rmarci 05
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lunedì 10 giugno 2019
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una storia di crescita intima ma prolissa
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Pianista, esperto ed appassionato di musica, Clint Eastwood racconta, senza particolari toni nostalgici, la travagliata quanto complessa evoluzione del gruppo musicale dei Four Seasons, di grande successo negli anni '60. Ma come spesso succede nei suoi film biografici, il regista non è interessato tanto all'aspetto musicale, ma si concentra maggiormente sulla vita privata dei protagonisti, quattro ragazzi vissuti nei modesti quartieri italoamericani e cresciuti grazie alla malavita organizzata. La narrazione parte proprio da questo punto, evidenziando poi il percorso di crescita da ragazzi ad adulti più consapevoli e responsabili, ma costantemente fragili ed incapaci di gestirsi tra carriera costellata di successi e sofferente vita privata.
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Pianista, esperto ed appassionato di musica, Clint Eastwood racconta, senza particolari toni nostalgici, la travagliata quanto complessa evoluzione del gruppo musicale dei Four Seasons, di grande successo negli anni '60. Ma come spesso succede nei suoi film biografici, il regista non è interessato tanto all'aspetto musicale, ma si concentra maggiormente sulla vita privata dei protagonisti, quattro ragazzi vissuti nei modesti quartieri italoamericani e cresciuti grazie alla malavita organizzata. La narrazione parte proprio da questo punto, evidenziando poi il percorso di crescita da ragazzi ad adulti più consapevoli e responsabili, ma costantemente fragili ed incapaci di gestirsi tra carriera costellata di successi e sofferente vita privata. Il film mostra perfettamente tutte le incomprensioni e i rapporti tra i Jersey Boys, grazie ad una perfetta caratterizzazione dei personaggi e grazie a delle interpretazioni convincenti da parte di tutti gli attori, incluso C. Walken. Peccato per lo svolgimento prolisso e non sempre coinvolgente della storia, rinvigorita a tratti dalla fotografia vivace di T. Stern. Lo stile con cui è raccontata la vita qutidiana nella Little Italy ricorda, solo per certi aspetti, il realismo di Scorsese. 3.5 stelle su 5.
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dandy
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giovedì 25 aprile 2019
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professionale.
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Sceneggiata dagli autori dell'omonimo spettacolo di Broadway,la storia di uno del gruppo pop autori di alcune delle hit anni '50-'60 più famose di sempre.Il film non aggiunge nulla di nuovo e rispetta rigorosamente gli stereotipi del genere:amicizie,spacconate,umorismo e sentimentalismi,spettacolo,illusioni,conflitti,tragedie,riconciliazioni,ecc...Ma Eastwood(co-produttore con Valli e Gaudio)come sempre sa appassionare e confeziona con la consueta gran classe.Ottimo il cast,che nelle scene dei concerti esegue personalmente le canzoni.Walken gigioneggia nel ruolo del mafioso.Episodio di Joe Pesci a parte,in generale aleggia un pò un'aria da Scorsese(i punti in cui Piazza si rivolge allo spettatore).
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Sceneggiata dagli autori dell'omonimo spettacolo di Broadway,la storia di uno del gruppo pop autori di alcune delle hit anni '50-'60 più famose di sempre.Il film non aggiunge nulla di nuovo e rispetta rigorosamente gli stereotipi del genere:amicizie,spacconate,umorismo e sentimentalismi,spettacolo,illusioni,conflitti,tragedie,riconciliazioni,ecc...Ma Eastwood(co-produttore con Valli e Gaudio)come sempre sa appassionare e confeziona con la consueta gran classe.Ottimo il cast,che nelle scene dei concerti esegue personalmente le canzoni.Walken gigioneggia nel ruolo del mafioso.Episodio di Joe Pesci a parte,in generale aleggia un pò un'aria da Scorsese(i punti in cui Piazza si rivolge allo spettatore).Un bel film che non scontenterà chi ama le biografie sulla vita degli artisti del passato.
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giovedì 15 novembre 2018
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italiano
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capisco tutto, ma perché non usa mai la parola italiana "sceneggiatura"?
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great steven
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lunedì 26 settembre 2016
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il new jersey trionfa grazie ai four seasons!
