Uomini di Dio |
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Un film di Xavier Beauvois.
Con Lambert Wilson, Michael Lonsdale, Olivier Rabourdin, Philippe Laudenbach, Jacques Herlin.
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Titolo originale Des hommes et des dieux.
Drammatico,
durata 120 min.
- Francia 2010.
- Lucky Red
uscita venerdì 22 ottobre 2010.
MYMONETRO
Uomini di Dio
valutazione media:
3,35
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Perfettamente imperfetti: uominidi francesca meneghettiFeedback: 7486 | altri commenti e recensioni di francesca meneghetti |
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domenica 7 novembre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“Uomini di Dio” è la versione italiana di un titolo che includeva nella pluralità anche il divino “Des hommes et de Dieu”). Il film, Gran premio della giuria di Cannes ,ha avuto un sorprendente successo di pubblico nonostante il titolo, l’argomento, la lunghezza, i ritmi narrativi che non sono certo agili. Si può forse partire da qui: dal fatto che il film ha risposto ad una serie di bisogni profondi (di silenzio, di riflessione, spiritualità e, soprattutto, di umanità , tolleranza, coerenza morale) che caratterizzano buona parte del pubblico, forse perché tali bisogni sono sistematicamente calpestati dal Potere. Il messaggio del fim è forte: ricorda per certi versi il percorso descritto da Platone nel Fedone, il dialogo che racconta la morte di Socrate. E merita perciò il massimo rispetto, tanto più per il fatto che il regista lavora molto sulla psicologia dei personaggi, su tutto ciò che li rende umani, benché “uomini di Dio”: cioè perfettamente imperfetti (i dubbi, le paure, le fragilità, la tentazione del tradimento). Notevoli, a questo riguardo, certe riprese dei volti, soprattutto degli sguardi, a scrutarne i pensieri, che ricordano l’intimismo di Bergman. Ugualmente è interessante aver trattato il tema del terrorismo islamico rifiutando la tentazione delle tinte forti: anzi, i colori si smorzano del tutto nella bellissima scena finale che non racconta la fine, ma vi allude con la tecnica dello sfumato portata all’estremo. E’ forse l’unica scena – assieme all’ultima cena, accompagnata dalla musica del Lago dei cigni (presagio di morte) e da vino rosso - che si sottrae alla scelta del realismo nel racconto della vita quotidiana perseguita dal regista. Grande l’interpretazione di Wilson Lambert, il leader dei monaci, con il fisico e il viso ascetici e adatti al ruolo, ma anche di Michael Lonsdale, il medico, un bellissimo mix di positivismo e spiritualità, e di Jacques Herlin, il più fragile e vecchio dei monaci, che grazie ad un potente istinto di vita, a volte più forte proprio nei vegliardi, riesce a sottrarsi al destino comune. E tuttavia mi permetto di sottolineare alcuni nei. Il primo riguarda i rituali religiosi. Comprensibili naturalmente come elemento caratterizzante la vita quotidiana di un convento. Necessari, per certi aspetti (vedi i cori), per individuare le radici della forza e dell’unione dei monaci. Ma nell’economia generale del film un po’ troppo invasivi e causa di ritmi a volte lenti. Anche Rossellini, in Paisà, ricreava la calma e la serenità di un monastero sull’Appennino, ma era una pausa all’interno di una cornice più ampia. Il secondo, i colori e le luci degli spazi chiusi. Il realismo ci sta nell’oscurità rischiarata da una candela, ma i toni freddi sembrano in contrasto con il calore umano. Infine un paio di considerazioni da agnostica. La prima: è possibile che un messaggio eticamente forte debba venire ancora oggi solo da una proposta religiosa? La seconda: poiché i monaci sono consapevoli che molte forme di fanatismo vengono da aberranti interpretazioni di una religione è possibile che, tra le motivazioni meno consapevoli della loro scelta, ci sia anche quella di espiare con un sacrificio le violenze prodotte in passato dal cristianesimo?
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