goldy
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mercoledì 18 giugno 2014
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saper narrare
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Affermare che questo è un film minore di Eastwood è come dire che l'azzurro della Notte Sul Rodano di Van Gogh è meno brillante del
blu della Notte Stellata. Estremamente ben fatto il film riprende tutti i luoghi comuni del film di genere a cui questo appartiene ma sa innovare la narrazione con grande sapienza cinematografica. Riesce a essere vero senza mai peccare di realismo. Domina una serie notevole di avvenimenti senza mai perdere il filo narrativo. Dice moltissimo della vita musicale del gruppo e del periodo e le ricadute non sempre virtuose sulle loro vite personali. Non solo spettacolo ma percorso di maturazione e affermazioni di valori non falsi e nemmeno banali.
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Affermare che questo è un film minore di Eastwood è come dire che l'azzurro della Notte Sul Rodano di Van Gogh è meno brillante del
blu della Notte Stellata. Estremamente ben fatto il film riprende tutti i luoghi comuni del film di genere a cui questo appartiene ma sa innovare la narrazione con grande sapienza cinematografica. Riesce a essere vero senza mai peccare di realismo. Domina una serie notevole di avvenimenti senza mai perdere il filo narrativo. Dice moltissimo della vita musicale del gruppo e del periodo e le ricadute non sempre virtuose sulle loro vite personali. Non solo spettacolo ma percorso di maturazione e affermazioni di valori non falsi e nemmeno banali. Personaggi insomma ne fatui nè superficiali. E il tutto con grande ritmo. coinvolgente.
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[+] amore per il cinema e per la musica!
(di sorella luna)
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diana cardani
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domenica 22 giugno 2014
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walk like a clint eastwood
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E' risaputo: un film di Eastwood non è tale se non c'è della buona musica. Un po' come vedere un film di Tarantino senza un goccio di sangue. Inaudito.
Era speaker radiofonico in Brivido nella notte e sbandato autore di country music in Honkytonk man, ha diretto un tributo alla jazz music di Charie Parker in Bird, ha collaborato con Scorsese nella realizzazione del documentario The Blues suonando con Ray Charles. Insomma, dopo il country, il jazz, il blues e il pop, non poteva dimenticarsi del rock 'n roll degli anni Sessanta e Settanta.
Forse poco avvincente in un primo momento, Jersey boys riesce a incrementare la dose di entusiasmo diventando sempre più trascinante e coinvolgente non solo per merito delle travolgenti e sempre fresche canzoni che hanno costellato la carriera del gruppo musicale (riadattate e cantate dalla superba voce di John Lloyd Young, interprete di Frankie Valli), ma soprattutto grazie ad una modalità di narrazione con cui Eastwood si misura per la prima volta, e aggiungerei, con grande successo: Jersey boys potrebbe essere diviso in quattro momenti, ciascuno dedicato ai quattro componenti dei The Four Seasons, nei quali i vari membri ci espongono le proprie emozioni guardando direttamente in camera.
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E' risaputo: un film di Eastwood non è tale se non c'è della buona musica. Un po' come vedere un film di Tarantino senza un goccio di sangue. Inaudito.
Era speaker radiofonico in Brivido nella notte e sbandato autore di country music in Honkytonk man, ha diretto un tributo alla jazz music di Charie Parker in Bird, ha collaborato con Scorsese nella realizzazione del documentario The Blues suonando con Ray Charles. Insomma, dopo il country, il jazz, il blues e il pop, non poteva dimenticarsi del rock 'n roll degli anni Sessanta e Settanta.
Forse poco avvincente in un primo momento, Jersey boys riesce a incrementare la dose di entusiasmo diventando sempre più trascinante e coinvolgente non solo per merito delle travolgenti e sempre fresche canzoni che hanno costellato la carriera del gruppo musicale (riadattate e cantate dalla superba voce di John Lloyd Young, interprete di Frankie Valli), ma soprattutto grazie ad una modalità di narrazione con cui Eastwood si misura per la prima volta, e aggiungerei, con grande successo: Jersey boys potrebbe essere diviso in quattro momenti, ciascuno dedicato ai quattro componenti dei The Four Seasons, nei quali i vari membri ci espongono le proprie emozioni guardando direttamente in camera.
Jersey boys è un mélange des genres: biografico, senza dubbio, conserva una particolare vena drammatica resa dai tipici toni bassi e seppiosi , che potremmo tranquillamente definire "eastwoodiani". Ma un ingrediente inaspettato è sicuramente la poderosa componente gangsteristica, riassunta dalla figura di Gyp DeCarlo, il boss mafioso interpretato da un adeguato (ma non troppo) Christopher Walken; incredibili l'inserimento di un giovanissimo Joe Pesci (con gli occhi un po' troppo chiari), l'ambientazione di una scena in un minuscolo sgabuzzino riempito di alcolici, pellicce e stecche di Malboro rubate e l'accento siciliano del doppiaggio, che chiaramente sostituisce la cadenza italoamericana adottata dai protagonisti: piccolo tributo allo Scorsese di Quei bravi ragazzi e Casinò ? Io ci vorrei credere.
