Titolo originale Un prophète.
Drammatico,
durata 150 min.
- Francia, Italia 2009.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 19marzo 2010.
MYMONETROIl profeta
valutazione media:
3,62
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Sembra che la signora Cappi veda i film in "fast forward". In nessuna scena i compagni di prigione soprannominano Malik "il profeta", la storia è un po' diversa e non sto qui a raccontarla, vale la pena di guardarsi il film, vale davvero la pena perché è una perla del cinema francese. Anche per quanto riguarda il precedente "Sulle mie labbra", non è Vincent Cassel quello che legge le labbra, è Emmanuelle Devos, la protagonista femminile. No davvero prima di scrivere recensioni deliranti, guardiamoceli davvero questi film!
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Il Profeta è uno di quei film che si rivede volentieri una seconda volta per il piacere di vederlo o per coglierne aspetti, sfumature non colte in una prima frettolosa visione.
Il crudo realismo non si ferma al puro descrittivismo dell’ambiente carcerario, peraltro filmato fin nei minimi particolari con la pignoleria per i dettagli di un pittore fiammingo, ma si tracciano profili psicologici, si narrano storie interiori, percorsi spirituali, che sfociano, come rivoli di unico grande fiume in piena, tutti nel dramma corale della tragica quotidianità della gente senza speranza.
Per molti l’inferno è dentro e fuori il carcere. L’organizzazione criminale detta le sue regole come se le sbarre non esistessero.
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Il Profeta è uno di quei film che si rivede volentieri una seconda volta per il piacere di vederlo o per coglierne aspetti, sfumature non colte in una prima frettolosa visione.
Il crudo realismo non si ferma al puro descrittivismo dell’ambiente carcerario, peraltro filmato fin nei minimi particolari con la pignoleria per i dettagli di un pittore fiammingo, ma si tracciano profili psicologici, si narrano storie interiori, percorsi spirituali, che sfociano, come rivoli di unico grande fiume in piena, tutti nel dramma corale della tragica quotidianità della gente senza speranza.
Per molti l’inferno è dentro e fuori il carcere. L’organizzazione criminale detta le sue regole come se le sbarre non esistessero. Con il danaro si compra tutto, anche la complicità dei carcerieri, con il danaro si fanno proseliti, si accresce il potere del clan e si fanno più soldi, in un sistema chiuso, un circolo virtuoso che si alimenta con la disperazione di chi non ha più nulla da perdere, nemmeno la dignità.
Lo sguardo di Audiard è cinicamente attento a quello che accade, come uno scienziato osserva le sue cavie, impietosamente le sottopone alle più dure prove. L’esperimento sociale termina e la tesi è confermata, quello che era soltanto un luogo comune si può ora affermare con sicurezza essere una verità oggettiva e dimostrata sul set laboratorio di Audiard, ovvero il carcere non redime, non migliora bensì fa l’esatto contrario, laurea a pieni voti piccoli criminali ponendogli sul capo l’alloro di boss, sempre che abbiano hanno studiato con profitto alla scuola dei cattivi maestri, che abbondano nelle patrie galere, in Francia come in Italia, come in tutto il mondo, e si siano rivelati tanto intraprendenti persino da superarli.
Ottimo il cast in cui spiccano il giovane allievo,Tahar Rahim, ed il vecchio maestro,Niels Arestrup. [-]
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Malik è un arabo della banlieue cresciuto on orfanotrofio: ha ferito un poiziotto assicurandosi 6 anni alla prigione centrale di Parigi: per uno come lui, ragazzetto senza conoscenze, significa finire sotto il giogo di chiunque: eseguendo un omicidio su commissione per conto del gruppo dei corsi, veterani del carcere, si assicura la protezione del loro boss, césar Luciani: impara il corso, il francese e l'arabo sono le sue lingue madri, sballottato a destra e a manca riesce a farsi rispettare "parlando per" il capo( da qui, pensavo, il titolo del film) e mette su un suo giro grazie all'aiuto di un compare uscito dal carcere e di un gitano...inoltre Luciani riesce a fargli ottenere un permesso di 12 ore quotidiane per un finto lavoro: piano piano malik studia e si fa colto e furbo, ribaltando la situazione con il boss.
