asterione
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domenica 14 febbraio 2010
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il capolavoro di radu
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Ripercorrendo uno spunto che ricorda quello di “Thank You Mrs Thatcher” (dove un gruppo di minatori trova il proprio riscatto in un concorso per bande musicali di paese), questo film bellissimo, un po’ Kusturica e un po’ Ken Loach, dall’intreccio narrativo semplice e avvincente, fa molto di più che portare alla luce un dramma mai sufficientemente divulgato (la deportazione degli ebrei nei gulag siberiani e la pulizia etnica del regime sovietico): è, infatti, uno dei più riusciti tentativi di un regista del vecchio blocco dell’est di fare i conti con la Russia di ieri e, soprattutto, di oggi. Lasciata dietro le spalle un’ideologia che non sapeva niente della libertà, questa stessa rimane sempre una nitida illusione, in un paese dove i soprusi e le differenze sociali sono diventate un muro più alto da oltrepassare della dittatura stessa; non dalle ideologie, ma dagli uomini può arrivare la sola risposta alla ricerca continua e incessante della vera libertà; l’arte (la musica in questo caso) diventa in questa splendida esaltazione lo strumento per eccellenza tramite il quale un gruppo di individui calpestati dalla storia può ritrovare davvero l’armonia con la vita ed il mondo, la stessa armonia incastonata nel volto duro e levigato, spigoloso ed estatico di Melanie Laurant.
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Ripercorrendo uno spunto che ricorda quello di “Thank You Mrs Thatcher” (dove un gruppo di minatori trova il proprio riscatto in un concorso per bande musicali di paese), questo film bellissimo, un po’ Kusturica e un po’ Ken Loach, dall’intreccio narrativo semplice e avvincente, fa molto di più che portare alla luce un dramma mai sufficientemente divulgato (la deportazione degli ebrei nei gulag siberiani e la pulizia etnica del regime sovietico): è, infatti, uno dei più riusciti tentativi di un regista del vecchio blocco dell’est di fare i conti con la Russia di ieri e, soprattutto, di oggi. Lasciata dietro le spalle un’ideologia che non sapeva niente della libertà, questa stessa rimane sempre una nitida illusione, in un paese dove i soprusi e le differenze sociali sono diventate un muro più alto da oltrepassare della dittatura stessa; non dalle ideologie, ma dagli uomini può arrivare la sola risposta alla ricerca continua e incessante della vera libertà; l’arte (la musica in questo caso) diventa in questa splendida esaltazione lo strumento per eccellenza tramite il quale un gruppo di individui calpestati dalla storia può ritrovare davvero l’armonia con la vita ed il mondo, la stessa armonia incastonata nel volto duro e levigato, spigoloso ed estatico di Melanie Laurant. Bellissimo, commmovente, impedibile. Il film più bello dell’anno..
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sergio dal maso
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martedì 30 giugno 2015
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il concerto
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Può un film riuscire a fare ridere ma anche piangere? Può coinvolgere ed emozionare lo spettatore a tal punto da trascinarlo in un vortice che unisce vibrante ironia e toccante commozione fino alle lacrime?
Evidentemente queste prerogative appartengono a pochi capolavori, categoria nella quale entra di diritto Il concerto di Radu Mihaileanu, senza ombra di dubbio uno dei più bei film degli ultimi anni. Come nel precedente e osannato Train de vie, dove gli ebrei sfuggivano ai nazisti fingendo una finta deportazione, anche questa straordinaria commedia del cineasta rumeno è costruita attorno ad un “inganno”. Un inganno salvifico che riscatta i protagonisti dal dolore e dalla tragedia della loro storia.
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Può un film riuscire a fare ridere ma anche piangere? Può coinvolgere ed emozionare lo spettatore a tal punto da trascinarlo in un vortice che unisce vibrante ironia e toccante commozione fino alle lacrime?
