writer58
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lunedì 26 dicembre 2016
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ohio blue tip
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Non so se avete presente quelle stampe giapponesi, dai colori tenui, i segni evanescenti, che contengono silhuette snelle di barche, vulcani incappucciati di neve, peschi rosa pallido, fiori bianchi e violacei, nuvole soffici e stratificate. Un universo dove la ripetizione di un canone preciso si accoppia con minime variazioni di luogo, di composizione, di gradazioni cromatiche. Un mondo dalla poetica quasi impalpabile eppure ben riconoscibile, uno spazio zen leggero e iridescente.
Questa è l'impressione che mi ha provocato la visione di "Paterson", ultimo lavoro di Jim Jarmusch. Non si tratta, come qualcuno ha scritto, di una "poetica del quotidiano", ma di uno sguardo che ci mostra la "quotidianità della poesia", i legami di senso che, connettendo eventi concreti, conferiscono spessore e bellezza allo scorrere degli eventi.
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Non so se avete presente quelle stampe giapponesi, dai colori tenui, i segni evanescenti, che contengono silhuette snelle di barche, vulcani incappucciati di neve, peschi rosa pallido, fiori bianchi e violacei, nuvole soffici e stratificate. Un universo dove la ripetizione di un canone preciso si accoppia con minime variazioni di luogo, di composizione, di gradazioni cromatiche. Un mondo dalla poetica quasi impalpabile eppure ben riconoscibile, uno spazio zen leggero e iridescente.
Questa è l'impressione che mi ha provocato la visione di "Paterson", ultimo lavoro di Jim Jarmusch. Non si tratta, come qualcuno ha scritto, di una "poetica del quotidiano", ma di uno sguardo che ci mostra la "quotidianità della poesia", i legami di senso che, connettendo eventi concreti, conferiscono spessore e bellezza allo scorrere degli eventi.
Paterson è un giovane uomo che guida un autobus nell'omonima città del New Jersey. La sua vita è scandita da uno routine precisa: sveglia alle 6 e 10, un bacio alla moglie (interpretata dalla magnifica Farahani), una rapida colazione e poi via verso il deposito degli autobus dove guida la linea "23". Otto ore di lavoro su e giù per la cittadina, rientro nel tardo pomeriggio nella sua casetta unifamigliare, una cena e un'uscita serale con il cane per una passeggiata e una birra al bar. Vi sono, tuttavia, alcuni elementi che colorano, per così dire, questa routine precisa e sempre identica a se stessa: il rapporto tra Paterson e la moglie, un rapporto fatto di amore, tenerezza, reciproco sostegno e leggerezza; la capacità del protagonista di ascoltare e mettersi in sintonia con gli altri. Soprattutto, l'amore per la poesia, poesie che compone su un piccolo taccuino segreto, prima o dopo ill lavoro, parole che mettono insieme fatti minimali creando piccoli folgorazioni.
Tutto il film è costruito come le poesie del protagonista: parte dalla celebrazione di una marca di fiammiferi (gli Ohio Blue Tip) per approdare all'amore, a una sigaretta accesa per la prima volta per la donna amata.
I paesaggi di Paterson (patria del celebre poeta William Carlos Williams), visti dal finestrino dell'autobus, i dialoghi tra i passeggeri (esilarante quello tra due uomini che fingono di sapere cosa vogliono le donne, mentre in realtà sono impegnati a proteggere i propri timori), le chiacchiere con il barista e gli avventori del pub, gli incontri casuali con altri poeti, tutti questi elementi del "concreto quotidiano" vengono rivisitati con gli attrezzi e gli utensili della poesia,assumono una tessitura che li fa emergere dalla ripetizione coatta, dalle consuetudini mortifere e stantie fino ad illuminarli con i colori delicati della sensibilità e della luce nascente.
Un film insolito, simile a un moto di gioia provato nel vedere un paesaggio amato o il caffè che sprizza da una caffettiera in una mattinata festiva.