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JERSEY BOYS (USA, 2014) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da JOHN LLOYD YOUNG, ERICH BERGEN, MICHAEL LOMENDA, VINCENT PIAZZA, CHRISTOPHER WALKEN
Storia dei Four Seasons, gruppo pop rock fondato nel 1951 e attivo fino alla metà degli anni ’60, formato inizialmente dal chitarrista e manager della band Tommy DeVito, dal giovane cantante dalla voce effeminata e angelica Frankie Castelluccio (poi mutato in Valli) e dal bassista Nick Massi, organico completato successivamente dall’ingresso del compositore e tastierista Bobby Gaudio. Il film racconta la fantastica parabola della loro unica carriera, entrando dettagliatamente nella vita privata e lavorativa di ognuno dei membri: Tommy, musicista egocentrico e individuo impulsivo con sardoniche pretese da businessman, si autoproclama leader del complesso e lo farà barcamenare tra tremende difficoltà finanziarie, anche a causa del suo amore sconfinato per i festini negli appartamenti e della sua voglia di boicottare le decisioni dei proprietari delle case discografiche; Frankie, il più giovane del gruppo, ragazzo inizialmente timido e imbranato ma in seguito sinceramente impegnato, si sposa con una donna più grande di lui, ha una figlia, Francine, che muore in modo tanto tragico quanto inatteso e una passione sfrenata per i demo che, prima che la band sfondi sul serio, propone con insistenza alle majors; Nick, sentendosi l’ultima ruota del carro, ad un certo punto ascolta la voce della sua coscienza e pianta in asso i colleghi, dedicandosi anima e corpo alla famiglia; Bobby, verginello col pallino delle canzoni scritte per l’organo, si incarica di comporre per il gruppo i successi che li consegneranno alla storia della musica oltreoceano, passando per l’incomprensione degli stessi colleghi e la diffidenza sadica delle etichette.
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JERSEY BOYS (USA, 2014) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da JOHN LLOYD YOUNG, ERICH BERGEN, MICHAEL LOMENDA, VINCENT PIAZZA, CHRISTOPHER WALKEN
Storia dei Four Seasons, gruppo pop rock fondato nel 1951 e attivo fino alla metà degli anni ’60, formato inizialmente dal chitarrista e manager della band Tommy DeVito, dal giovane cantante dalla voce effeminata e angelica Frankie Castelluccio (poi mutato in Valli) e dal bassista Nick Massi, organico completato successivamente dall’ingresso del compositore e tastierista Bobby Gaudio. Il film racconta la fantastica parabola della loro unica carriera, entrando dettagliatamente nella vita privata e lavorativa di ognuno dei membri: Tommy, musicista egocentrico e individuo impulsivo con sardoniche pretese da businessman, si autoproclama leader del complesso e lo farà barcamenare tra tremende difficoltà finanziarie, anche a causa del suo amore sconfinato per i festini negli appartamenti e della sua voglia di boicottare le decisioni dei proprietari delle case discografiche; Frankie, il più giovane del gruppo, ragazzo inizialmente timido e imbranato ma in seguito sinceramente impegnato, si sposa con una donna più grande di lui, ha una figlia, Francine, che muore in modo tanto tragico quanto inatteso e una passione sfrenata per i demo che, prima che la band sfondi sul serio, propone con insistenza alle majors; Nick, sentendosi l’ultima ruota del carro, ad un certo punto ascolta la voce della sua coscienza e pianta in asso i colleghi, dedicandosi anima e corpo alla famiglia; Bobby, verginello col pallino delle canzoni scritte per l’organo, si incarica di comporre per il gruppo i successi che li consegneranno alla storia della musica oltreoceano, passando per l’incomprensione degli stessi colleghi e la diffidenza sadica delle etichette. A far da collante e mentore fra i quattro è il gangster italoamericano Gyp De Carlo (un Walken straordinario, ma troppo ridimensionato nella parte centrale del film), che li aiuta nei momenti difficili e si preoccupa di finanziare le loro imprese quando non hanno altri appigli cui aggrapparsi. Tanti altri personaggi popolano la stupefacente vicenda (tratta da una storia vera) dell’ascesa dapprima tribolata, ma poi inarrestabile, dei Four Seasons, fino alla definitiva consacrazione, nel 1990, con l’ammissione nella Rock and Roll Hall of Fame, dopo un quarto di secolo di inattività artistica, perché il complesso era stato sciolto. Meravigliose canzoni costellano una colonna sonora di prim’ordine e assolutamente insostituibile, tutte greatest hits dei Four Seasons reali: "Sherry", "Big Girls Don’t Cry", "Walk Like a Man", "Dawn", "Rag Doll" e "Bye Bye Baby". A tutti gli effetti