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Malik è un arabo della banlieue cresciuto on orfanotrofio: ha ferito un poiziotto assicurandosi 6 anni alla prigione centrale di Parigi: per uno come lui, ragazzetto senza conoscenze, significa finire sotto il giogo di chiunque: eseguendo un omicidio su commissione per conto del gruppo dei corsi, veterani del carcere, si assicura la protezione del loro boss, césar Luciani: impara il corso, il francese e l'arabo sono le sue lingue madri, sballottato a destra e a manca riesce a farsi rispettare "parlando per" il capo( da qui, pensavo, il titolo del film) e mette su un suo giro grazie all'aiuto di un compare uscito dal carcere e di un gitano...inoltre Luciani riesce a fargli ottenere un permesso di 12 ore quotidiane per un finto lavoro: piano piano malik studia e si fa colto e furbo, ribaltando la situazione con il boss.
Alcune sequenze sono indimenticabili e la sceneggiatura, fluviale, è perfetta: i francesi hanno ripreso in mano le sorti del loro cinema.
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La visione del carcere che ci propina Audiard non è di certo la più rosea e forse neanche la più realistica: guardie carcerarie in balia di gang di carcerati, violenza a tutto spiano, omosessualità a gogò, omicidi impuniti, detenuti che in permesso per buona condotta (anch'esso pilotato dalle gang) compiono i crimini più disparati e pongono le basi per i traffici che poi dovranno sviluppare una volta usciti. Il film narra la storia romanzata, in una sorta di bildungsmovie, di un giovane franco-magrebino, Malik, diciannovenne, al quale, vista la maggiore età, gli tocca questa volta il "Centrale", invece del riformatorio. Cresciuto in un orfanatrofio, quasi analfabeta, senza parenti e risorse, Malik è il bocconcino ideale per il boss corso Luciani, splendidamente interpretato dal grande Niels Arestrup, che lo costringe ad uccidere un internato, Reyeb, che dovrà di lì a poco testimoniare in un processo "scomodo", a cui, peraltro, non arriverà mai.
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La visione del carcere che ci propina Audiard non è di certo la più rosea e forse neanche la più realistica: guardie carcerarie in balia di gang di carcerati, violenza a tutto spiano, omosessualità a gogò, omicidi impuniti, detenuti che in permesso per buona condotta (anch'esso pilotato dalle gang) compiono i crimini più disparati e pongono le basi per i traffici che poi dovranno sviluppare una volta usciti. Il film narra la storia romanzata, in una sorta di bildungsmovie, di un giovane franco-magrebino, Malik, diciannovenne, al quale, vista la maggiore età, gli tocca questa volta il "Centrale", invece del riformatorio. Cresciuto in un orfanatrofio, quasi analfabeta, senza parenti e risorse, Malik è il bocconcino ideale per il boss corso Luciani, splendidamente interpretato dal grande Niels Arestrup, che lo costringe ad uccidere un internato, Reyeb, che dovrà di lì a poco testimoniare in un processo "scomodo", a cui, peraltro, non arriverà mai. Per far questo Malik deve superare ogni sorta di difficoltà, prima morali, poi fisiche, imparando ad esempio a tenere in bocca una lametta da barba, facendola usciredi scatto all'occorrenza senza l'uso delle mani, per superare il rigido servizio d'ordine che attorniava il pericoloso testimone. Pur morto, Reyeb avrà poi un ruolo fondamentale per tutta la durata del film, diventerà il compagno di cella, l'amico fidato di Malik, colui che gli predisce il futuro, che gli fa vedere gli eventi prima che accadono. In una sorta di sogni ad occhi aperti, ecco che Malik vede un'azione di basket e "sa" chi segnerà il prossimo canestro, ecco che Malik, in uno dei suoi permessi, sa che la macchina in cui viaggia cozzerà da lì a poco contro un gruppo di cervi, ecco il profeta. Ma questo in fondo è marginale, rispetto alle sue qualità, che sono il vero viatico ad una carriera che lo vedrà, in sei anni, diventare lui stesso il boss. Qualità quali la capacità di ascoltare, di fare silenzio, di non rispondere mai alle provocazioni, di agire nel momento e nel modo opportuno, a volte diplomaticamente, a volte in maniera furba ed inaspettata (si pensi a come è riuscito a mettere i corsi l'uno contro l'altro, lasciando poi Luciani alla mercè degli arabi, divenuti i suoi nuovi amici).