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antonio montefalcone
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giovedì 29 dicembre 2016
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viaggio in una vita che si fa poesia, e viceversa
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Paterson è il titolo del poema epico di William Carlos Williams, grande poeta americano. Ma è anche il nome di una piccola città del New Jersey e il nome del protagonista di questo film, a sua volta fan del libro di poesie di Williams e lui stesso poeta. Le coincidenze e i rimandi non sono un caso nell’ultima pellicola di Jim Jarmush. Pellicola che, pur nello stile minimalista e ironico a cui ci ha abituato il regista, sembra stavolta pura astrazione visiva, perfetta fusione tra “forma” e “sostanza” cinematografica e al tempo stesso come un quadro affascinante e interessante sull’esistenza dell’uomo, non soltanto del protagonista: un ritratto agrodolce, come in bianco e nero (i colori preferiti dalla moglie di Peterson) ma anche molto concreto di una quotidianità ordinaria e immobile, immersa in uno stato di eterna sospensione o circolarità (come i cerchi che sua moglie dipinge) che cerca sfumature e significati persino dove non dovrebbero esserci.
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Paterson è il titolo del poema epico di William Carlos Williams, grande poeta americano. Ma è anche il nome di una piccola città del New Jersey e il nome del protagonista di questo film, a sua volta fan del libro di poesie di Williams e lui stesso poeta. Le coincidenze e i rimandi non sono un caso nell’ultima pellicola di Jim Jarmush. Pellicola che, pur nello stile minimalista e ironico a cui ci ha abituato il regista, sembra stavolta pura astrazione visiva, perfetta fusione tra “forma” e “sostanza” cinematografica e al tempo stesso come un quadro affascinante e interessante sull’esistenza dell’uomo, non soltanto del protagonista: un ritratto agrodolce, come in bianco e nero (i colori preferiti dalla moglie di Peterson) ma anche molto concreto di una quotidianità ordinaria e immobile, immersa in uno stato di eterna sospensione o circolarità (come i cerchi che sua moglie dipinge) che cerca sfumature e significati persino dove non dovrebbero esserci. Queste sfumature fanno la differenza e sono dettate però dal ruolo che assumerà la poesia. Peterson, interpretato da Adam Driver (Driver, altra coincidenza, vuol dire guidatore) fa l'autista di autobus; è un individuo sereno, tranquillo, umile, innamorato della moglie Laura, ed è immerso in una quotidianità fatta di armonia e cose semplici, di rituali e prevedibilità, scandite da malinconica bellezza ma anche da profonda tristezza. Tra meraviglia e afflizione, a trovare la rima interna tra le cose, a far uscire un senso da esse, sarà proprio la poesia. Per il protagonista essa è tutto, molto più che passione o inclinazione personale, è ispirazione, è spinta vitale, è luce e forza. E’ questo suo talento a regalargli uno sguardo acuto e sensibile sul mondo, a trasfigurare la ripetitiva e catatonica realtà in cui vive in qualcosa di idilliaco, dolce e accettabile. E’ l’unico modo per gustare un’esistenza altrimenti indigeribile. Il regista declina in versi lo scorrere del tempo, delle sensazioni e delle emozioni, dei sentimenti e delle riflessioni, fissati in un bacio, in un’azione, in un sorriso, in uno stato d’animo, in uno sguardo. Tutto e tutti passano per una messinscena contemplativa attenta ai dettagli, gli stessi (visivi, uditivi, sensoriali) del protagonista pronto a scrivere parole su fogli bianchi, pronto ad accettare persino la rottura della routine quotidiana nelle inaspettate variazioni destabilizzanti, viste però come un disordine necessario per maturare. In lui c’è un senso di sospensione: quella di quando ci si appresta a dialogare con la complessità sfuggente della realtà. E’ la magia del film, il suo farsi poesia, trattando questa come soggetto e oggetto. L’opera non solo si basa su una materia difficile come la poesia, ma soprattutto trasmette lirismo; c’è materia poetica sia nella sceneggiatura, sia nella forma filmica che continuamente richiama, rimanda ed evoca quest’ultima sfruttandone i propri elementi linguistici, come ad esempio le figure retoriche (anafore, ripetizioni, metafore, allegorie, ecc.), le potenzialità tematiche, le punteggiature artistiche, il processo creativo ed interpretativo della realtà. E’ un tipo di cinema raro, audace, prezioso, che riesce nel suo intento e che come le sue poesie non esplica traduzioni, ma solo una sospensione dal giudizio, e un invito a guardare con gli occhi avidi, curiosi e accomodanti del protagonista, vero alter-ego del regista, il senso e il non-senso dell’esistenza, accogliendone il mistero e il suo aspetto più vitale...