Ancora più incredibile è l'autocitazione di Eastwood, che lui stesso definisce un "cameo hitchcockiano":lo intravediamo in una televisione, interpretando Rowdy Yates in una puntata della serie televisiva Rawhide che negli anni Sessanta, proprio mentre i The Four Seasons stavano scalando le classifiche mondiali con il primo singolo "Sherry", lo aveva lanciato alla brillante carriera attoriale.
Insomma, anche se avrei preferito vedere un Paul Sorvino al posto di Christopher Walken, e sebbene Eastwood non si rivolga ai migliori truccatori specializzati in invecchiamento dei volti già dai tempi di J. Edgar, sono più che convinta che questo film si possa considerare una delle colonne portanti della filmografia del regista. Uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie.
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enzo70
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lunedì 30 giugno 2014
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un delizioso omaggio a frankie valli
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Nel lunghissimo viaggio alla ricerca delle radici della cultura a stelle e strisce, Clint Eastwood recupera un famoso musical di Broadway ispirato alla favola dei Four Season e lo porta sul grande schermo. Le avventure di Frankie Valli, la voce, e del suo gruppo rappresentano un momento importante della musica statunitense, il prologo della stagione d’oro del rock & roll di Elvis Presley. E’ un film anche musicale, ma il palcoscenico è tutto per le vicende umani dei quattro uomini delle banda, incredibilmente diversi nei valori e nei caratteri. L’unico elemento che li accomuna, oltre all’amore per la musica, sono le radici nella comunità italiana del New Jersey, testimoniate per il rispetto per il boss del posto Gyp De Carlo, interpretato dal leggendario Christopher Walken.
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Nel lunghissimo viaggio alla ricerca delle radici della cultura a stelle e strisce, Clint Eastwood recupera un famoso musical di Broadway ispirato alla favola dei Four Season e lo porta sul grande schermo. Le avventure di Frankie Valli, la voce, e del suo gruppo rappresentano un momento importante della musica statunitense, il prologo della stagione d’oro del rock & roll di Elvis Presley. E’ un film anche musicale, ma il palcoscenico è tutto per le vicende umani dei quattro uomini delle banda, incredibilmente diversi nei valori e nei caratteri. L’unico elemento che li accomuna, oltre all’amore per la musica, sono le radici nella comunità italiana del New Jersey, testimoniate per il rispetto per il boss del posto Gyp De Carlo, interpretato dal leggendario Christopher Walken. Clint Eastwood utilizza un metodo narrativo particolare, alternando le voci parlate, racconta la storia, anzi le storie, con la classe gli è propria. Una su tutte, chiaramente, quella del protagonista del gruppo, Frankie Valli, l’unico vero combattente del gruppo, voce straordinaria, il coraggio di accollarsi tutti i debiti del gruppo generati dalla disastrosa gestione di uno dei componenti. Folgorato dalla morte della figlia Frankie va avanti, e Clint gli rende il doveroso omaggio con la presentazione di un suo grandissimo successo, can’t take my eyes off you, con i fiati che esaltano la voce. Clint Eastwood è una garanzia, poi non è detto che si debba sempre urlare al capolavoro; al minimo, comq in questo caso, fa un gran bel film.
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sabrina lanzillotti
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sabato 21 giugno 2014
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jersey boys: clint eastwood cambia musica
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“Quattro ragazzi sotto un lampione… La prima volta che abbiamo creato quel sound, il nostro sound… quando tutto scompariva e tutto quello che restava era la musica. Quello è stato il massimo”.
A parlare è Frankie Valli, leader della band degli anni ‘60 “Four Seasons”, e protagonista l’ultima fatica di Clint Eastwood che, per la prima volta nella sua carriera da regista, decide di darsi al musical, e lo fa portando a cinema il premiatissimo spettacolo di Broadway “Jersey Boys”.
Il quartetto è composto da Frankie Valli, Bob Gaudio, Nick Massi e Tommy DeVito, rispettivamente interpretati da John Lloyd Young, Erich Bergen, Michael Lomenda e Vincent Piazza, quattro giovani italoamericani che, tra lavoretti più o meno legali, decidono di unirsi e dar vita a quello che diventerà un gruppo icona del tempo, riuscendo ad influenzare più di una generazione.
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“Quattro ragazzi sotto un lampione… La prima volta che abbiamo creato quel sound, il nostro sound… quando tutto scompariva e tutto quello che restava era la musica. Quello è stato il massimo”.
A parlare è Frankie Valli, leader della band degli anni ‘60 “Four Seasons”, e protagonista l’ultima fatica di Clint Eastwood che, per la prima volta nella sua carriera da regista, decide di darsi al musical, e lo fa portando a cinema il premiatissimo spettacolo di Broadway “Jersey Boys”.