il film appartiene a Eastwood, ma non sembra girato da lui (!): per la psichedelica del montaggio e la pluricromatica varietà delle immagini, potrebbe averlo diretto Burton; per il desiderio insopprimibile di rispolverare con gloria un’epopea del passato e farla rivivere attraverso pregiate immagini audiovisive, lo si potrebbe attribuire a Spielberg; o ancora, per la creatività dell’intreccio, la cura maniacale della messinscena e l’enorme importanza riservata alla dovizia scenografica, potrebbe addirittura appartenere a Polanski. Eastwood, ciononostante, ci mette la farina del suo sacco puntando su una sceneggiatura strabiliante perché, malgrado sia fin troppo densa di dialoghi, verte sullo stratagemma del camera look (ovvero, il metodo che utilizzano la maggior parte degli attori rivolgendosi direttamente al pubblico quanto recitano) ed evita abilmente la verbosità intervallando i discorsi con le musiche e le pause riflessive nella trama e calibrando il tiro dell’elogio senza farne un panegirico né un’agiografia, ma trasformando un’importantissima e gustosa occasione in un bellissimo omaggio carico di pathos, ironia, sarcasmo, tenerezza, antichi fasti, magnificenza, delizia e simpatia. I quattro protagonisti beneficiano di un copione che bilancia con una perfezione cronometrica i rispettivi spazi e, di loro, ci impiegano una recitazione che pare provenire dalle profondità dell’anima, per come esce fuori dallo schermo con la ricchezza di espressività e sensazioni forti. Per la sua eccellente particolarità, Jersey Boys è un biopic adattabile anche alla storia di altri gruppi rock che han fatto la storia, come i Beatles, i Rolling Stones, i Led Zeppelin o i Queen: la sua plasticità proteiforme mette insieme i contributi artistici con quelli tecnici con una professionalità talmente sapiente che finisce per consegnare agli spettatori un prodotto fine, mai noioso né volgare e adeguato sia come musical che come dramma corale. Pecca solamente nella ristrettezza del personaggio di Walken, come già detto (sebbene l’attore lo interpreti con la sua abituale, infallibile mistura di malignità e servilismo), nella debolezza dei personaggi femminili (non tutti realizzati benissimo) e in due o tre indugi non indispensabili nello svolgimento centrale. Consigliabilissimo per la visione in sala, e da assaporare almeno un paio di volte: molti particolari sfuggono alla prima visione, e riappropriarsene è una goduria strepitosa. È anche un esempio molto calzante di musical moderno con incorporata una trama ben delineata che s’incastra benissimo all’interno dello stesso: cosa piuttosto rara, di questi tempi, e dunque maggiormente ricercata dai cineasti di qualità.
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alessio97
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giovedì 16 aprile 2015
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come si fa a dare 2,5 stelle????
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Il film narra l'ascesa di Frankie Valli, un ragazzo del New Jersey che arriva a ottenere un successo internazionale con la sua incredibile voce. La storia è narrata dai vari membri del gruppo iniziando da Tommy Devito, passando per Bob Gaudio e finendo con Nick Massi (spoiler) che racconta la disgiunzione del gruppo. Ovviamente le canzoni molto belle e nel cast c'è anche il veterano Christopher Walken che recita la parta del boss locale.
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iuriv
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domenica 29 marzo 2015
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le mille risorse di clint.
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Clint a ottant'anni suonati non si stanca di provare cose nuove. Così riadatta per il grande schermo un musical che racconta la storia di Frankie Valli e dei suoi Four Seasons, costruendo un biopic decisamente atipico per i suoi standard.
Il film fatica a decollare, sospeso com'è tra la descrizione dell'ascesa del gruppo e la tentazione di trasformarsi nel musical dal quale il progetto è partito. La prima parte punta forte sulla musica e sul raggiungimento del successo, mettendo in mostra meccaniche già viste in un insieme poco sorprendente.
L'impressione, però, è che a Eastwood non interessi tanto questo, quanto la formazione del carattere del inizialmente giovane Frankie. Nel momento in cui classicamente la descrizione narrativa dovrebbe parlare della caduta, il regista preferisce invece tirare fuori la maturità del suo protagonista, messo alla prova da eventi non facili da accettare, ma che comunque ne denotano la forza morale.