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robert eroica
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mercoledì 8 marzo 2017
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paterson, new jersey, usa
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Il grande Giuseppe Turroni (un critico che si legge come si ammira un quadro) per parlare dei film amati, era solito associarli ad una voce poetica americana. Uno dei nomi ricorrenti era William Carlos Williams, autore del poema Paterson (e di altri scritti sublimi sul Nuovo Mondo presenti “Nelle vene dell’America) e nume tutelare di questo grande, grandissimo film di un autore, Jim Jarmusch che negli ultimi anni ci aveva rifilato più di una delusione. Come per dire, che nella migliore tradizione del cinema yankee tutto si tiene. Il concorso di Cannes 2016 ha vergognosamente snobbato “Paterson”, la storia di un giovane autista di bus che si chiama come la città in cui vive e lavora, che è sposato con una ragazza deliziosa e creativa.
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Il grande Giuseppe Turroni (un critico che si legge come si ammira un quadro) per parlare dei film amati, era solito associarli ad una voce poetica americana. Uno dei nomi ricorrenti era William Carlos Williams, autore del poema Paterson (e di altri scritti sublimi sul Nuovo Mondo presenti “Nelle vene dell’America) e nume tutelare di questo grande, grandissimo film di un autore, Jim Jarmusch che negli ultimi anni ci aveva rifilato più di una delusione. Come per dire, che nella migliore tradizione del cinema yankee tutto si tiene. Il concorso di Cannes 2016 ha vergognosamente snobbato “Paterson”, la storia di un giovane autista di bus che si chiama come la città in cui vive e lavora, che è sposato con una ragazza deliziosa e creativa. Girando per la città ascolta i dialoghi dei passeggeri e durante le pause compone poesie, la sua grande passione, davanti alla celebre cascata. Le sue giornate sono sostanzialmente simili l’una all’altra, tra una passeggiata col cane Marvin, una bevuta al pub e una dissertazione con l’avventore più prossimo. Si citano Hurricane, Lou Costello, Allen Ginsberg, persino l’anarchico Gaetano Bresci che uccise Umberto I, come per dire che Paterson è una città mondo, percorsa dal tema del doppio, in cui tutte le influenze sono necessarie e nessuna è determinante nell’esistenza di ognuno. E mentre il tempo passa (la quarta dimensione di un componimento del protagonista) le timide ambizioni restano un gioco per vivere meglio la vita. Si pensa spesso anche a Montale guardando “Paterson” (“Il varco è qui ?) come a intravvedere, dietro l’apparenza del quotidiano, la magia che rende ogni momento unico e universale, catapultandoci in un altrove di cui costantemente cerchiamo di ascoltare gli echi. Un film anarchico per come snobba le mode e un film gentile e bellissimo, dove per una volta l’aggettivo ha una sua pregnanza non superflua. Adam Driver è straordinario e magnifica è la fotografia di Elmes, che sembra quella di Lazlo Kovacs in “Cinque pezzi facili” di Bob Rafelson, ma questa è un’altra storia ancora.
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valterchiappa
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domenica 4 giugno 2017
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la poesia è nelle piccole cose?
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La poesia è nelle piccole cose? O forse la poesia è ovunque, nel ciclico ripetersi della vita.
Una settimana di Paterson (Adam Driver) e di Laura (l’iraniana Golshifteh Farahani). Lunedì, martedì, mercoledì… ogni giornata si ripropone simile, ma sempre leggermente diversa: la posizione dei due giovani sposi nel letto, il percorso a piedi verso il lavoro, gli incontri sull’autobus di cui è Paterson conducente, autobus che ruota anch’esso circolare nella cittadina che si chiama come lui, la passeggiata col cane, la birra al solito pub. In essa frammenti di dialoghi, magari solo ascoltati, o scambi occasionali con persone sempre uguali o sempre diverse: il caposervizio della stazione degli autobus, passeggeri che lasciano scie di pensieri nell’aria, una bambina, il solito barista, un turista giapponese.