Ottimo film che, nonostante la lunghezza, non stanca mai. Forse un pò surreale (per fortuna) la maniera in cui Malik la fa sempre franca, ma la stoffa del leader indubbiamente dimostra di averla. Assolutamente da vedere.
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Nella versione in italiano purtroppo i dialoghi in arabo non sono tradotto... se vedete il film in linguas originale sottotitolato capite perchè si chiama il profeta...
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A diciannove anni Malik entra in prigione. Non ha nulla e sembra una vittima ideale.
Il clan corso che governa la prigione si interessa a lui e gli chiede di entrare in relazione con un altro prigioniero della sua stessa etnia e di ucciderlo.
Da quel momento in poi la sua ascesa sarà inarrestabile.
Malik El Djebena ha diciannove anni. E' quasi analfabeta ed è stato condannato ad una pena detentiva di sei anni. La sua colpa non viene mai dichiarata. Forse un'aggressione a un poliziotto, di cui porta tracce sul viso esangue. Malik è un foglio bianco, e come tale capace di assorbire tutto il possibile dal suo ambiente.
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A diciannove anni Malik entra in prigione. Non ha nulla e sembra una vittima ideale.
Il clan corso che governa la prigione si interessa a lui e gli chiede di entrare in relazione con un altro prigioniero della sua stessa etnia e di ucciderlo.
Da quel momento in poi la sua ascesa sarà inarrestabile.
Malik El Djebena ha diciannove anni. E' quasi analfabeta ed è stato condannato ad una pena detentiva di sei anni. La sua colpa non viene mai dichiarata. Forse un'aggressione a un poliziotto, di cui porta tracce sul viso esangue. Malik è un foglio bianco, e come tale capace di assorbire tutto il possibile dal suo ambiente.
Ma la prigione non è certo consigliabile per quel che riguarda la crescita morale di chiunque.
Lui ha soltanto una carta da giocare al tavolo cui la sorte lo ha destinato: la sua capacità di adeguarsi. E sarà con quella che riuscirà a sopravvivere prima e a cavarsela poi. Nel mentre si trova a fare da testimone a tutto quello che può accadere a un giovane senza protezione in una prigione di vecchi delinquenti e spietati assassini. Il rito di iniziazione lo rende parte di qualcosa che, se da una parte gli salva la vita, dall'altra chiede in cambio una totale devozione e uno schiavismo senza condizioni. Lui accetta, ma lavora in silenzio al suo affrancamento.
Sempre in bilico tra corsi, francesi e musulmani vive ogni giorno raccogliendo tutto quello che gli riesce e lavorando per avere di più. Malik è l'emblema di una società che fuori dalle mura ha regole ancora più severe. E' la società in cui chi non ha nulla non vale nulla. E lui non solo si adegua, ma lavora attivamente per crearsi uno spazio e, in quello finalmente respirare liberamente.
Le scelte che si trova a fare sono impensabili e nello stesso tempo frutto dell'unica strategia possibile di sopravvivenza di un uomo che vede oltre le cose. Un profeta, appunto.
Malik ha il dono di vedere oltre le parole e oltre i fatti, e quello che vede lo renderà libero.
Anche se il prezzo pagato per quella libertà sarà il totale rovesciamento di ogni sua convinzione e ogni direttiva morale, o religiosa che egli aveva coltivato fino a quel momento.
