IN THE CUT
Che lo si consideri un thriller o un’opera introspettiva, una storia erotica o un viaggio iniziatico, In The Cut è comunque e prima di tutto un film fatto da una donna.
Jane Campion riesce a dare con questo suo ultimo lungometraggio – certo imperfetto – un quadro personale e doloroso della condizione femminile. L’asseconda in modo sorprendente una Meg Rayan trasformata: uscita dal cliché di attrice brillante per commedie disneyane formato famiglia, ella si slancia qui in una sfida – per lei inedita – in cui affronta a viso aperto, seppur fragile ed esitante, l’altra faccia del cosmo, quell’universo sessuale maschile così diverso dal suo. Quanto si fa forza quello di un’aggressività verbale atta forse a dargli la carica necessaria a sfondare una porta che risulta essere già aperta, tanto il suo va incontro con ansia e desiderio tutto privato, immerso in se stesso, a quell’antro oscuro e pieno d’insidie, che potrebbe celare persino il suo carnefice. Così la donna scende nella profondità della sua psiche a ricercare una risoluzione che le spieghi il suo passato alla luce di un presente denso di pericoli e paure.
Una Meg Ryan cambiata, dicevamo. Una Meg Rayan che, in vero, ci ha subito ricordato quella Nicole Kidman che, produttrice del film, ne avrebbe dovuto essere anche l’interprete. Tanto da farci ritenere che l’attrice americana abbia assecondato in pieno i disegni di Jane Campion, che doveva aver visto nella Kidman – da lei diretta in Portrait of a Lady,nel 1996 – il temperamento ideale a calarsi nei panni di questa misteriosa scrittrice che fa proprie le scritte murali e quelle estrapolazioni letterarie usate in pubblicità e le ricrea ai suoi fini andando a scandagliare i fantasmi nascosti nella sua mente. Una Rayan/Kidman forse più attendibile della stessa Kidman che, se con la sua maggior avvenenza avrebbe meglio giustificato il polarizzarsi dell’attenzione del mondo maschile nei suoi confronti, avrebbe però reso meno credibile il suo senso di inquietante isolamento.
Siamo tuttora sospesi fra un’interpretazione che consideri il film come una disincantata fotografia delle due facce dell’eterosessualità in perenne cammino parallelo e quella in cui intervenga un filtro esplicativo a delineare un quadro voyeuristico desiderato e ideato da una donna. La protagonista si butta a capofitto alla ricerca della chiave che le dischiuda le proprie origini e le indichi la linea di demarcazione fra il sogno del sesso e dell’amore visto al maschile e quello al femminile. Ci pare che a momenti questa linea tenda a scomparire in una visione del desiderio che accomuna i due sessi; in altri, viceversa, la regista ci sembra sottolineare la necessità della differenza di approccio al piacere fra la donna e l’uomo. La scena della fellatio spiata con gli occhi della protagonista significa mi piego a subire oppureho il desiderio di partecipare? Non abbiamo visto nel film amore o passione, semmai una speranza, una tensione ad essi per il tramite dell’iniziazione al sesso.
Abbiamo letto che la pellicola ha subito alcune mutilazioni – profetico il titolo! – delle scene più hard. Questo giochino, travestendo evidenti interessi commerciali con un intervento a difesa del comune senso del pudore, potrebbe avvalorare le voci – di certo messe in circolazione come specchietto per le allodole – che la Kidman avrebbe rinunciato ad interpretare In The Cut perché troppo osé. Più probabilmente, il film nella sua interezza - che magari potremo vedere fra non molto, una volta che il botteghino abbia esaurito le sue funzioni – ci avrebbe mostrato con ancora maggiore incisività ed efficacia il duro percorso compiuto dalla protagonista e dissolto quei dubbi di cui sopra.
Enzo Vignoli
15 gennaio 2004
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