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La poesia è nelle piccole cose? O forse la poesia è ovunque, nel ciclico ripetersi della vita.
Una settimana di Paterson (Adam Driver) e di Laura (l’iraniana Golshifteh Farahani). Lunedì, martedì, mercoledì… ogni giornata si ripropone simile, ma sempre leggermente diversa: la posizione dei due giovani sposi nel letto, il percorso a piedi verso il lavoro, gli incontri sull’autobus di cui è Paterson conducente, autobus che ruota anch’esso circolare nella cittadina che si chiama come lui, la passeggiata col cane, la birra al solito pub. In essa frammenti di dialoghi, magari solo ascoltati, o scambi occasionali con persone sempre uguali o sempre diverse: il caposervizio della stazione degli autobus, passeggeri che lasciano scie di pensieri nell’aria, una bambina, il solito barista, un turista giapponese. E poi Laura: i suoi pensieri leggeri che si traducono in anelli e volute che riproduce ovunque, dalla decorazione dei cupcakes alle tende di casa.
Tutto si traduce in parole, chiamate poesie, che ronzano incessantemente nella mente di Paterson e si riversano su un quaderno di pagine bianche: versi (scritti in realtà dal poeta Ron Padgett), su una scatola di fiammiferi, un bicchiere di birra, un bambino che stringe la mano della madre.
Ma la poesia di Paterson non è volo, né grandezza: i versi più belli sono quelli scritti da una bambina e il suo quaderno, complice il cane, farà una fine miserrima. Poesia è la vita stessa, il miracolo del quotidiano, uno e molteplice, banale e meraviglioso, racchiuso in uno scrigno piccolo, come piccola è la cittadina di Paterson, come piccola è la vita di Paterson.
Il tutto è coerente con la poetica di Jim Jarmusch, fatta di personaggi incapaci di autonomi percorsi, imprigionati da una vita sempre uguale a se stessa ed intimamente legati ai non luoghi in cui si muovono. Trovare per costoro un senso e una promessa di felicità: questo è quanto Jarmusch vuole teorizzare con “Paterson”.
È la sua ottica. Ma chi non è disposto a salire sulla mongolfiera che Jarmusch cerca di innalzare, vedrà solo la parabola di un povero cristo che vive in provincia con un lavoro alienante, un cane dispettoso, una moglie svitata ed un taccuino di poesie banali.
Ma anche per chi è affascinato dal mondo minimalista del regista americano, la visione di “Paterson” sembra voglia costringere a sposare un teorema. Lo spettatore è quindi invitato, o obbligato, a cercare, come le briciole di Pollicino, i diamanti nascosti lungo la via percorsa dal protagonista, a piedi o col suo autobus. Si è premiati dalla levità del tocco e dalla sincerità del sentimento; il prezzo da pagare è l’impegno richiesto per trovare lo spessore nell’apparente quotidianità delle situazioni e soprattutto la fatica nell’assistere per 113 minuti alle vicende ripetitive di una vita monotona, cercando di capire perché sia così piena di poesia.
Perché è vero che la poesia cambia la vita, sì: ma quella bella.
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maria f.
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martedì 14 febbraio 2017
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evviva i buoni film!
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Una storia delicata, garbata, che ci riferisce come un’esistenza può essere goduta appieno senza inutili scossoni, come può essere assaporata fino in fondo se si ha il raro dono di ascoltare, osservare, avere la capacità di afferrare l’attimo e bloccare nella mente qualsiasi cosa ti circondi, senza fretta.
La vita intellettuale di Paterson, non nasce – come molti hanno detto - dalla monotonia del suo lavoro ma In lui vive e fluisce il talento di sapere tradurre ogni sensazione in parole semplici, concetti chiari.
La sua creatività non è mai banale.
La mitezza del suo essere e la sua ricchezza spirituale fanno sì che possa entrare in comunione con tutti.