Audiard confeziona con questo il suo film più completo. Molto si può dire di quello che capita a chi non sta alle regole della società in cui vive. Ma Audiard ci racconta senza fronzoli quello che capita a chi le regole non solo decide di rispettarle, ma le usa per affrancarsi.
Qualcuno la cui crescita morale è demandata al fantasma della sua colpa iniziale, quella che gli spalanca le porte dell'ascesa nel clan corso e del potere che ne conseguirà.
Il fantasma è un'entità morale e proiettiva. E qui proietta in primo luogo una colpa, poi un inestinguibile debito.E per questo non lo abbandonerà mai più. Sarà con lui in ogni momento in cui si troverà da solo. E gli si mostrerà senza mai proferire parola.
Tramite lui Malik potrà usare il suo potere ed evitare il destino di vittima, che portava scritto sulla faccia segnata dai primi scontri con un'autorità di cui non riconoscerà il potere.
Un'autorità senza nome che lo istiga a usarla per divenire altro. Un altro talmente diverso da non essere riconoscibile mai più. Unico segno della giovane età è nello sguardo sperduto che lancia attraverso il vetro dell'aereo che lo sta portando a Marsiglia a suggellare il suo destino di profeta. Un profeta che esce semplicemente dalle proprie catene usando ogni singola fibra del suo corpo provato e ogni cellula del cervello che instancabilmente mette al servizio solo di se stesso.
Un potente Tahar Rahim presta il volto a Malik e compie l'alchimia che sola può spiegare la coesistenza nello stesso sguardo di un bambino e di un assassino. Il suo mentore è uno stropicciato Niels Arestrup le cui pieghe dello sguardo ne fanno il più temibile tra gli assassini, quello che non ne compie mai nessuno perchè è abituato solo a ordinarli.
L'atmosfera è pesante e indimenticabile, mentre la regia trascina lo spettatore senza difese di fronte a tutto quello che solitamente rimuoviamo dalla società. [-]
[+] lascia un commento a andyflash77 »[ - ] lascia un commento a andyflash77 »
Ha suscitato in me una forte immedesimazione, mi è parso di vivere in carcere per tutto il tempo del film. Una incredibile fisiognomica dei personaggi me li ha resi come familiari, quasi ho la sensazione di poterli incontrare in una stazione ferroviaria o in autobus. Che bei blu grigiastri, ombre che quasi portano a sentire l'aria stantia e l'odore marcio dei galeotti. Intensissimo il protagonista. Bello, è un fine.
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Che c'e da dire,ottimo film sulla criminalita'made in Europe.Anche se il protagonista e' un arabo ,che impara al volo la legge del carcere e della malavita,tutto il film e' impregnato di tinte ,di multietnicita' ,di cruda realta' all'interno di un carcere francese.Duro da digerire ma con un ottimo ritmo.
Il film racconta che la realta' e' questa ,alla faccia di chi grida al tutti in carcere come se potesse migliorarti,purtroppo non e' cosi',se non sei duro e cattivo lo devi diventare,la riabilitazione molte volte e' truccata, da persone compiacenti pronte per denaro a far finta che lavori per loro ,e la cosa che ti fa piu arrabbiare e'il finale .
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Che c'e da dire,ottimo film sulla criminalita'made in Europe.Anche se il protagonista e' un arabo ,che impara al volo la legge del carcere e della malavita,tutto il film e' impregnato di tinte ,di multietnicita' ,di cruda realta' all'interno di un carcere francese.Duro da digerire ma con un ottimo ritmo.
Il film racconta che la realta' e' questa ,alla faccia di chi grida al tutti in carcere come se potesse migliorarti,purtroppo non e' cosi',se non sei duro e cattivo lo devi diventare,la riabilitazione molte volte e' truccata, da persone compiacenti pronte per denaro a far finta che lavori per loro ,e la cosa che ti fa piu arrabbiare e'il finale ....alla fine vivere nell'illegalita' puo'portarti al successo e purtroppo molte volte e' vero.