Il quartetto è composto da Frankie Valli, Bob Gaudio, Nick Massi e Tommy DeVito, rispettivamente interpretati da John Lloyd Young, Erich Bergen, Michael Lomenda e Vincent Piazza, quattro giovani italoamericani che, tra lavoretti più o meno legali, decidono di unirsi e dar vita a quello che diventerà un gruppo icona del tempo, riuscendo ad influenzare più di una generazione.
Eastwood cerca di restare fedelissimo all’opera teatrale. Coraggiosa la sua scelta di far registrare le canzoni dal vivo e azzeccata la decisione di affidare i ruoli principali agli stessi attori che hanno lavorato all’opera teatrale, segnando così il loro esordio cinematografico, eccezion fatta per Piazza. Il regista, inoltre, decide di utilizzare al cinema lo stesso espediente utilizzato a teatro, ossia quello dei personaggi che si rivolgono direttamente al pubblico.
A scene comiche si contrappongono inevitabili momenti drammatici, il tutto contornato da canzoni e coreografie che riescono a coinvolgere lo spettatore per più di due ore.
Quando è stato chiesto a Clint Eastwood perché avesse scelto di raccontare la storia dei Four Seasons piuttosto che quella di gruppi più famosi emersi negli stessi anni, il regista ha risposto che quello che più gli interessava era raccontare come questi ragazzi, poco più che maggiorenni, cresciuti in una zona controllata dalla mafia e abituati a vivere di piccoli crimini, fossero riusciti a raggiungere questo enorme successo e di come la musica fosse riuscita a dare a quei quattro ragazzi qualcosa per cui valesse la pena vivere.
Probabilmente non sarà all’altezza di capolavori come Million Dollar Baby e Gli Spietati, ma scuramente Jersey Boys è un film che riesce a commuovere e a divertire fino ai titoli di coda, quando tutti gli attori ballano sulle note dei più grandi successi del gruppo.
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catcarlo
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martedì 24 giugno 2014
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jersey boys
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Tratto da uno dei maggiori successi di Broadway nel decennio scorso, il nuovo film di Eastwood rappresenta la realizzazione del desiderio del regista di mettere la sua firma sotto a un musical, tanto da accettare di prendere il posto di Jon Favreau a progetto già avviato. Si tratta di un'ulteriore tappa nella esplorazione dei generi classici hollywoodiani e il risultato è una commedia musicale a tutto tondo (a testimoniarlo basterebbe la gioiosa scena collettiva sulla quale scorrono i titoli di coda) in cui i conflitti vengono smussati e anche il boss mafioso Gyp DeCarlo – nei cui panni gigioneggia divertito Cristopher Walken – è rappresentato soltanto come un bonario, per quanto rispettato, ‘facilitatore’.
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Tratto da uno dei maggiori successi di Broadway nel decennio scorso, il nuovo film di Eastwood rappresenta la realizzazione del desiderio del regista di mettere la sua firma sotto a un musical, tanto da accettare di prendere il posto di Jon Favreau a progetto già avviato. Si tratta di un'ulteriore tappa nella esplorazione dei generi classici hollywoodiani e il risultato è una commedia musicale a tutto tondo (a testimoniarlo basterebbe la gioiosa scena collettiva sulla quale scorrono i titoli di coda) in cui i conflitti vengono smussati e anche il boss mafioso Gyp DeCarlo – nei cui panni gigioneggia divertito Cristopher Walken – è rappresentato soltanto come un bonario, per quanto rispettato, ‘facilitatore’. La storia di Frankie Valli e dei futuri Four Seasons - Vivaldi chi? - inizia nel New Jersey con un vago sentore di ‘American Graffiti’ che pervade le peripezie di quattro ragazzi italoamericani alla ricerca del successo: in questa prima parte la scena è dominata dal chitarrista e piccolo intrallazzatore Tony Visconti (Vincent Piazza) che spesso e volentieri parla direttamente in macchina – come pure succede più avanti al bassista Nick Massi (Michael Lomenda), facendo nascere più di un sospetto che si tratti di un omaggio a ‘Quei bravi ragazzi’ – e dà l'avvio alla scalata organizzando le prime serate nei locali del circondario. A questo punto l'attenzione si sposta sul personaggio di Valli (John Lloyd Young), narrando la crescita verso il vertice della parabola e la susseguente discesa, che inizia proprio in uno dei momenti di massimo successo (l’esibizione all’Ed Sullivan Show), ma non si trasforma in un crollo rovinoso, anzi il cantante riuscirà ancora a piazzare qualche buon colpo come solista, ‘Grease’ e ‘Can't take my eyes off you’ su tutti. Proprio la genesi di quest'ultimo brano si trova al centro di quella che, assieme alla panoramica a salire sul Brill Building e sui relativi generi musicali, è una delle scene più belle del film. In essa, Valli sta seduto da solo in un diner dopo la morte della figlia mentre fuori cade la neve e viene raggiunto da Bob Gaudio (il tastierista e compositore del gruppo, interpretato da Erich Bergen) che gli propone lo spartito con il quale trovare la forza di ripartire: un insieme di narrazione e inquadrature che dice molto della sensibilità di un regista che sa ben raccontare la malinconia. Un altro tema caro a Eastwood è il rapporto padre-figlio, che qui però appare solo in una dimensione secondaria: in tutta la pellicola il registro drammatico risulta solo accennato (si veda anche il difficile rapporto di Valli