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Una storia delicata, garbata, che ci riferisce come un’esistenza può essere goduta appieno senza inutili scossoni, come può essere assaporata fino in fondo se si ha il raro dono di ascoltare, osservare, avere la capacità di afferrare l’attimo e bloccare nella mente qualsiasi cosa ti circondi, senza fretta.
La vita intellettuale di Paterson, non nasce – come molti hanno detto - dalla monotonia del suo lavoro ma In lui vive e fluisce il talento di sapere tradurre ogni sensazione in parole semplici, concetti chiari.
La sua creatività non è mai banale.
La mitezza del suo essere e la sua ricchezza spirituale fanno sì che possa entrare in comunione con tutti.
Altro suo pregio, è la grande forza d’animo che Paterson dimostra quando dopo aver perso il suo taccuino, che conteneva tutte le sue poesie oltre gli appunti e spunti per le sue creazioni, riesce a ritrovare nuova ispirazione per ricominciare a comporre.
Questo coraggio ridà nuova vita alla sua passione e un nuovo impulso al suo vigore artistico, così com’era accaduto anni prima al ritorno dalla guerra, quando dovette ricominciare la sua vita di cittadino, dopo quella terrificante esperienza da soldato.
La passione per noi tutti potrebbe essere la salvezza se solo ci fermassimo a riflettere, tutti noi abbiamo dei talenti che potremmo sfruttare ed evitare così depressioni o crisi esistenziali.
La musica, la letteratura, la poesia, la semplice osservazione di un quadro o di un suo particolare o qualsiasi altro interesse potrebbero indurci a scoprire una vita interiore e se poi ci abbandonassimo ad accogliere con stupore ogni cosa l’incanto riuscirebbe a infrangere gli argini e la bellezza potrebbe defluire liquida e salvifica su di noi, inondandoci.
Tutto ciò contribuirebbe a cambiare la nostra esistenza, come anche Dostoevskij insegna nel monologo “Il sogno di un uomo ridicolo”.
Film sostanzioso e vitale anche per il suo minimalismo.
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maumauroma
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venerdì 6 gennaio 2017
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paterson
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Comunemente si pensa che i poeti vivano con la testa fra le nuvole, in qualche empireo sperduto, lontano dalle insidie e dai problemi che offre questo mondo, abitato da persone che consumano le loro esistenze attraversando continuamente trilioni di molecole che si aprono al loro passaggio e che si richiudono alle loro spalle, sempre. Paterson guida tutti i giorni il suo autobus attraverso le strade della cittadina del New Jersey che porta il suo stesso nome. Per lui ogni giorno della settimana e' sempre lo stesso. Sveglia la mattina , una fugace colazione, il lavoro di autista, una birra al pub la sera. Eppure a Paterson ogni giorno rivela sorprese: uno scorcio della citta' visto sotto una luce diversa , un discorso rubato ai passeggeri, un'esperienza nel pub mentre conversa con la gente che lo frequenta.
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Comunemente si pensa che i poeti vivano con la testa fra le nuvole, in qualche empireo sperduto, lontano dalle insidie e dai problemi che offre questo mondo, abitato da persone che consumano le loro esistenze attraversando continuamente trilioni di molecole che si aprono al loro passaggio e che si richiudono alle loro spalle, sempre. Paterson guida tutti i giorni il suo autobus attraverso le strade della cittadina del New Jersey che porta il suo stesso nome. Per lui ogni giorno della settimana e' sempre lo stesso. Sveglia la mattina , una fugace colazione, il lavoro di autista, una birra al pub la sera. Eppure a Paterson ogni giorno rivela sorprese: uno scorcio della citta' visto sotto una luce diversa , un discorso rubato ai passeggeri, un'esperienza nel pub mentre conversa con la gente che lo frequenta. E questo continuo fluire di esperienze lo spinge a scrivere versi su un semplice taccuino, a sublimare con la poesia il duro e noioso tran tran quotidiano. Tra un dialogo con la sua compagna Laura ,ragazza idealista e con velleita' artistiche e una passeggiata con Marvin, irresistibile bull dog un po' dispettosetto, la sua vita scorre lenta e inesorabile come il fiume che attraversa la citta'. Anche in questo suo ultimo film, dai ritmi volutamente lenti e ripetitivi, Jim Jarmusch si conferma grande regista. La sceneggiatura di Paterson appare come un caleidoscopio dove gli stessi frammenti colorati muovendosi al suo interno si dispongono in maniera sempre diversa e originale agli occhi dello spettatore. Il carattere di ogni personaggio, anche secondario, viene scolpto dal regista americano con poche inquadrature e un semplice tratto di dialogo. E affascinano anche le metafore simboliche che egli introduce qua e la' nello script e che ognuno puo' interpretare come crede: la presenza ossessiva di gemelli di tutte le eta', le manie di Laura per il bianco e nero, i dispetti del cane Marvin, il misterioso poeta giapponese deus ex machina finale che finira' per alimentare di nuova linfa artistica il nostro poeta autista.
