Il profeta |
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Un film di Jacques Audiard.
Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi.
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Titolo originale Un prophète.
Drammatico,
durata 150 min.
- Francia, Italia 2009.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 19 marzo 2010.
MYMONETRO
Il profeta
valutazione media:
3,63
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La dura storia di Malik da vittima a carnefice
di Paolo D'Agostini La Repubblica
Davvero notevole Il profeta. Come Gomorra sconsigliato agli animi sensibili. Come il film di Garrone - spostata l' attenzione dalla camorra alla condizione carceraria e all' immigrazione araba - non risparmia sulle efferatezze. Ma il punto, il pregio, è nel come il film rappresenta questo universo perduto. Il suo sguardo, che è lo sguardo del suo protagonista. Il ragazzo Malik. Soggetto privo di morale, quindi sguardo e film privi di giudizi morali. Che evitano e aggirano con originale imprevedibilità ogni stereotipo narrativo. Sta a noi trarre le conclusioni. Senza spiegazioni conosciamo questo Malik al suo ingresso in carcere. Non sappiamo che cosa abbia fatto. Piuttosto il suo destino ci appare segnato. Il panorama sociale e culturale, il deserto affettivo da cui proviene, hanno deciso la sua sorte. È analfabeta, inconsapevole, istintivamente formato alla scuola della sopraffazione e della diffidenza, alla legge dell' astuzia e del più forte, in un certo senso è un innocente. Una vittima. Che però impara in fretta. Anche a leggere e scrivere. In fretta trae profitto, capisce che per sopravvivere deve farsi lupo, da vittima carnefice. E sa applicare la lezione con prudenza, pazienza, furbizia. Sa apprendere e prendere, sopportare e aspettare. Appena dietro le sbarre, identificato (ingannevolmente) come anello debole e condizionabile della catena, viene cooptato e sottomesso dallo spietato gangster a capo della banda dei corsi, la più potente della prigione. Si dimostra disposto a tutto. Anche ai servizi più umili e umilianti, che lo rendono infame agli occhi degli altri arabi, musulmani. Fino a diventare uomo di fiducia (uomo di sfiducia, in realtà) del boss. Che gli affida incarichi sempre più importanti, dopo la prova decisiva: il feroce quanto impassibile omicidio di un rivale dentro il carcere. Non importa se d' ora in poi Malik sarà perseguitato dagli incubi, riesce a controllare anche quelli. E, quando l' oculata amministrazione della buona condotta gli consentirà di ottenere il permessoa uscire per lavorare, Malik si vedrà affidata la delega a trattare il traffico di droga. È arrivato il momento di uscire allo scoperto, di ribaltare i rapporti di forza, di tradire con la stessa determinata e metodica capacità di non fermarsi davanti a niente. Il business in proprio è ovviamente imperdonabile eppure Malik, benché senza alleati e solo come un conte di Montecristo vendicativoe spietato, saprà metterea frutto l' apprendimento della regola unica - farsi temere - e ridurrà l' ex padrone a schiavo. Quando vedremo Malik, finita la pena, uscire e andarsene senza amici, non ci chiederemo se per caso è diventato un altro, redento e pronto a voltare pagina. È lo stesso ma più duro dell' inizio, sa che non c' è via di mezzo tra soccombere o sopravvivere. Ecco, gelido come una lama d' acciaio, senza suggerirci nulla se non una piatta esposizione, il film lascia il sapore di un pessimismo che più cupo non potrebbe.
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