Evidentemente queste prerogative appartengono a pochi capolavori, categoria nella quale entra di diritto Il concerto di Radu Mihaileanu, senza ombra di dubbio uno dei più bei film degli ultimi anni. Come nel precedente e osannato Train de vie, dove gli ebrei sfuggivano ai nazisti fingendo una finta deportazione, anche questa straordinaria commedia del cineasta rumeno è costruita attorno ad un “inganno”. Un inganno salvifico che riscatta i protagonisti dal dolore e dalla tragedia della loro storia. L’ex direttore della grande Orchesta del Bolshoj, Andrej Filipov, alcolizzato e ridotto a fare le pulizie nello stesso teatro che lo acclamava 30 anni prima, essendo stato cacciato ai tempi di Breznev per essersi rifiutato di licenziare i musicisti ebrei, non si lascia sfuggire l’occasione che il caso gli mette di fronte e architetta un folle piano per riscattare i torti subiti. Il piano è quello di riunire in due settimane la sua vecchia orchestra sinfonica e sostituire quella vera nel concerto-evento al Theatre du Chatelet a Parigi. L’ossessione di Andrej è quella di ripartire da dove il sogno si era spezzato, cioè riprendere il concerto in re maggiore di Ciajkovskj platealmente interrotto dal funzionario sovietico con la rottura della sua bacchetta ed con il conseguente scioglimento dell’orchestra.
Ma c’è anche un terribile segreto che lega l’orchestra e il direttore a quel Concerto, segreto che riguarda la giovane stella francese Anne Marie Jacquet (l’immensa e splendida Melanie Laurent), che il destino vorrà violinista solista proprio nel concerto parigino diretto da Andrej Filipov.
Va da sè che l’impresa di ricomporre la gloriosa vecchia orchestra e organizzare il viaggio a Parigi sarà una impresa disperata, un’avventura grottesca, esilarante e travolgente. L’unico legame che unisce gli ex compagni d’orchestra dopo decenni di oblio è solo l’inalterata passione per la musica. Trattati come nemici dal comunismo sovietico, oggi come ieri i vecchi musicisti ebrei e gitani si ritrovano ai margini della società: conducenti di sgangherate ambulanze, goffi facchini, doppiatori di pellicole hard, per non parlare degli ex-componenti zingari, truffatori scalcinati e con la selvaggia vitalità che li contraddistingue.
Utilizzando volutamente stereotipi e luoghi comuni, senza mai scadere però nella trivialità o essere offensivo, Mihaileanu offre un’affresco della Russia di oggi ma evidenzia anche aspetti dell’epoca sovietica tutt’altro che banali o scontati. Se sono spassose ed esilaranti la cafonaggine dei nuovi mafiosi russi (sublime il matrimonio in stile impero romano) o l’odierno barcamenarsi della popolazione povera che si inventa improbabili lavori (come la moglie di Andrej che recluta comparse comuniste per finti comizi), altrettanto importante perché poco conosciuto è ricordare l’antisemitismo dell’epoca brezneviana o l’ottusa oppressione dei presunti dissidenti.
Ma la protagonista assoluta del film è la musica, l’armonia suprema tanto ricercata e bramata da Andrej Filipov, unica entità capace di purificare il suo dolore, di riconciliarlo con il passato e dare un senso non solo alla sua vita, ma anche e soprattutto a quella di Anne Marie che scoprirà le sue origini e la sua storia.
La strepitosa sequenza finale del concerto, la cui intensità e il ritmo incalzante ipnotizzano lo spettatore in un crescendo di emozioni e di commozione difficilmente descrivibili a parole, è un capolavoro di montaggio e di regia.
Le note di Ciajkovskj ci rapiscono e ci portano tra il pubblico del Theatre du Chatelet ad applaudire l’orchestra e il suo direttore, commossi dal vortice di immagini, dai volti dei musicisti, dallo sguardo di Anne Marie e dalle sue dita che suonano sublimemente contrapposte a quelle delle madre che nel freddo del gulag siberiano sogna di continuare il suo concerto, di continuare a vivere. Emozioni di grande cinema che colpisce al cuore. Emozioni che, forse, solo il cinema e la musica riescono ancora a dare.
A mio parere, solo un appunto negativo che non riguarda tanto il film ma il brutto doppiaggio in italiano di Andrej. Fosse per me manderei nei gulag siberiani il responsabile del doppiaggio che ha deciso di far parlare il direttore d’orchestra con un accento russo ridicolo, quello delle barzellette per intenderci. E’ come se in Balla coi lupi avessero doppiato i pellerossa con i verbi all’infinito come nei western anni 50. Nella versione in lingua originale del Concerto questo non succede e il film si apprezza molto di più.