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lbavassano
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domenica 8 gennaio 2017
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l'incanto quotidiano della bellezza
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Ci parla del nostro bisogno di bellezza, il bel film di Jim Jarmusch, della possibilità che a ciascuno è data di cogliere un frammento di bellezza, una sua rifrazione, anche nei paesaggi desolati che attraversiamo ogni mattina, nelle nostre vite ordinarie, nei nostri ordinari mestieri, a patto di saper guardare con occhi diversi, ascoltare con attenzione partecipe. Perché ogni luogo è Paterson e tutti possiamo essere Paterson. Ci parla della capacità della poesia di donare splendore ai luoghi desolati in cui ci siamo trovati a vivere, alle vite desolate che ci circondano e che sono la nostra. Ci parla dell'incanto e della fragilità della bellezza, del costante rischio che corre di essere distrutta dalla banalità del quotidiano, dalla nostra disattenzione soprattutto.
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Ci parla del nostro bisogno di bellezza, il bel film di Jim Jarmusch, della possibilità che a ciascuno è data di cogliere un frammento di bellezza, una sua rifrazione, anche nei paesaggi desolati che attraversiamo ogni mattina, nelle nostre vite ordinarie, nei nostri ordinari mestieri, a patto di saper guardare con occhi diversi, ascoltare con attenzione partecipe. Perché ogni luogo è Paterson e tutti possiamo essere Paterson. Ci parla della capacità della poesia di donare splendore ai luoghi desolati in cui ci siamo trovati a vivere, alle vite desolate che ci circondano e che sono la nostra. Ci parla dell'incanto e della fragilità della bellezza, del costante rischio che corre di essere distrutta dalla banalità del quotidiano, dalla nostra disattenzione soprattutto. Ci parla della sua capacità di sopravvivere nonostante tutto, di come la bellezza sia un dono, un'occasione che sta a noi saper accogliere. Ci suggerisce come anche il risveglio del lunedì mattina possa essere il luogo di un'epifania.
(Per i cinefili un sottile quanto preciso rimando a quell'altro incanto che è stato "Moonrise Kingdom")
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fabio 3121
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giovedì 7 maggio 2020
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il taccuino segreto di paterson
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il film è girato nella tranquilla cittadina di Paterson nel New Jersey dove si ascolta ancora pulito il suono delle cascate. La pellicola del regista Jim Jarmusch racconta la storia dell'autista di autobus della linea "36" Paterson (Adam Driver) il quale conduce una vita regolare e abitudinaria. Va a piedi alla stazione degli autobus e quindi parte per le sue corse girando per la cittadina ed ascoltando quasi origliando i discorsi che fanno i passeggeri del suo autobus. Rientrato a casa lo aspetta una moglie dolce e fantasiosa che dipinge pareti, prepara dolcetti e coltiva la passione per la chitarra. Dopo cena Paterson esce tutte le sere con il cane bulldog "Marvin" a fare un giro per poi fermarsi al solito pub a bere una pinta di birra chiara allla spina.