con la moglie) e fatica ad amalgamarsi al tono da commedia che caratterizza l'andamento complessivo quando in scena non ci sono le canzoni (che sono, ovviamente, parecchie, a partire dalla celeberrima ‘Sherry’). Tra i tanti pregi dello zio Clint è, del resto, anche la notevole capacità di mettere in immagini la musica, sia quando essa è protagonista, sia quando è parte integrante nello sviluppo della storia e questo anche quando il genere è lontano dalle sue preferenze (che come noto, sono orientate al jazz): perché il tutto risultasse più efficace, il regista ha voluto che gli interpreti fossero gli stessi del musical (Young ha vinto un Tony per la sua interpretazione teatrale) o comunque provenissero da quel mondo e le canzoni sono state eseguite direttamente sul set. Su un tocco di nostalgia per gli anni migliori che non tornano più – dal palco della Hall of Fame il ricordo torna al vecchio quartiere – si chiude una pellicola che, per quanto detto in precedenza e perché il coinvolgimento emotivo non riesce sempre ad essere al massimo, non è certo un capolavoro, ma che comunque garantisce due ore leggere di ottimo intrattenimento. Il che, poi, è un problema per l’ex Biondo (che si cita in un fotogramma da ‘Rawhide’): da lui ci si aspetta sempre il colpo d'ala e, quando si limita al solido mestiere, c’è sempre qualcuno che finisce per storcere il naso.
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[+] il riscatto di quattro giovani grazie alla musica.
(di antonio montefalcone)
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claudiofedele93
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domenica 23 novembre 2014
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sherry, oh, sherry baby!
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Quando capisci di possedere un talento naturale capisci che bene o male il tuo destino è già segnato. Clint Eastwood a ottantaquattro anni è ancor oggi un regista capace di saper tener in mano una macchina da presa e girare film di qualità senza lasciar indietro nulla del suo stile registico, così semplice e raffinato in grado di far entrare con naturalezza ogni spettatore in una qualunque storia questi s’appresti a raccontare sul grande schermo.
Jersey Boys, che riprende in parte i componenti contenutistici dell’omonimo musical di Broadway di successo con non a caso anche in quella produzione il giovane John Lloyd Young nel ruolo di Frankie Valli, interpretazione che gli ha cambiato letteralmente la vita mettendolo sotto le luci della ribalta tra i giovani attori, è una pellicola che serve a testimoniare ancora una volta la passione di Eastwood non solo per la settima arte, ma anche e sopratutto per la musica.
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Quando capisci di possedere un talento naturale capisci che bene o male il tuo destino è già segnato. Clint Eastwood a ottantaquattro anni è ancor oggi un regista capace di saper tener in mano una macchina da presa e girare film di qualità senza lasciar indietro nulla del suo stile registico, così semplice e raffinato in grado di far entrare con naturalezza ogni spettatore in una qualunque storia questi s’appresti a raccontare sul grande schermo.
Jersey Boys, che riprende in parte i componenti contenutistici dell’omonimo musical di Broadway di successo con non a caso anche in quella produzione il giovane John Lloyd Young nel ruolo di Frankie Valli, interpretazione che gli ha cambiato letteralmente la vita mettendolo sotto le luci della ribalta tra i giovani attori, è una pellicola che serve a testimoniare ancora una volta la passione di Eastwood non solo per la settima arte, ma anche e sopratutto per la musica. Già calato nel ruolo di compositore per molti suoi film, oltre che di attore, il pupillo di Sergio Leone firma un prodotto che verte principalmente sulla storia dei Four Season, un gruppo di ragazzi nati e cresciuti nella parte sbagliata del New Jersey, nel quale inserisce tutta la sua eleganza ed il suo stile, conferendo all’opera una cura ed una precisione innata non solo tecnicamente, ma anche esteticamente complice una fotografia ed una ricostruzione scenografica da manuale.
Quando, infatti, ci si trova ad adattare una biografia sul grande schermo il rischio che questa dopo un po’ diventi noiosa è sempre, costantemente, presente; bisogna fare i conti con i momenti più interessanti, carichi di pathos e le sequenze meno dinamiche, che alternano i successi ed i fallimenti di un uomo o una donna. I Ragazzi del Jersey però godono di un’empatia e di un’enfasi del tutto particolare che non arriva mai a toccare dei veri e propri picchi emotivi, ma aggiungendo ironia e sarcasmo riesce sempre a mantenere alta e intatta l’attenzione verso la pellicola da parte dello spettatore. Non vi era alcun motivo, di fatto, di rendere questa vicenda un qualcosa di spettacolare o barocco, anche se un po’ di storia della Musica recente è stata comunque fatta e necessitava di essere considerata con gran rispetto, bisognava però cercare di saper trattare il materiale a disposizione con una delicatezza e una genuinità che poche persone al mondo sanno cogliere e tra queste vi è giusto appunto il regista del drammatico Million Dollar Baby, dello straziante Changeling e del crudele Mystic River che centra il bersaglio anche con questo lavoro, portando alla luce un piccolo gioiello composto perfettamente e senza nemmeno un piccolo graffio di imperfezione.