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lordrest
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domenica 14 febbraio 2010
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il concerto della vita
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Il concerto di questo film non è un concerto a caso. E' un concerto per la libertà e per la verità, e si pone ad un unico obiettivo, che tra l'altro è più che giusto: Cambiare la vita dei protagonisti e di tutti i personaggi.
I protagonisti sono due: Andreï Filipov, magistralmente interpretato da Aleksei Guskov e Anne-Marie Jacquet, interpretata da Mèlanie Laurent, già nota per il ruolo di
Sosanna nel "Bastardi senza gloria" di Tarantino. I due sono rispettivamente: l'ex direttore dell'orchestra del Bol'soj, licenziato, umiliato e deluso, dal regime perché aveva ebrei nella sua orchestra, ora ridotto a lavare i pavimenti del suo amato teatro e una giovanissima violinista, con un grandissimo talento e dall'enorme successo commerciale.
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Il concerto di questo film non è un concerto a caso. E' un concerto per la libertà e per la verità, e si pone ad un unico obiettivo, che tra l'altro è più che giusto: Cambiare la vita dei protagonisti e di tutti i personaggi.
I protagonisti sono due: Andreï Filipov, magistralmente interpretato da Aleksei Guskov e Anne-Marie Jacquet, interpretata da Mèlanie Laurent, già nota per il ruolo di
Sosanna nel "Bastardi senza gloria" di Tarantino. I due sono rispettivamente: l'ex direttore dell'orchestra del Bol'soj, licenziato, umiliato e deluso, dal regime perché aveva ebrei nella sua orchestra, ora ridotto a lavare i pavimenti del suo amato teatro e una giovanissima violinista, con un grandissimo talento e dall'enorme successo commerciale. Andreï capisce che la sua vita può cambiare quando scopre che l'orchestra del Bol'soj è stata invitata allo Chatlet di Parigi per un concerto, fingendosi la vera orchestra vuole finire il concerto che il regime non gli ha mai lasciato concludere, per questo duro compito userà qualsiasi espediente, anche non propriamente legale e facendo una nitida fotografia della Russia di oggi.
La storia, che alterna momenti divertenti e ironici a profonde riflessioni sull'immoralità di qualsiasi regime e alla completa soppressione della cultura durante la dittatura Sovietica, riesce a tenere un ritmo splendido nelle due ore di pellicola. La storia scorre fluida davanti agli occhi dello spettatore accompagnata da delle musiche eccezionali, che si integrano in modo perfetto nella trama, quasi a non essere semplicemente un riempitivo, ma bensì un completamento di questo film. Sono proprio le musiche che trascinano l'animo dello spettatore dentro al film, lo fanno diventare parte di esso, ti coinvolgono.
Questo film dimostra davvero tanto, dalla sua schietta ironia, ai suoi splendidi attori, tutto sempre e comunque a ritmo di Cajkovskij. Apre una finestra nuova sulla vita, una finestra che si apre a ritmo di violino, una finestra che si apre sulla nostra vita. La nostra vita che è proprio come questo grande, grosso e a volte un po' goffo, concerto.
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nicoj
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sabato 30 gennaio 2010
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il concerto
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"Il concerto" commedia grottesca, a tratti esilarante, ma un poco macchinosa che, in alcuni momenti, scade come se sentisse la necessità forzata di far ridere.
Gli ebrei potrebbero essere gli stessi di "Train de vie", siamo 60 anni dopo, ma stavolta si fugge dalla Russia in direzione Parigi, la capitale della libertà ed... uguaglianza.
La musica è la parte centrale del film, una musica liberatoria che unisce le diversità; ebrei, zingari, immigrati clandestini, di nuovo tutti sullo stesso treno.
Un film poetico ma anche divertente. E' l'ironia, come in "Train de vie", a sconfiggere la dittatura. Un bel film.