Ottima regia ed interprete principale veramente bravo ,storia senza sbavature e sopratutto che non si schiera ne con l'uno ne' con l'altro ,un po' come fa Malik nel carcere.Non sai chi odiare o chi rispettare ,alla fine del film ti senti solo ma hai la sensazione di essere cresciuto, di saper qualche cosa in piu' di questa societa',di questo mondo.
Ottimo ,da vedere
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Entri in carcera da "buono" e ne esci da malavitoso. Questo è il succo, ma tra l'inizio e la fine c'è la passione. Un film che ricorda lo Scarface di De Palma per l'escalation con la quale il giovanissimo Malik si fa strada nel mondo criminale, quasi trascinato dagli eventi, ma si vedrà che è lui a farli avverare, tanto da guadagnarsi il soprannome di "Profeta". La sua abilità è l'ingegno, l'astuzia nella comunicazione così imparerà in carcere a parlare arabo, francese e corso (uno strano dialetto tra il sicialiano e il francese molto affascinante) imparerà a leggere e scrive e ad uccidere.
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Entri in carcera da "buono" e ne esci da malavitoso. Questo è il succo, ma tra l'inizio e la fine c'è la passione. Un film che ricorda lo Scarface di De Palma per l'escalation con la quale il giovanissimo Malik si fa strada nel mondo criminale, quasi trascinato dagli eventi, ma si vedrà che è lui a farli avverare, tanto da guadagnarsi il soprannome di "Profeta". La sua abilità è l'ingegno, l'astuzia nella comunicazione così imparerà in carcere a parlare arabo, francese e corso (uno strano dialetto tra il sicialiano e il francese molto affascinante) imparerà a leggere e scrive e ad uccidere. Questo lo porterà a perdere il contatto con se stesso ma non colla sua umanità.
Un film passionale, violento, avvincente e delicato allo stesso tempo, dato da alcune sequenze di montaggio dal tocco femminile e raffinato.
Assolutamente consigliato da Big
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[+] permettimi.. (di kondor17)[ - ] permettimi..
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"... i compagni di galera prendono a definirlo un profeta, perché lui è quello che parla, con gli uni e con gli altri, quello che porta i messaggi dentro e fuori, che conosce la gente che può far comodo negli affari. Egli fa grandi cose, insomma; la sua via è tracciata come quella di chi ha una missione".
Non è così. A chiedergli se per caso è un "profeta" è un arabo, che il protagonista incontra per conto di Luciani (il boss corso rinchiuso in galera) durante una giornata di permesso. A un certo punto, infatti, mentre un'auto attraversa una zona boschiva e il nostro si trova semisdraiato sul sedile posteriore, sotto la minaccia di una pistola, rammentandosi di una visione in cui alcuni cervi correvano lungo una strada buia, grida "attenti agli animali!" (o qualcosa del genere.
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"... i compagni di galera prendono a definirlo un profeta, perché lui è quello che parla, con gli uni e con gli altri, quello che porta i messaggi dentro e fuori, che conosce la gente che può far comodo negli affari. Egli fa grandi cose, insomma; la sua via è tracciata come quella di chi ha una missione".
Non è così. A chiedergli se per caso è un "profeta" è un arabo, che il protagonista incontra per conto di Luciani (il boss corso rinchiuso in galera) durante una giornata di permesso. A un certo punto, infatti, mentre un'auto attraversa una zona boschiva e il nostro si trova semisdraiato sul sedile posteriore, sotto la minaccia di una pistola, rammentandosi di una visione in cui alcuni cervi correvano lungo una strada buia, grida "attenti agli animali!" (o qualcosa del genere...) pur non potendo vedere ciò che accade fuori. In effetti un grosso cervo è andato a sbattere contro la macchina. L'arabo scende con lui e a questo punto gli chiede: "come hai fatto a sapere che c'era un animale? Sei forse un profeta?". L'episodio, come le visioni e i dialoghi con l'uomo da lui ucciso in carcere, concorrono a determinare il senso del titolo del film.
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