Sapendo di lavorare con dei giovani attori, scommettendo su di loro per certi versi, Eastwood è riuscito a rimanere in ogni momento con i piedi per terra, non accentuando in modo eccessivo i momenti carichi di dramma né arricchendo in modo estremo le tante fasi che hanno visto i Four Season alla ribalta. Il film è un costante miscuglio di lente salite e piccole discese che rendono in modo perfetto quel che può essere la vita di un’artista oltre che del semplice uomo, che questi sia solista o componente di un gruppo, costretto a vivere un’esistenza fatta da due facce della stessa medaglia: il successo. Ogni membro della band è caratterizzato in modo convincente, studiato nel minimo particolare così da non focalizzare l’attenzione solo su Frankie, che rimane il frontman del gruppo, e i momenti in cui quest’ultimo lascerà spazio agli altri giovani cantanti della comitiva saranno molteplici. Un elemento non da poco è infatti quello di voler far dialogare i protagonisti direttamente con lo spettatore, mettendoli con lo sguardo davanti alla telecamera e facendo condividere con il pubblico i loro pensieri e paure. Un escamotage estremamente elaborato ma efficace che non solo alleggerisce la storia, dandole il giusto ritmo e atmosfera oltre ad un tocco di sano didascalismo, ma ci incanala in quegli anni ’60 tanto rumorosi e musicalmente frizzanti, una giungla melodica dove se non eri tu il cacciatore diventavi una preda o peggio ancora un nessuno.
Non vi è infatti una vera e propria denuncia fatta dal regista verso quei tempi ormai andati, sebbene non si risparmi a mostrare alcuni aspetti del New Jersey ove traspare il marcio e il peggio della società. Non è un caso ritrovarsi di fronte al personaggio di Christopher Walken che interpreta il mafioso Angelo De Carlo, un uomo messo a capo della malavita che vive in una casa di lusso, elemento chiave per capire al meglio il luogo ed il tempo dove il gruppo si è formato e cresciuto. Eppure, nella figura di De Carlo, non vi è un’accesa critica a quest’ultimo né una rappresentazione canonica del capo mafia in stile Il Padrino o Quei Bravi Ragazzi, questi bensì viene visto più come un “protettore” e l’idea di non rendere in apparenza terribile un uomo del genere, oltre a renderlo meno stereotipato, ci fa capire al tempo stesso quanto l’ironia abbondi tra le righe dei dialoghi e le sequenze del lungometraggio tanto da rendere un personaggio che per eccellenza dovrebbe “far paura” quasi una parodia di se stesso, ma che grazie allo straordinario talento di Walken non va mai sopra le righe e rimane costantemente credibile.
Elemento cardine, inoltre, dell’intera produzione rimane poi la musica ed i testi. Cast e Regista si sono di certo messi di buona lena nel curare non solo le canzoni, ma anche il modo migliore per metterle sul grande schermo e rappresentarle senza appesantire troppo il lungometraggio né però alleggerirlo in salsa Glee o opere affini. Con un background del genere bastava mettere in scena quelle canzoni iconiche che hanno fatto la storia della musica degli anni ’60 ed un tocco d’artista come quello di Eastwood capace di rendere perfetta ogni inquadratura e farci credere davvero, tra un’esibizione e l’altra, di essere in quei anni ad assistere ad un evento dei Four Seasons.
Chi dice che Jersey Boys sia una delle opere minori di Eastwood probabilmente non tiene conto di tutti quei fattori e particolari che fanno "eccezionale" il cinema di quest’uomo. E' vero, questa pellicola non ha la drammaticità né il pathos di molti altri suoi lavori ed è sempre costellata da una grande ironia, apparente leggerezza e dinamismo, però rimane nel complesso un prodotto perfetto sotto ogni punto di vista, tecnico ed estetico. Clint probabilmente è una di quelle persone che se non facesse il suo lavoro, se non si occupasse di Cinema, non sarebbe davvero in grado di fare altro e la riprova di quanto appena detto l'abbiamo perché oggi, alla sua età, ha una voglia matta di girare come pochi giovani registi hanno tutt’ora, capace di saper mettere in scena una pellicola girata con la tecnica e lo stile perfetto di un uomo elegante e sofisticato di altri tempi rendendola immortale, innovativa e modernissima.