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laulilla
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domenica 7 febbraio 2010
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la rivoluzione è nella musica
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La caduta rovinosa della Russia sovietica lascia molte macerie e molte ferite: dalle pacchianate kistch dei nuovi ricchi mafiosi, ai sogni infranti di chi ci aveva creduto, alle vite spezzate di chi si era opposto. Alle nequizie del regime non è subentrata un'organizzazione più giusta della società, anzi, per molti la situazione si è cristallizzata: i ruoli sono rimasti quelli di allora perché non è facile risalire in una società di furbi e violenti, e anche perché spesso non si è disposti a lottare per emergere nuovamente, quando mancano ormai le persone che avrebbero motivato quella lotta.
In questa Russia degradata e cinica si svolge la vicenda raccontata dal film, che ha per protagonista il grande maestro Filipov, direttore della prestigiosa orchestra del Bolshoj, ebreo e per questa ragione cacciato dagli uomini di Breznev, insieme agli orchestrali ebrei che suonavano con lui.
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La caduta rovinosa della Russia sovietica lascia molte macerie e molte ferite: dalle pacchianate kistch dei nuovi ricchi mafiosi, ai sogni infranti di chi ci aveva creduto, alle vite spezzate di chi si era opposto. Alle nequizie del regime non è subentrata un'organizzazione più giusta della società, anzi, per molti la situazione si è cristallizzata: i ruoli sono rimasti quelli di allora perché non è facile risalire in una società di furbi e violenti, e anche perché spesso non si è disposti a lottare per emergere nuovamente, quando mancano ormai le persone che avrebbero motivato quella lotta.
In questa Russia degradata e cinica si svolge la vicenda raccontata dal film, che ha per protagonista il grande maestro Filipov, direttore della prestigiosa orchestra del Bolshoj, ebreo e per questa ragione cacciato dagli uomini di Breznev, insieme agli orchestrali ebrei che suonavano con lui. La storia è quella di un’avventurosa e rocambolesca risalita di Filipov, dei suoi amici di un tempo e di altri nuovi, soprattutto zingari, con agnizioni finali e trionfi parigini. Parrebbe una bella fiaba, ma il film è invece molto di più, intanto perché vi sono contenuti i ritratti affettuosi e teneri di questi artisti dimenticati da tutti, ormai abbandonati al loro destino di “ultimi”, che, nonostante tutto, non solo hanno conservato il loro amore per la musica, ma che, grazie proprio a questo, sono in grado di offrire anche un modello di società.
L’orchestra, come già ci aveva spiegato Fellini, può essere considerata quasi la metafora della società, che in questo caso dovrebbe abbandonare le pretese di diventare per sempre perfetta, per accontentarsi di piccoli progetti per la cui riuscita, di volta in volta, sono decisivi tutti, uomini e donne di ogni condizione e provenienza, che allo scopo devono essere organizzati. Questa specie di “armata brancaleone”, sulla quale nessuno è pronto a scommettere, è molto simile a quella che attraverso un viaggio avventuroso raggiungerà i confini russi in Train de vie, l’altro bellissimo film dello stesso regista. Mihaileanu si conferma davvero geniale nell’inventare storie in cui si fondono perfettamente storia e immaginazione, in cui l’arte del racconto retrospettivo (altra citazione felliniana?) assume il carattere della struggente rievocazione di un passato irripetibile, senza che ciò, però, comporti un eccessivo patetismo. Il sorriso, che nasce dall’indulgenza simpatetica verso i difetti umani, è dietro l’angolo e la cultura cosiddetta minore dei popoli dimenticati è lì a manifestare tutta la vitalità e l’energia che la contraddistinguono. Grande regia, dunque, e ottima interpretazione di tutti gli attori, in modo particolare di Aleksei Guskov, grande e sensibile direttore d'orchestra. Segnalerei, ancora, un'ultima citazione, parodistica in questo caso: la strage di San Valentino dal film A qualcuno piace caldo, testimonianza della cultura cinematografica "sincretica" del regista rumeno.
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[+] filipov non è ebreo
(di lllo-olll)
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jayan
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lunedì 15 febbraio 2010
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un capolavoro! tra i migliori degli ultimi anni!