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il film è girato nella tranquilla cittadina di Paterson nel New Jersey dove si ascolta ancora pulito il suono delle cascate. La pellicola del regista Jim Jarmusch racconta la storia dell'autista di autobus della linea "36" Paterson (Adam Driver) il quale conduce una vita regolare e abitudinaria. Va a piedi alla stazione degli autobus e quindi parte per le sue corse girando per la cittadina ed ascoltando quasi origliando i discorsi che fanno i passeggeri del suo autobus. Rientrato a casa lo aspetta una moglie dolce e fantasiosa che dipinge pareti, prepara dolcetti e coltiva la passione per la chitarra. Dopo cena Paterson esce tutte le sere con il cane bulldog "Marvin" a fare un giro per poi fermarsi al solito pub a bere una pinta di birra chiara allla spina. Durante la sua giornata, soltanto all'apparenza monotona, Paterson si diletta a scrivere delle poesie (senza rima) su di un taccuino segreto, nel senso che i versi sono ben gelosamente custoditi su dei fogli di carta inizialmente bianchi ma che man mano si riempiono grazie alla fantasia e soprattutto alle emozioni del suo autore. il film é impreziosito da una bella colonna sonora nonchè da rilassanti pezzi di musica jazz che si ascoltano nel pub. L'incontro con un poeta giapponese rappresenta nel finale la scena top del film....qui il poeta spiega che le sue poesie sono solo in lingua giapponese perchè "una poesia tradotta è come fare una doccia con l'impermeabile"! Ottimo film che, nei titoli di coda, scopriamo essere stato dedidato dal regista in memoria del bulldog (troppo forte e dispettoso) il cui vero nome é Nellie.
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felicity
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lunedì 31 agosto 2020
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un film sulla poesia che è esso stesso una poesia
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Paterson ripete ogni giorno lo stesso percorso, col suo vecchio autobus. E, alla fine, visto dall’alto, da quella prospettiva perpendicolare che lo sorprende a letto, il suo cammino assomiglia a un muoversi in tondo.
Al fondo, c’è un senso di tristezza difficilmente digeribile, ben dipinto sul volto di Adam Driver. Addirittura di angoscia.
Perché è come se nulla avesse più senso, una direzione di marcia capace di distinguere le traiettorie individuali. L’ambizione non ha senso. Neppure l’amore, che sembra promettere la felicità, ma poi è tutto un patteggiare. Patteggiare la solitudine del nostro spazio interiore, la nostra ritrosia con l’entusiasmo invadente, ingenuo di lei.
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Paterson ripete ogni giorno lo stesso percorso, col suo vecchio autobus. E, alla fine, visto dall’alto, da quella prospettiva perpendicolare che lo sorprende a letto, il suo cammino assomiglia a un muoversi in tondo.
Al fondo, c’è un senso di tristezza difficilmente digeribile, ben dipinto sul volto di Adam Driver. Addirittura di angoscia.
Perché è come se nulla avesse più senso, una direzione di marcia capace di distinguere le traiettorie individuali. L’ambizione non ha senso. Neppure l’amore, che sembra promettere la felicità, ma poi è tutto un patteggiare. Patteggiare la solitudine del nostro spazio interiore, la nostra ritrosia con l’entusiasmo invadente, ingenuo di lei.
Patteggiare i nostri gusti con la quinoa e la torta ai cavoletti di Bruxelles. Rinunciare al nostro odio per il cane per la gioia di lei.
Accettare l’idea folla di costruire qualcosa, un interesse comune, un’impresa commerciale, una casa, una famiglia.
Fare finta che ci sia uno scopo. E poi fare i conti, calcolare, limare qui per aggiungere altrove. Far quadrare il cerchio. Ancora una volta. Sempre cerchi, come quelli che Laura dipinge, in nero, sulla sua bella tenda bianca. Hai un talento per i cerchi. Quest’amore assomiglia a un’apnea.
Anche il cinema di Jarmusch sembra immobile. Qui come non mai, succede poco e niente.
Non c’è una storia da raccontare. E le regole sono diventate minime. Campo, controcampo, fuoricampo, interno e esterno. Sembra cinema in bianco e nero. Privato del colore. Eppure il colore c’è, la sfumatura, la differenza. La poesia, quell’atto di creazione inutile, senza scopo, a cui è tanto legato Paterson, serve proprio a questo.
A scavare, a trovare la rima interna tra le cose, a far uscire un segno da esse e a ridonare a esse un nome.