Jersey Boys è un'opera essenzialmente biografica che sprizza euforia e voglia di mettersi in gioco da ogni poro, attraverso ogni inquadratura da parte di chi è inquadrato e da chi tiene in mano la telecamera pur rimanendo dei canoni del genere; è un azzardo riuscito ed una scommessa vinta anche per quel che riguarda il cast e le canzoni ancora belle ed immortali presenti nel film. A concludere il tutto rimane il genio, la sensibilità di chi ha preso le redini dell’intero progetto che mai come qui è stato tanto capace di catturare i volti di Frankie Valli e dei Four Seasons e renderli magnifici oltre che umani ed umili, la dimostrazione di un talento vivente immortale capace di realizzare uno dei cammei più belli degli ultimi anni, e solo per quel cammeo fatto con grande naturalezza a riprova del tuo infinito estro, Clint, il film acquista sulla carta qualcosa in più. In un mondo musicale fatto oggigiorno solo di talent show di spettacolo ancor prima che di musica, Jersey Boys ci ricorda quanta fatica abbiano fatto gli artisti di un tempo per uscir fuori dal loro piccolo mondo e arrivare in alto, a toccare con mano il successo che li ha resi immortali.
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melvin ii
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venerdì 20 giugno 2014
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la ballata riuscita di clint
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il biglietto d’acquistare per “Jersey boys” è :5)Sempre.
“Jersey boys” è un film del 2014 diretto da Clint Eastwood, basato sull’omonimo musical del 2006 di Marshall Brickman, con la sceneggiatura di John Logan e Rick Elice.
Con: John Lloyd Young, Erich Bergen, Vincent Piazza, Michael Lomenda, Joseph Russo e Christopher Walken.
Lo confesso sono un vero ignorante dal punto di vista musicale. Sono stato solo una volta in vita mia ad un concerto. Non conosco le tendenze. Le rare volte,ormai, che convinco la mia panza da cummenda a fare un po’ di tapis roulant accendo la radio e le varie canzoni accompagnano i miei vani sforzi fisici.
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il biglietto d’acquistare per “Jersey boys” è :5)Sempre.
“Jersey boys” è un film del 2014 diretto da Clint Eastwood, basato sull’omonimo musical del 2006 di Marshall Brickman, con la sceneggiatura di John Logan e Rick Elice.
Con: John Lloyd Young, Erich Bergen, Vincent Piazza, Michael Lomenda, Joseph Russo e Christopher Walken.
Lo confesso sono un vero ignorante dal punto di vista musicale. Sono stato solo una volta in vita mia ad un concerto. Non conosco le tendenze. Le rare volte,ormai, che convinco la mia panza da cummenda a fare un po’ di tapis roulant accendo la radio e le varie canzoni accompagnano i miei vani sforzi fisici. Anche quando sono in macchina accendo la radio, ma cambio in maniera compulsiva le stazioni per estraniarmi dal caos cittadino.
Non ho un genere musicale preferito, tutto dipende dal mio umore. L’amica Ciovane è diventata negli ultimi anni la mia guida in questo campo, provando a “svecchiarmi”, anche se con scarsi risultati.
Quando ho visto per la prima volta il trailer di “Jersey Boys” mi sono meravigliato che il vecchio Clint avesse deciso di fare un musical, ma ho voluto dargli comunque fiducia.
“Jeresey boys” è un omaggio allo storico gruppo dei “Four Seasons” che negli anni sessanta esaltò il pubblico americano.
Clint Eastwood ci racconta le umili origini del gruppo portandoci nel New Jersey all’inizio degli anni 50, dove regnava la mafia e i giovani italiani vivevno nel limbo della legalità mentre sognavano un futuro ricco e diverso.
I protagonisti della storia si presentano da soli, parlando direttamente allo spettatore. Così conosciamo nell’ordine il bullo carismatico Tommy De Vito(Piazza), l’ingenuo e talentuoso Frankie Valli(Young), il taciturno Nick Massi (Lomenda), il creativo e serio Bob Gaudio(Bergen).
Frankie ha una voce meravigliosa così la famiglia e il quartiere lo proteggono e lo spingono a credere nel suo talento. La mafia stessa nelle vesti del boss Angelo De Carlo (Walken) crede in lui.
I quattro ragazzi cosi diversi tra loro, ma uniti da una forte amicizia, formano un gruppo e grazie anche all’intuizione di un giovane Joe Pesci(Russo)nelle vesti di un eccentrico manager in poco tempo riescono a scalare le classifiche del Paese. Il film alterna le vicende private e pubbliche dei protagonisti e come nonostante il successo e popolarità ben presto arriveranno i problemi a rovinare l’armonia del gruppo. Dopo dieci anni di successi il gruppo si divide per motivi di soldi e dissapori dopo una drammatica riunione a casa del boss Di Carlo.
Rimasti soli Frankie e Gaudio, i più equilibrati e talentuosi del gruppo, uniranno le forze per continuare il sogno musicale. Frankie sarà costretto ad affrontare difficili e drammatiche vicende personali, ma la musica resterà comunque un saldo rifugio. All’inizio degli anni 90 il gruppo si riunirà ancora una volta per ricevere un’importante riconoscimento musicale.