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Anche qui, come nel film "Le trein de vie", il regista Radu Mihaileanu eccelle nella sua bravura e originalità realizzando questo capolavoro, tra i migliori film degli ultimi anni. In questo film riesce a coniugare l'ironia, la comicità e il sarcasmo con il drammatico, il grottesco e il commovente, mantenendo anche una forma di suspence che coinvolge lo spettatore e gli crea l'attesa di vedere come finirà il film. Alla base di tutto c'è la musica, quella di Chaikowsky ma anche quella popolare russa e gitana, che fa da traid d'union del film, portando a compimento la missione che i musicisti si erano posti: fare un concerto in uno dei maggiori teatri di Parigi. Tutto inizia quando il direttore e l'orchestra del Bolscioi di Mosca vengono licenziati durante l'esecuzione del concerto per violino in Re maggiore di Tchiaikovsky, a causa del fatto che il direttore d'orchestra non ha espulso dall'orchestra il primo violino e altri orchestranti di origine ebraica, come lo stesso Breznev aveva ordinato (si era nel pieno della cacciata dgeli ebrei dall'Unione Sovietica).
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Anche qui, come nel film "Le trein de vie", il regista Radu Mihaileanu eccelle nella sua bravura e originalità realizzando questo capolavoro, tra i migliori film degli ultimi anni. In questo film riesce a coniugare l'ironia, la comicità e il sarcasmo con il drammatico, il grottesco e il commovente, mantenendo anche una forma di suspence che coinvolge lo spettatore e gli crea l'attesa di vedere come finirà il film. Alla base di tutto c'è la musica, quella di Chaikowsky ma anche quella popolare russa e gitana, che fa da traid d'union del film, portando a compimento la missione che i musicisti si erano posti: fare un concerto in uno dei maggiori teatri di Parigi. Tutto inizia quando il direttore e l'orchestra del Bolscioi di Mosca vengono licenziati durante l'esecuzione del concerto per violino in Re maggiore di Tchiaikovsky, a causa del fatto che il direttore d'orchestra non ha espulso dall'orchestra il primo violino e altri orchestranti di origine ebraica, come lo stesso Breznev aveva ordinato (si era nel pieno della cacciata dgeli ebrei dall'Unione Sovietica). Sia il direttore, straordinariamente interpretato da Aleksei Guskov che gli altri sono costretti a fare lavori umili e a non poter suonare più per molti anni. Un giorno si presenta l'occasione di tornare a suonare, con un imbroglio, come orchestra del Bolscioi a Parigi, al posto dell'orchestra che li aveva miseramente sostituiti. Dopo una serie di imprevisti e disguidi, alla fine riusciranno a suonare, con la prima violinista francese. E il finale, che non posso rivelare, è splendido, estremamente commuovente. Anche l'esecuzione orchestrale dell'orchestra di Budapest è straordinaria, in sintonia piena con il film e con gli attori. Anche l'attore che interpreta il suonatore di violoncello e quello che fa le parti del manager economico dell'orchestra sono molto bravi. Davvero un film da non perdere. E' da vedere sul grande schermo.
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redbaron990
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giovedì 11 febbraio 2010
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la musica nell'anima
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"Il concerto" film sincero, ironico, a tratti emozionante, che dietro una trama magra e sull'orlo del surreale nasconde una piacevolezza ed una delicatezza difficili da rintracciare in altre pellicole. Con la superbe melodie di Tchaikovsky in sottofondo, inizia e finisce la storia di Andreï Filipov, ex direttore di orchestra del teatro bolshoi che, dopo trent'anni trascorsi nell'anonimato e nel rimpianto degli errori commessi, decide di sruttare una fortunosa occasione per rimmettersi in gioco e poter definitivamente pareggiare i conti con il passato.
Un film dove la musica è si la protagonista ma solamente perchè è essa ciò che unisce profondamente persone dalle origini più varie e tiene accesa la fiamma dentro i loro cuori.
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"Il concerto" film sincero, ironico, a tratti emozionante, che dietro una trama magra e sull'orlo del surreale nasconde una piacevolezza ed una delicatezza difficili da rintracciare in altre pellicole. Con la superbe melodie di Tchaikovsky in sottofondo, inizia e finisce la storia di Andreï Filipov, ex direttore di orchestra del teatro bolshoi che, dopo trent'anni trascorsi nell'anonimato e nel rimpianto degli errori commessi, decide di sruttare una fortunosa occasione per rimmettersi in gioco e poter definitivamente pareggiare i conti con il passato.