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Clint a ottant'anni suonati non si stanca di provare cose nuove. Così riadatta per il grande schermo un musical che racconta la storia di Frankie Valli e dei suoi Four Seasons, costruendo un biopic decisamente atipico per i suoi standard.
Il film fatica a decollare, sospeso com'è tra la descrizione dell'ascesa del gruppo e la tentazione di trasformarsi nel musical dal quale il progetto è partito. La prima parte punta forte sulla musica e sul raggiungimento del successo, mettendo in mostra meccaniche già viste in un insieme poco sorprendente.
L'impressione, però, è che a Eastwood non interessi tanto questo, quanto la formazione del carattere del inizialmente giovane Frankie. Nel momento in cui classicamente la descrizione narrativa dovrebbe parlare della caduta, il regista preferisce invece tirare fuori la maturità del suo protagonista, messo alla prova da eventi non facili da accettare, ma che comunque ne denotano la forza morale.
L'anima di Valli è contesa tra le proprie radici e il pragmatismo che lo può portare in alto. Le prime sono impersonificate da Tommy, vecchio amico che lo fa esordire nel mondo della musica e che rappresenta la protezione di un quartiere che in Frankie ha riconosciuto il potenziale e che fa di tutto per difenderlo. Tommy è anche un teppista, sbruffone e poco accorto con il denaro, tutte caratteristiche che finiranno per metterlo nei guai.
Il pragmatismo è invece affidato a Bob, tastierista e compositore della band, uomo che non ama mettere radici, ma che, grazie al talento e alla cultura del lavoro, porta possibilità concrete al gruppo, propiziandone l'ascesa nell'olimpo della musica anni sessanta. Per altro Clint pare ritrovarsi in questa figura, concedendole il lusso di guardare un suo piccolo cameo e facendole dichiarare alla fine del film qualcosa che suona come autobiografico.
Si perché di dichiarazioni i personaggi ne fanno tante. Al posto delle transizioni, infatti, Clint opta per sfondare la quarta parete lasciando che i componenti del gruppo interagiscano a turno con il pubblico. Non sempre questo stratagemma funziona (vero Underwood?), tuttavia qui questi inserimenti sembrano ben calibrati e non spostano lo spettatore al di fuori dalla storia.
Con una regia pulita, ma non priva di alcuni spunti interessanti (compreso il mini musical finale, messo li quasi a dimostrare che se Clint vuole può), Eastwood dirige un cast di giovani bravi, tenuti insieme dalla chioccia Walken. Le uniche stonature si notano in qualche scena musicale, dove il playback non sembra ben amalgamato alle immagini sullo schermo.
Con tutta probabilità questa non è l'opera migliore del regista, anche perché priva della solita grandiosità alla quale ci aveva recentemente abituato. Rimane comunque una visone piacevole che accompagna per un paio d'ore con una storia che si fa sempre più interessante man mano che trascorrono i minuti.
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puttore57
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lunedì 9 febbraio 2015
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ben fatto
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Molto ben fatto. Piacevole da vedere, ti prende e non ti fa annoiare. da vedere.
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rampante
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sabato 3 gennaio 2015
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new jersey
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Clint Eastwood racconta l'ascesa e caduta di un gruppo di ragazzi italoamericani che negli anni 60 seppe conquistare cuori e classifiche.
Francesco Stephen Castellucci cresce nel quartiere malavitoso New Jersey, fa il garzone di barbiere ed è dotato di una bellissima voce,
il suo amico Tommy è un piccolo delinquente aspirante mafioso ma anche un buon chitarrista.
Per uscire dal quartiere dove vivono ci sono solo tre modi: entrare nell'esercito, diventare mafioso o diventare famoso.
Il film ci racconta como il quartetto diventa celebre e poi si sfalda tra musica, brillantina, cabrio e bella vita.
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claudiofedele93
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domenica 23 novembre 2014
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sherry, oh, sherry baby!
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Quando capisci di possedere un talento naturale capisci che bene o male il tuo destino è già segnato. Clint Eastwood a ottantaquattro anni è ancor oggi un regista capace di saper tener in mano una macchina da presa e girare film di qualità senza lasciar indietro nulla del suo stile registico, così semplice e raffinato in grado di far entrare con naturalezza ogni spettatore in una qualunque storia questi s’appresti a raccontare sul grande schermo.