Il film è nel complesso godibile e piacevole. Pur essendo una storia vera, Clint Eastwood riesce comunque a dare al racconto un buon ritmo non facendo mai abbassare la soglia dell’attenzione allo spettatore nelle oltre due ore di proiezione. La sceneggiatura è semplice, ben scritta e lineare. I dialoghi sono ben costruiti e interpretati, anche se forse un po’ retorici e scontati. La musica è ovviamente l’assoluta protagonista del film, scandendo i tempi della narrazione con le sue ballate e canzoni. Lo spettatore non può far a meno d’essere coinvolto dai suoni e dalla parole che ascolta. I protagonisti, seppure sconosciuti, sono bravi e intensi. Sono credibili e soprattutto riescono a dare spessore e umanità ai loro personaggi, senza essere eccessivamente macchiettistici e caricaturali nel raccontare gli italiani d’america, come spesso è accaduto in altri film Come sempre adeguata e degna di menzione l’interpretazione di Christopher Walken.
Il limite del film , probabilmente, è la sua stessa storia. Una storia e sogno tipicamente americano potrebbe risultare poco attraente per il pubblico italiano, non facendo scattare la simbiosi e di conseguenza il quid emotivo. Il finale anche se molto auto celebrativo e retorico,diverte e piace perché in linea con lo spirito del film.
“Jersey boys” merita d’essere visto sicuramente dagli amanti della musica e anche da chi ne capisce poco o nulla. Entrambi alla fine dello spettacolo, non potranno non fischiettare e danzare allegramente con i titoli di coda.
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vanessa zarastro
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martedì 1 luglio 2014
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rock & mafia
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Clint Eastwwod è sempre stato un appassionato di musica (basti ricordare “Bird” il film su Charlie Parker) e abbastanza vecchio da ricordare bene gli anni ’50 e ’60. Descrive, quindi, molto bene l’ascesa di Frankie Valli e del gruppo Four Seasons verso i successi nel rock. I soliti mafiosi italiani sono la giusta cornice del quartiere vicino a Newark nel New Jersey, dove Frankie (un eccezionale John Lloyd Young) è nato e cresciuto. Descritti con dovizia di particolari, ambiente e musica divertono e appassionano per un’ora intera. Peccato che il film ne duri più di due; la parte di crisi del quartetto con impicci, furtarelli e imbrogli di Tommy non riesce a interessare lo spettatore.
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Clint Eastwwod è sempre stato un appassionato di musica (basti ricordare “Bird” il film su Charlie Parker) e abbastanza vecchio da ricordare bene gli anni ’50 e ’60. Descrive, quindi, molto bene l’ascesa di Frankie Valli e del gruppo Four Seasons verso i successi nel rock. I soliti mafiosi italiani sono la giusta cornice del quartiere vicino a Newark nel New Jersey, dove Frankie (un eccezionale John Lloyd Young) è nato e cresciuto. Descritti con dovizia di particolari, ambiente e musica divertono e appassionano per un’ora intera. Peccato che il film ne duri più di due; la parte di crisi del quartetto con impicci, furtarelli e imbrogli di Tommy non riesce a interessare lo spettatore. La trasposizione cinematografica del musical di Broadway avrebbe meritato forse qualche piccola revisione della sceneggiatura. Lo stesso dialogare con il pubblico da parte degli attori – che va tanto di moda anche nelle serie TV statunitensi– non riesce a essere avvincente. La vita privata di Frankie si sovrappone e frammenta con la sua storia pubblica senza trovare armonia. Insomma non uno dei migliori film di Eastwood ma bravo a essersi cimentato in un nuovo genere.
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rubio93
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mercoledì 9 luglio 2014
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un musical dalle quattro stagioni
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Non è la prima volta che Clint Eastwood si muove all’interno dell’ambito musicale. Creatore di alcune colonne sonore, ha sempre avuto una passione per la musica. Ma è la prima volta che ci propone un film con questo stile.
Trasposizione cinematografica dello spettacolo di Broadway dedicato alla parabola del gruppo rock degli anni 60, i Four Seasons, il film affronta con un certo tatto e una buona sensibilità nei confronti dei protagonisti tutte le fasi di questo gruppo musicale: esordio, successo, declino, ma anche una rinascita.
Questi quattro giovani del New Jersey, che vivono alla giornata, facendo commissioni anche per il boss di quartiere, Gyp De Carlo, interpretato da Christopher Walken , sono decisi a scalare i gradini del mondo musicale.
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Non è la prima volta che Clint Eastwood si muove all’interno dell’ambito musicale. Creatore di alcune colonne sonore, ha sempre avuto una passione per la musica. Ma è la prima volta che ci propone un film con questo stile.
Trasposizione cinematografica dello spettacolo di Broadway dedicato alla parabola del gruppo rock degli anni 60, i Four Seasons, il film affronta con un certo tatto e una buona sensibilità nei confronti dei protagonisti tutte le fasi di questo gruppo musicale: esordio, successo, declino, ma anche una rinascita.