Un film dove la musica è si la protagonista ma solamente perchè è essa ciò che unisce profondamente persone dalle origini più varie e tiene accesa la fiamma dentro i loro cuori.
Ciò che più colpisce di questa pellicola è però il generale senso di armonia che si percepisce alla fine dell'opera nella quale la musica classica non risulta mai pesante o difficile all'ascolto ma bensì, aiutata dall'ironia e dalla tenerezza dei dialoghi, fa venir voglia di precipitarsi in un negozio di dischi per essere ancora partecipi delle meravigliose sensazioni che un violino solista ed un'orchestra sono in grado di trasmettere.
In definitiva un film assolutamente da vedere (e forse anche da rivedere) nel quale non si sente la mancanza di niente ed ad ogni cosa è attribuito il giusto peso.
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porkupine666
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domenica 7 marzo 2010
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non sempre verità e bellezza coincidono.
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«La bellezza è verità, la verità bellezza: è tutto ciò che sapete sulla terra e tutto ciò che vi occorre sapere.» Il celebre aforisma del grande romantico inglese John Keats dovrebbe trovare conferma nel più romantico dei film usciti negli ultimi tempi, romantico perché si regge su una storia punteggiata da una partitura musicale che spesso è presa a essenza stessa del romanticismo in musica, il Concerto per violino e orchestra op. 35 di Ciaikovski. Ma come si sa frasi gnomiche, detti proverbiali e massime lapidarie spesso fanno cilecca, ed è esattamente quello che è avvenuto in Il concerto, l'ultimo lavoro di Radu Mihaileanu; più che lavoro - a mio giudizio - si covrebbe parlare di capolavoro.
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«La bellezza è verità, la verità bellezza: è tutto ciò che sapete sulla terra e tutto ciò che vi occorre sapere.» Il celebre aforisma del grande romantico inglese John Keats dovrebbe trovare conferma nel più romantico dei film usciti negli ultimi tempi, romantico perché si regge su una storia punteggiata da una partitura musicale che spesso è presa a essenza stessa del romanticismo in musica, il Concerto per violino e orchestra op. 35 di Ciaikovski. Ma come si sa frasi gnomiche, detti proverbiali e massime lapidarie spesso fanno cilecca, ed è esattamente quello che è avvenuto in Il concerto, l'ultimo lavoro di Radu Mihaileanu; più che lavoro - a mio giudizio - si covrebbe parlare di capolavoro. Il film funziona, coinvolge, intriga, diverte e commuove, senza un momento di stanchezza. Anche qualche sottolineatura non sa di ripetitività ma di iterazione, all'insegna di un mélo di cui Mihaileanu non fa risparmio, ma che si percepisce voluto, ricercato; così come è assolutamente, lucidamente e infallibilmente sollecitato il meglio che ci può stare in uno spettatore medio. E poco cambia se lo spettatore da medio si scopre uno dei rari nantes in grado di decodificare lo spirito yiddish (witz) oppure un sempliciotto nutrito a telenovelas e pellicole 'panettone'. La lacrimetta, neanche troppo furtiva e di certo confusa, spesso non saprà bene se dichiarare la provenienza dal pathos della vicenda personale dei protagonisti o dalla comicità di situazioni politicamente poco corrette, dove (vivaddio) si possono sfottere gli ebrei senza il rischio di passare per antisemiti, ricordare con ironica leggerezza i crimini del regime sovietico e, insieme, mettere il dito sulla piaga delle contraddizioni del nuovo capitalismo russo, troppo spesso organico (verrebbe di dire 'consentaneo') alla criminalità organizzata e agli oligarchi di cui la mafia si alimenta. Già, ma il Keats di cui in apertura che c'entra? C'entra eccome, perché questo film - che è tra quelli DA NON PERDERE - non contiene un'oncia di veridicità, apparendo falso, deliziosamente bugiardo, in tutti i suoi aspetti. A cominciare dal suo autore, che invece del nome ebraico del padre ha preferito mantenere una sorta di eteronimo, Mihaileanu, che, almeno al tempo in cui fu divisato, doveva sapere di romeno, ma senza kippah, quanto Schmidt sa di tedesco o Dupont di francese. O forse il film, pur non essendo verosimile, pur reggendosi su paradossi e simbolizzazioni continue, sembra finto ma invece è autentico; vero senza essere reale. Che male c'è, dopotutto? Per i destinatari (che spesso non sono i bambini, o almeno non soltanto bambini) le favole sono spesso certezze assolute. E a pensarci meglio la poesia di Keats non sbaglia, bellezza e verità coincidono; precisamente come avviene con la musica di Ciaikovski.