Jarmusch non è ironicamente distaccato o emotivamente coinvolto in quest'apocalittico limbo, ma ironico e coinvolto, poiché l'angoscia dell'insensatezza della vita e la perenne ricerca di bellezza coincidono, concedendo a Paterson ciò che Paterson desidera. Una forma di metafisica invisibile. Una luce che accende di bellezza una solitudine per poi rimandarla all'oblio di tutti i giorni. Tutto scorre sì, immobile e silenzioso come Paterson seduto a scrivere sul suo autobus.
Superbi gli attori: Driver e Farahani che offre la sua sorridente e fascinosa bellezza.
Jarmusch dà alla poesia il pane della sua immagine quotidiana. Probabilmente non trova altro senso che il vuoto, ma come in un pensiero zen, riconosce in questo vuoto la precaria e magnifica bellezza. Le infinite possibilità di una pagina bianca.
E la forza di ricominciare, ogni giorno.
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carloalberto
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venerdì 11 dicembre 2020
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due interpretazioni a confronto
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Questo film di Jarmusch si presta a due interpretazioni di segno opposto, entrambi non soddisfacenti.
Secondo alcuni, è una geniale e provocatoria presa per i fondelli del velleitarismo artistico tipico di quella fetta della piccola borghesia transnazionale, vittima di una rapida acculturazione di massa, accelerata dal pressappochismo divulgativo dei mass media. E’ la middle class, apaticamente appiattita nella noia della routine quotidiana, in una società priva di prospettive e di passioni dove gli aneliti rivoluzionari sono ridotti alle gesta dell’anarchico Bresci riassunte in una chiacchiera orecchiata su di un autobus, emblematicamente incarnata dall’uomo qualunque, anonimo cittadino omonimo di una qualunque anonima provincia americana, e dalla sua compagna, che con citazioni a vanvera di nomi di poeti dello stilnovismo italiano e la creazione di versi naif, parodisticamente ispirati all’imagismo anglosassone di inizi novecento, cerca di emergere, distinguendosi, dalla sottocultura popolare che intitola parchi a Gianni e Pinotto.
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Questo film di Jarmusch si presta a due interpretazioni di segno opposto, entrambi non soddisfacenti.
Secondo alcuni, è una geniale e provocatoria presa per i fondelli del velleitarismo artistico tipico di quella fetta della piccola borghesia transnazionale, vittima di una rapida acculturazione di massa, accelerata dal pressappochismo divulgativo dei mass media. E’ la middle class, apaticamente appiattita nella noia della routine quotidiana, in una società priva di prospettive e di passioni dove gli aneliti rivoluzionari sono ridotti alle gesta dell’anarchico Bresci riassunte in una chiacchiera orecchiata su di un autobus, emblematicamente incarnata dall’uomo qualunque, anonimo cittadino omonimo di una qualunque anonima provincia americana, e dalla sua compagna, che con citazioni a vanvera di nomi di poeti dello stilnovismo italiano e la creazione di versi naif, parodisticamente ispirati all’imagismo anglosassone di inizi novecento, cerca di emergere, distinguendosi, dalla sottocultura popolare che intitola parchi a Gianni e Pinotto.
Secondo altri, invece, non meno accreditati esegeti, è il frutto esso stesso di quel sistema autoreferenziale, come del resto è oggi tutto il mondo dell’arte, fatto di critici festivalieri, attori snob ed investitori oculati, che producono opere destinate ad un pubblico di nicchia, o che illusoriamente si crede tale, che proclama poeti laureati alcuni registi appartenenti al giro, che, poi, saranno acclamati supinamente negli ambienti pseudoculturali ed intellettualistici e dai frequentatori autocompiaciuti dei cinema d’essai, in quella parte del globo non interessata direttamente da carestie, guerre, sommosse e pestilenze varie.
In attesa che una voce autorevole dirima il dubbio amletico, ovviamente non proveniente da quel sistema o dal coro entusiasta dei suoi servili adepti, si può prosaicamente sentenziare che il film è di una noia mortale o, altrimenti, parafrasando Fantozzi, non inferiore di certo a Lou Costello, effigiato nel poster alle spalle del barista di colore, che trattasi di una boiata pazzesca.
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