Questi quattro giovani del New Jersey, che vivono alla giornata, facendo commissioni anche per il boss di quartiere, Gyp De Carlo, interpretato da Christopher Walken , sono decisi a scalare i gradini del mondo musicale. Il loro asso nella manica è Frankie Valli, la voce angelo, il cui talento è riconosciuto anche dallo stesso boss mafioso. Ebbero un notevole successo - anticipando di pochissimo l’entrata in scena di Elvis Presley - proponendo una sorta di rock melodico e corale. Come tanti dei gruppi musicali anche questo non ebbe lunga vita. Jersey Boys ci mostra i vari momenti del declino, dovuti anche all’avidità e all’egoismo. Li affronta in maniera molto umana, cercando di far comprendere l’importanza del gruppo e del suo significato, ovvero della musica come ragione di vita, attraverso un percorso di maturazione non soltanto collettivo, ma anche singolare; a ciascun membro del gruppo è concesso una sorta di momento confessione di fronte la telecamera, dove esprimono i loro sentimenti e le loro opinioni. Questi momenti ci mostrano quanto sia difficile a volte per un gruppo musicale rimanere unito, scosso dalle profonde divergenze tra i vari membri, uniti solo dalla musica e dal successo.
Dunque la storia di un gruppo musicale che deve combattere non solo con le proprie divergenze interne, ma anche con un evolversi dei tempi sempre più rapido.
Una vicenda sicuramente interessante, un omaggio ad un periodo musicale che ancora non è comunque tramontato. Inoltre, ottima trasposizione dell’ambiente in cui vissero i personaggi, quello delle comunità italo-americane, con le piccole organizzazioni mafiose, incarnate in questo caso dal grandissimo attore Christopher Walken.
In definitiva consigliato a tutti i fan di Eastwood, ma anche a coloro che amano la musica di ogni genere. Un film che non vi tenterà dall’alzarvi dalla poltrona.
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ace87
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lunedì 23 giugno 2014
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lunga vita a clint
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Quattro ragazzi sotto un lampione, un sound innovativo, originale, giusto: l’inizio di uno dei più grandi successi musicali d’America di sempre, direttamente dallo stato più “Italian Style” qual’era all’epoca degli anni ’60 il New Jersey. Frankie Valli, nelle grazie del maggior boss Gyp De Carlo, con la sua voce definita incantevole e con Nick, Bobby e Tommy, darà vita a questo fenomeno per vederlo appunto nascere, crescere e tramontare, in primissima persona. Tutte le difficoltà, gli ostacoli, gli inevitabili scontri interni, porteranno comunque i Four Seasons sino alla Hall of Fame del Rock a stelle e strisce.
Clint Eastwood più invecchia e più migliora, questo il primo pensiero fuori dalla sala.
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Quattro ragazzi sotto un lampione, un sound innovativo, originale, giusto: l’inizio di uno dei più grandi successi musicali d’America di sempre, direttamente dallo stato più “Italian Style” qual’era all’epoca degli anni ’60 il New Jersey. Frankie Valli, nelle grazie del maggior boss Gyp De Carlo, con la sua voce definita incantevole e con Nick, Bobby e Tommy, darà vita a questo fenomeno per vederlo appunto nascere, crescere e tramontare, in primissima persona. Tutte le difficoltà, gli ostacoli, gli inevitabili scontri interni, porteranno comunque i Four Seasons sino alla Hall of Fame del Rock a stelle e strisce.
Clint Eastwood più invecchia e più migliora, questo il primo pensiero fuori dalla sala. Più passa il tempo, più il suo cinema si autentica, si arricchisce, si definisce e si completa: che ciò accada anche oggi sulla soglia degli 84 anni, e soprattutto il modo in cui accade, riesce ogni volta a far commuovere, riflettere, pensare, ed infine applaudire. Succede a me, nello specifico, ma il vedere la maggior parte delle poche persone in sala reagire nel modo appena descritto, mi bagna di speranza. La speranza che questo vecchio cowboy dal cuore d’oro non la smetta mai, che tutto quel ritmo e quella passione che risuonano e si riproiettano sul grande schermo ogni volta, continuino a farlo ancora per molto tempo. Jersey Boys è molto più di un musical, ma proprio così come gli ultimi lavori erano molto più che film, a mio modo di vedere… E questo non mi sorprende, e dovrebbe chiudere ancor prima di aprire la questione sul genere del lungometraggio.
La prima trasposizione cinematografica del successo di Broadway proviene dunque da un autore che ha sempre fatto della musica un elemento cardine della propria carriera e della propria vita: e sui titoli di coda, ti esplode qualcosa dentro che stavolta fa ballare; ma lo fa così, con la leggerezza dei finali col bacio di Hereafter, col monito di Invictus, con l’avvertimento di J. Edgar, con la dissolvenza di Milion Dollar Baby, col gesto di Mystic River, con la speranza di Changeling, con la resa dei conti di Gran Torino… E’ la leggerezza tipica dei grandi ed inarrivabili registi.
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