Jersey Boys, che riprende in parte i componenti contenutistici dell’omonimo musical di Broadway di successo con non a caso anche in quella produzione il giovane John Lloyd Young nel ruolo di Frankie Valli, interpretazione che gli ha cambiato letteralmente la vita mettendolo sotto le luci della ribalta tra i giovani attori, è una pellicola che serve a testimoniare ancora una volta la passione di Eastwood non solo per la settima arte, ma anche e sopratutto per la musica.
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Quando capisci di possedere un talento naturale capisci che bene o male il tuo destino è già segnato. Clint Eastwood a ottantaquattro anni è ancor oggi un regista capace di saper tener in mano una macchina da presa e girare film di qualità senza lasciar indietro nulla del suo stile registico, così semplice e raffinato in grado di far entrare con naturalezza ogni spettatore in una qualunque storia questi s’appresti a raccontare sul grande schermo.
Jersey Boys, che riprende in parte i componenti contenutistici dell’omonimo musical di Broadway di successo con non a caso anche in quella produzione il giovane John Lloyd Young nel ruolo di Frankie Valli, interpretazione che gli ha cambiato letteralmente la vita mettendolo sotto le luci della ribalta tra i giovani attori, è una pellicola che serve a testimoniare ancora una volta la passione di Eastwood non solo per la settima arte, ma anche e sopratutto per la musica. Già calato nel ruolo di compositore per molti suoi film, oltre che di attore, il pupillo di Sergio Leone firma un prodotto che verte principalmente sulla storia dei Four Season, un gruppo di ragazzi nati e cresciuti nella parte sbagliata del New Jersey, nel quale inserisce tutta la sua eleganza ed il suo stile, conferendo all’opera una cura ed una precisione innata non solo tecnicamente, ma anche esteticamente complice una fotografia ed una ricostruzione scenografica da manuale.
Quando, infatti, ci si trova ad adattare una biografia sul grande schermo il rischio che questa dopo un po’ diventi noiosa è sempre, costantemente, presente; bisogna fare i conti con i momenti più interessanti, carichi di pathos e le sequenze meno dinamiche, che alternano i successi ed i fallimenti di un uomo o una donna. I Ragazzi del Jersey però godono di un’empatia e di un’enfasi del tutto particolare che non arriva mai a toccare dei veri e propri picchi emotivi, ma aggiungendo ironia e sarcasmo riesce sempre a mantenere alta e intatta l’attenzione verso la pellicola da parte dello spettatore. Non vi era alcun motivo, di fatto, di rendere questa vicenda un qualcosa di spettacolare o barocco, anche se un po’ di storia della Musica recente è stata comunque fatta e necessitava di essere considerata con gran rispetto, bisognava però cercare di saper trattare il materiale a disposizione con una delicatezza e una genuinità che poche persone al mondo sanno cogliere e tra queste vi è giusto appunto il regista del drammatico Million Dollar Baby, dello straziante Changeling e del crudele Mystic River che centra il bersaglio anche con questo lavoro, portando alla luce un piccolo gioiello composto perfettamente e senza nemmeno un piccolo graffio di imperfezione.
Sapendo di lavorare con dei giovani attori, scommettendo su di loro per certi versi, Eastwood è riuscito a rimanere in ogni momento con i piedi per terra, non accentuando in modo eccessivo i momenti carichi di dramma né arricchendo in modo estremo le tante fasi che hanno visto i Four Season alla ribalta. Il film è un costante miscuglio di lente salite e piccole discese che rendono in modo perfetto quel che può essere la vita di un’artista oltre che del semplice uomo, che questi sia solista o componente di un gruppo, costretto a vivere un’esistenza fatta da due facce della stessa medaglia: il successo. Ogni membro della band è caratterizzato in modo convincente, studiato nel minimo particolare così da non focalizzare l’attenzione solo su Frankie, che rimane il frontman del gruppo, e i momenti in cui quest’ultimo lascerà spazio agli altri giovani cantanti della comitiva saranno molteplici. Un elemento non da poco è infatti quello di voler far dialogare i protagonisti direttamente con lo spettatore, mettendoli con lo sguardo davanti alla telecamera e facendo condividere con il pubblico i loro pensieri e paure. Un escamotage estremamente elaborato ma efficace che non solo alleggerisce la storia, dandole il giusto ritmo e atmosfera oltre ad un tocco di sano didascalismo, ma ci incanala in quegli anni ’60 tanto rumorosi e musicalmente frizzanti, una giungla melodica dove se non eri tu il cacciatore diventavi una preda o peggio ancora un nessuno.
