Jersey Boys

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Un film di Clint Eastwood. Con John Lloyd Young, Erich Bergen, Michael Lomenda, Vincent Piazza, Christopher Walken.
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Biografico, durata 134 min. - USA 2014. - Warner Bros Italia uscita mercoledì 18 giugno 2014. MYMONETRO Jersey Boys * * * - - valutazione media: 3,28 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il New Jersey trionfa grazie ai Four Seasons! Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 26 settembre 2016

JERSEY BOYS (USA, 2014) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da JOHN LLOYD YOUNG, ERICH BERGEN, MICHAEL LOMENDA, VINCENT PIAZZA, CHRISTOPHER WALKEN
Storia dei Four Seasons, gruppo pop rock fondato nel 1951 e attivo fino alla metà degli anni ’60, formato inizialmente dal chitarrista e manager della band Tommy DeVito, dal giovane cantante dalla voce effeminata e angelica Frankie Castelluccio (poi mutato in Valli) e dal bassista Nick Massi, organico completato successivamente dall’ingresso del compositore e tastierista Bobby Gaudio. Il film racconta la fantastica parabola della loro unica carriera, entrando dettagliatamente nella vita privata e lavorativa di ognuno dei membri: Tommy, musicista egocentrico e individuo impulsivo con sardoniche pretese da businessman, si autoproclama leader del complesso e lo farà barcamenare tra tremende difficoltà finanziarie, anche a causa del suo amore sconfinato per i festini negli appartamenti e della sua voglia di boicottare le decisioni dei proprietari delle case discografiche; Frankie, il più giovane del gruppo, ragazzo inizialmente timido e imbranato ma in seguito sinceramente impegnato, si sposa con una donna più grande di lui, ha una figlia, Francine, che muore in modo tanto tragico quanto inatteso e una passione sfrenata per i demo che, prima che la band sfondi sul serio, propone con insistenza alle majors; Nick, sentendosi l’ultima ruota del carro, ad un certo punto ascolta la voce della sua coscienza e pianta in asso i colleghi, dedicandosi anima e corpo alla famiglia; Bobby, verginello col pallino delle canzoni scritte per l’organo, si incarica di comporre per il gruppo i successi che li consegneranno alla storia della musica oltreoceano, passando per l’incomprensione degli stessi colleghi e la diffidenza sadica delle etichette. A far da collante e mentore fra i quattro è il gangster italoamericano Gyp De Carlo (un Walken straordinario, ma troppo ridimensionato nella parte centrale del film), che li aiuta nei momenti difficili e si preoccupa di finanziare le loro imprese quando non hanno altri appigli cui aggrapparsi. Tanti altri personaggi popolano la stupefacente vicenda (tratta da una storia vera) dell’ascesa dapprima tribolata, ma poi inarrestabile, dei Four Seasons, fino alla definitiva consacrazione, nel 1990, con l’ammissione nella Rock and Roll Hall of Fame, dopo un quarto di secolo di inattività artistica, perché il complesso era stato sciolto. Meravigliose canzoni costellano una colonna sonora di prim’ordine e assolutamente insostituibile, tutte greatest hits dei Four Seasons reali: "Sherry", "Big Girls Don’t Cry", "Walk Like a Man", "Dawn", "Rag Doll" e "Bye Bye Baby". A tutti gli effetti il film appartiene a Eastwood, ma non sembra girato da lui (!): per la psichedelica del montaggio e la pluricromatica varietà delle immagini, potrebbe averlo diretto Burton; per il desiderio insopprimibile di rispolverare con gloria un’epopea del passato e farla rivivere attraverso pregiate immagini audiovisive, lo si potrebbe attribuire a Spielberg; o ancora, per la creatività dell’intreccio, la cura maniacale della messinscena e l’enorme importanza riservata alla dovizia scenografica, potrebbe addirittura appartenere a Polanski. Eastwood, ciononostante, ci mette la farina del suo sacco puntando su una sceneggiatura strabiliante perché, malgrado sia fin troppo densa di dialoghi, verte sullo stratagemma del camera look (ovvero, il metodo che utilizzano la maggior parte degli attori rivolgendosi direttamente al pubblico quanto recitano) ed evita abilmente la verbosità intervallando i discorsi con le musiche e le pause riflessive nella trama e calibrando il tiro dell’elogio senza farne un panegirico né un’agiografia, ma trasformando un’importantissima e gustosa occasione in un bellissimo omaggio carico di pathos, ironia, sarcasmo, tenerezza, antichi fasti, magnificenza, delizia e simpatia. I quattro protagonisti beneficiano di un copione che bilancia con una perfezione cronometrica i rispettivi spazi e, di loro, ci impiegano una recitazione che pare provenire dalle profondità dell’anima, per come esce fuori dallo schermo con la ricchezza di espressività e sensazioni forti. Per la sua eccellente particolarità, Jersey Boys è un biopic adattabile anche alla storia di altri gruppi rock che han fatto la storia, come i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin o i Queen: la sua plasticità proteiforme mette insieme i contributi artistici con quelli tecnici con una professionalità talmente sapiente che finisce per consegnare agli spettatori un prodotto fine, mai noioso né volgare e adeguato sia come musical che come dramma corale. Pecca solamente nella ristrettezza del personaggio di Walken, come già detto (sebbene l’attore lo interpreti con la sua abituale, infallibile mistura di malignità e servilismo), nella debolezza dei personaggi femminili (non tutti realizzati benissimo) e in due o tre indugi non indispensabili nello svolgimento centrale. Consigliabilissimo per la visione in sala, e da assaporare almeno un paio di volte: molti particolari sfuggono alla prima visione, e riappropriarsene è una goduria strepitosa. È anche un esempio molto calzante di musical moderno con incorporata una trama ben delineata che s’incastra benissimo all’interno dello stesso: cosa piuttosto rara, di questi tempi, e dunque maggiormente ricercata dai cineasti di qualità.

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