Il cinema dei "gaundri" (Giuseppe M. Gaudino e Isabella Sandri) è una esperienza antropologica moderna: dell'esperienza il loro cinema ha la connotazione filosoficamente soggettiva e passionale; dell'antropologia la condivisione di alcuni temi fondanti, come per esempio il lavoro sul campo d'indagine e l'osservazione partecipante.
Tutto questo è ben visibile nel loro ultimo lavoro, "Per Questi Stretti Morire", viaggio immaginario e immaginifico alla ricerca delle tracce di uno straordinario personaggio, il prete salesiano Alberto Maria DeAgostini, vissuto nei primi del Secolo come una specie di esiliato antropologo, oltre che missionario ed esploratore, in Cile (Patagonia, Terra del Fuoco etc.
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Il cinema dei "gaundri" (Giuseppe M. Gaudino e Isabella Sandri) è una esperienza antropologica moderna: dell'esperienza il loro cinema ha la connotazione filosoficamente soggettiva e passionale; dell'antropologia la condivisione di alcuni temi fondanti, come per esempio il lavoro sul campo d'indagine e l'osservazione partecipante.
Tutto questo è ben visibile nel loro ultimo lavoro, "Per Questi Stretti Morire", viaggio immaginario e immaginifico alla ricerca delle tracce di uno straordinario personaggio, il prete salesiano Alberto Maria DeAgostini, vissuto nei primi del Secolo come una specie di esiliato antropologo, oltre che missionario ed esploratore, in Cile (Patagonia, Terra del Fuoco etc.)
La ricerca dei due autori parte da una "fallacia" di fondo: la memoria storica delle gesta e dell'opera del salesiano (fratello, tra l'altro, del celebre creatore dell'Istituto Geografico DeAgostini): sappiamo poco su di lui qui e pochi sanno collocare storicamente, cioè con precisione ferrea, la sua presenza in Cile e la sua opera. E' da questa considerazione, quindi, che gli autori costruiscono un film polifonico, tra documentario, teatralità e sperimentalismi: la ricerca dei luoghi della vita e della memoria dell'uomo (p.es. dal Cile al Museo della Montagna di Torino); la messa in scena dei dialogo tra due studiosi immaginari che cercano di ricostruire il "puzzle" delle azioni di DeAgostini prete (una ricerca volta fatalmente allo scacco, cioè all'incompiuto); una estetica capace di scompaginare la sintassi narrativa e disturbare il canone documentaristico. In tutto questo poi non c'è nessun attore a mettere in scena il "personaggio" DeAgostini. Lui rimane una figura, silente, sullo "sfondo", che appare e scompare in modo spiazzante - in momenti di lirismo capaci di vivere di vita propria rispetto al film - nei luoghi che ebbe più cari, come p.es. i paesaggi andini, in minuti che esprimono bene l'isolamento misto a felicità e paura dell'uomo, con una efficacia difficilmente comparabile.
Documentario, teatralità e sperimentalismi sono quindi tre livelli del film che fungono come strati sovrapposti di una unica ideale pittura audio-visiva, legati dalla necessità non di narrare un ipotetico racconto, quanto piuttosto di comporre un ritratto capace di essere al tempo stesso opera di fantasia ma anche specchio dell'anima dell'uomo DeAgostini.
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