Non vi è infatti una vera e propria denuncia fatta dal regista verso quei tempi ormai andati, sebbene non si risparmi a mostrare alcuni aspetti del New Jersey ove traspare il marcio e il peggio della società. Non è un caso ritrovarsi di fronte al personaggio di Christopher Walken che interpreta il mafioso Angelo De Carlo, un uomo messo a capo della malavita che vive in una casa di lusso, elemento chiave per capire al meglio il luogo ed il tempo dove il gruppo si è formato e cresciuto. Eppure, nella figura di De Carlo, non vi è un’accesa critica a quest’ultimo né una rappresentazione canonica del capo mafia in stile Il Padrino o Quei Bravi Ragazzi, questi bensì viene visto più come un “protettore” e l’idea di non rendere in apparenza terribile un uomo del genere, oltre a renderlo meno stereotipato, ci fa capire al tempo stesso quanto l’ironia abbondi tra le righe dei dialoghi e le sequenze del lungometraggio tanto da rendere un personaggio che per eccellenza dovrebbe “far paura” quasi una parodia di se stesso, ma che grazie allo straordinario talento di Walken non va mai sopra le righe e rimane costantemente credibile.
Elemento cardine, inoltre, dell’intera produzione rimane poi la musica ed i testi. Cast e Regista si sono di certo messi di buona lena nel curare non solo le canzoni, ma anche il modo migliore per metterle sul grande schermo e rappresentarle senza appesantire troppo il lungometraggio né però alleggerirlo in salsa Glee o opere affini. Con un background del genere bastava mettere in scena quelle canzoni iconiche che hanno fatto la storia della musica degli anni ’60 ed un tocco d’artista come quello di Eastwood capace di rendere perfetta ogni inquadratura e farci credere davvero, tra un’esibizione e l’altra, di essere in quei anni ad assistere ad un evento dei Four Seasons.
Chi dice che Jersey Boys sia una delle opere minori di Eastwood probabilmente non tiene conto di tutti quei fattori e particolari che fanno "eccezionale" il cinema di quest’uomo. E' vero, questa pellicola non ha la drammaticità né il pathos di molti altri suoi lavori ed è sempre costellata da una grande ironia, apparente leggerezza e dinamismo, però rimane nel complesso un prodotto perfetto sotto ogni punto di vista, tecnico ed estetico. Clint probabilmente è una di quelle persone che se non facesse il suo lavoro, se non si occupasse di Cinema, non sarebbe davvero in grado di fare altro e la riprova di quanto appena detto l'abbiamo perché oggi, alla sua età, ha una voglia matta di girare come pochi giovani registi hanno tutt’ora, capace di saper mettere in scena una pellicola girata con la tecnica e lo stile perfetto di un uomo elegante e sofisticato di altri tempi rendendola immortale, innovativa e modernissima.
Jersey Boys è un'opera essenzialmente biografica che sprizza euforia e voglia di mettersi in gioco da ogni poro, attraverso ogni inquadratura da parte di chi è inquadrato e da chi tiene in mano la telecamera pur rimanendo dei canoni del genere; è un azzardo riuscito ed una scommessa vinta anche per quel che riguarda il cast e le canzoni ancora belle ed immortali presenti nel film. A concludere il tutto rimane il genio, la sensibilità di chi ha preso le redini dell’intero progetto che mai come qui è stato tanto capace di catturare i volti di Frankie Valli e dei Four Seasons e renderli magnifici oltre che umani ed umili, la dimostrazione di un talento vivente immortale capace di realizzare uno dei cammei più belli degli ultimi anni, e solo per quel cammeo fatto con grande naturalezza a riprova del tuo infinito estro, Clint, il film acquista sulla carta qualcosa in più. In un mondo musicale fatto oggigiorno solo di talent show di spettacolo ancor prima che di musica, Jersey Boys ci ricorda quanta fatica abbiano fatto gli artisti di un tempo per uscir fuori dal loro piccolo mondo e arrivare in alto, a toccare con mano il successo che li ha resi immortali.
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bigpask
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lunedì 17 novembre 2014
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il migliore di eastwood
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Questo film è un capolavoro e non c'è bisogno di spiegare il perché, se non lo avete capito: riguardatelo!
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