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marezio
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domenica 30 gennaio 2011
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doppiaggio con accento russo?
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Anche se la storia è piuttosto comune, il film è bello e girato bene.
L'unica cosa che mi ha disturbato è stato il doppiaggio con accento russo lungo tutto il film. Cosa che lo rende pesantissimo ed a volte poco intellegibile. Bisogna fare uno sforzo per capire certi passaggi, soprattutto dove la recitazione si fa più concitata.
Non vorrei passare per il criticone di turno, ma dove si è mai visto che i film americani vengono doppiati con accento americano, o quelli francesi con accento francese? A mio parere, credo che questa scelta di doppiaggio sia stata poco felice...
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movie response
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lunedì 7 giugno 2010
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per gli amanti della musica classica
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Il grande direttore Andreï Filipov dell’orchestra del Bolshoi, nella Russia del regime comunista del 1980, durante l’esecuzione del concerto per violino e orchestra op.35 di Tchaikovsky, preparato con dedizione e precisione maniacale, viene clamorosamente interrotto da disposizioni del regime a causa di alcuni componenti ebrei della sua orchestra. Questa umiliazione lo porterà a cercare con frustrazione per 30 anni l’opportunità di poter rieseguire quel concerto, ovvero soddisfare il sogno di una vita. L’occasione gli si presenterà grazie ad un fax inviato alla nuova orchestra del Bolshoi... A quel punto solo la violinista Anne Marie Jacquet sarà la prediletta di Andreï, in grado di sostituire la musicista che 30 anni prima aveva accompagnato Andreï Filipov nella sua “follia”.
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Il grande direttore Andreï Filipov dell’orchestra del Bolshoi, nella Russia del regime comunista del 1980, durante l’esecuzione del concerto per violino e orchestra op.35 di Tchaikovsky, preparato con dedizione e precisione maniacale, viene clamorosamente interrotto da disposizioni del regime a causa di alcuni componenti ebrei della sua orchestra. Questa umiliazione lo porterà a cercare con frustrazione per 30 anni l’opportunità di poter rieseguire quel concerto, ovvero soddisfare il sogno di una vita. L’occasione gli si presenterà grazie ad un fax inviato alla nuova orchestra del Bolshoi... A quel punto solo la violinista Anne Marie Jacquet sarà la prediletta di Andreï, in grado di sostituire la musicista che 30 anni prima aveva accompagnato Andreï Filipov nella sua “follia”.
Film dallo spirito deciso e finemente umoristico, in grado di suscitare emozioni e capace di far riflettere. Caso esemplare la frase che Andreï Filipov rivolge al vecchio dirigente comunista: “Pensaci, cos'è un concerto? Tante persone che si uniscono per un unico obiettivo, trovare l'armonia, questa è la musica, è la musica il vero comunismo!”
Ben evidente la vena ironica e farsesca, tipica di un film francese di questo stampo, a tratti grottesca e un po’ semplicistica dello stereotipo del comunismo e dei luoghi comuni sugli ebrei.
E’ bene tener presente che il film parla di musica, della bellezza armonica di un concerto dallo spirito romantico, e non pretende di essere un documentario storicamente attendibile.
Per gli amanti della musica classica: un film che vale la pena di vedere... e anche di rivedere una seconda volta se possibile, per apprezzarlo al meglio! Finalmente un po' di sana musica classica e un finale emozionante con tanti minuti di puro Tchaikovsky! La pellicola riesce a trasmettere le vibrazioni e le emozioni ispirate dall’ascolto del concerto per violino e orchestra op.35 del grande compositore, esponente del romanticismo russo.
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