realizzazione a parte, la pellicola centra il bersaglio per quanto concerne la scelta azzeccata (e per nulla scontata, malgrado le apparenze) di un paesaggio funzionale ai vari ambienti della storia, la direzione degli attori (Pryce è di una spanna abbondante sopra a Driver, efficace ma troppo cupo per una recitazione a briglia sciolta), la saggia combinazione dei contributi tecnici, l’utilizzo delle luci che segue un percorso capace di abbinarsi perfettamente al clima delle varie sequenze. Qualche indugio grottesco in eccesso nella sceneggiatura, che pecca e qua là di vuoti riempiti non benissimo dalla perizia degli attori, di tanto in tanto obbligati a recitare sopra le righe senza un motivo plausibile. Si può interpretare questa rivisitazione (o meglio, reinvenzione) del capolavoro cervantesco come la morte di un tipo di cinema ormai da tempo restaurato e dunque non più in grado di esistere. Soprattutto dalla prospettiva visiva, considerando che il cinema di Gilliam ha sempre vissuto di carne e cartapesta, entrambi elementi estremamente percepibili nella loro matericità, adesso agonizzanti in un contesto dove a dominare è il digitale sfrenato. Il regista britannico rinnova, se mai ce ne fosse ancora bisogno, il suo gioioso e incosciente Carnevale, dimentico di ogni valore estetico, proteso alla missione di non concludere mai lo spettacolo per il piacere immenso del pubblico. Qui il messaggio lo si intende solo se si capovolge la situazione: il film non parte mai davvero, appare sempre imballato e inceppato, soffre di scene iniziate e mai compiute. Ogni volta che Toby sta per acquietarsi con la realtà circostante, è convinto di essere tornato nel passato, quando compare una contraddizione il cui unico obiettivo è quello di sbugiardarlo. Parliamo di una messa funebre definitiva, dunque? No. Notiamo che l’improvvisato Sancho Panza di Toby ha più un physique du rôle da cavaliere errante, il che gli consente di assumerne la responsabilità quando ogni rivalsa sembra perduta. Rinunce e disillusioni dei suoi caratteri non bastano però a piombare Gilliam nella disperazione: il suo cinema ha ancora tante carte da giocare. Aspetteremo quale altri fantastiche avventure ci terrà in serbo il suo imperturbabile sguardo immaginifico.
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taty23
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giovedì 27 settembre 2018
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dopo 25 anni torna terry gilliam
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“L’uomo che uccise Don Chisciotte”, presentato a Cannes, è il nuovo film di Terry Gilliam, una produzione complessa fatta di rallentamenti, sostituzione di attori, problematiche sulla sceneggiatura e sul set che lo ha portato sui nostri schermi solo ora, ma la sua idea risale a 25 anni fa, per conoscere tutti i retroscena consiglio il documentario “Lost in La Mancha” uscito nel 2002.
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“L’uomo che uccise Don Chisciotte”, presentato a Cannes, è il nuovo film di Terry Gilliam, una produzione complessa fatta di rallentamenti, sostituzione di attori, problematiche sulla sceneggiatura e sul set che lo ha portato sui nostri schermi solo ora, ma la sua idea risale a 25 anni fa, per conoscere tutti i retroscena consiglio il documentario “Lost in La Mancha” uscito nel 2002.
Ispirato alla figura del cavaliere errante di Cervantes la pellicola parla di Toby (Adam Driver) regista pubblicitario egocentrico, insensibile e arrogante giunto in Spagna per completare uno spot commerciale, il suo più grande successo è stato un adattamento della storia di Don Chisciotte, in un caratteristico villaggio spagnolo, quando era ancora uno studente di cinema.
Una sera un misterioso gitano gli dà la copia del suo vecchio film e Toby preso dalla nostalgia parte per cercare il piccolo paesino dove aveva girato la pellicola, scoprirà che le conseguenze di quella produzione hanno avuto un effetto distruttivo sulle persone del villaggio che aveva preso come cast e che il ciabattino Javier (Jonathan Pryce) che interpretava Don Chisciotte si crede effettivamente “il cavaliere dalla triste figura”.
Dopo una serie di equivoci con la polizia locale Toby viene salvato dal vecchio sognatore e scambiato per il suo scudiero Sancho, verrà trascinato per la campagna della zona alla ricerca di Dulcinea, il grande amore di Don Chisciotte.
Toby dovrà affrontare i demoni del suo passato in questo viaggio dove realtà e fantasia si confondono.
La scelta finale del cast risulta interessante, ad interpretare il personaggio di Toby troviamo un versatilissimo Adam Driver che riesce a gestire questo ruolo in maniera convincente senza mai cadere in un’interpretazione troppo ostentata o da macchietta, un ottimo Jonathan Pryce fa da contraltare nel rappresentare l’idealistico Don Chisciotte, essenziale e sincero nella sua follia in una realtà non troppo diversa dalle sue fantasie.
Da citare inoltre Stellan Skarsgard che interpreta il capo di Toby, un personaggio ambiguo, pericoloso e possessivo e la dolce Angelica, un personaggio multi sfaccettato con un sviluppo inaspettato, interpretato dalla spagnola Joana Ribeiro.
Sicuramente un Gilliam che torna alle origini e per la maggior parte del tempo allo stato puro della sua cifra stilistica, lo si nota da alcune scelte narrative, visive e di costume dove attraverso una storia seppur classicheggiante ci catapulta in questo fantasioso mondo parallelo strizzando l’occhio a due sue produzioni precedenti “Le avventure del barone di Munchausen” e “Parnassus: L’uomo che voleva ingannare il diavolo.”
Un film multistrato con più chiavi di lettura che si conclude con un finale a sorpresa che non mi ha convinto del tutto, ma che rappresenta il concetto che il regista voleva portare sullo schermo.
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vincenzoambriola
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sabato 29 settembre 2018
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un ossimoro imprevedibile
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I sogni non hanno una trama, così come la pazzia umana. Un film senza trama è quindi un sogno o una pazzia, un ossimoro imprevedibile. Terry Gilliam certamente sognava quando ha ideato il suo Don Quijote, cavaliere senza macchia che combatte le ingiustizie, errando senza sosta con al suo fianco il fido sparviero, oops, scudiero Sancho Panza. Abbiamo visto film sul cinema, uno schema autoreferenziale molto amato e praticato. Ma qui il cortocircuito scatta e si ritorna nel film perdendo di vista la finzione. Meravigliose le riprese di una Spagna arida, misteriosa, dura e mistica. Meravigliose le scene oniriche, senza trama, appunto, piene di folli citazioni felliniane. Un capolavoro che spicca per la sua unicità, sfuggendo ad ogni tentativo di classificazione.
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I sogni non hanno una trama, così come la pazzia umana. Un film senza trama è quindi un sogno o una pazzia, un ossimoro imprevedibile. Terry Gilliam certamente sognava quando ha ideato il suo Don Quijote, cavaliere senza macchia che combatte le ingiustizie, errando senza sosta con al suo fianco il fido sparviero, oops, scudiero Sancho Panza. Abbiamo visto film sul cinema, uno schema autoreferenziale molto amato e praticato. Ma qui il cortocircuito scatta e si ritorna nel film perdendo di vista la finzione. Meravigliose le riprese di una Spagna arida, misteriosa, dura e mistica. Meravigliose le scene oniriche, senza trama, appunto, piene di folli citazioni felliniane. Un capolavoro che spicca per la sua unicità, sfuggendo ad ogni tentativo di classificazione. Una pazzia, insomma.
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