giorgio76
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lunedì 24 marzo 2014
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il giardino della memoria*
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*Seguito, aggiornato, della mia recensione scritta nel 2008 ("Un doppione della Bohème").
C’è un parco immenso. Pare che la Storia resti fuori da questo parco, gli umani, la contemporaneità. Un piccolo microcosmo, dove misteriosamente età moderna ed età rinascimentale convivono, come dissimulati, eppure veri, in una arcana ed ineffabile armonia. Non siamo a Gardaland (dove tutto è finto e cartapesta); ma non siamo nemmeno in uno dei fastosi, ma consueti giardini patrizi, come ne puoi trovare, splendidi e rigogliosi, in una Villa “palladiana” come Villa Contarini o La Malcontenta.
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*Seguito, aggiornato, della mia recensione scritta nel 2008 ("Un doppione della Bohème").
C’è un parco immenso. Pare che la Storia resti fuori da questo parco, gli umani, la contemporaneità. Un piccolo microcosmo, dove misteriosamente età moderna ed età rinascimentale convivono, come dissimulati, eppure veri, in una arcana ed ineffabile armonia. Non siamo a Gardaland (dove tutto è finto e cartapesta); ma non siamo nemmeno in uno dei fastosi, ma consueti giardini patrizi, come ne puoi trovare, splendidi e rigogliosi, in una Villa “palladiana” come Villa Contarini o La Malcontenta. Perché il parco, o meglio, il giardino non è invenzione di un architetto qualunque, ma di un architetto della scrittura. Prodigio della scrittura, trovarsi a Ferrara, nella più celebre e celebrata Via Ercole I d’Este, negli “anni tragici” delle “leggi razziali” 1938-39, a giocare a tennis, e trovarsi dentro ad un “fermo-immagine” della storia, fermi al tempo delle glorie estensi: la Ex-Delizia del Barchetto del Duca, gli alberi piantati ancora dai Duchi e l’antico Canale Panfilio, col quale potevi prendere la barca e giungere dal Centro, dal Castello di San Michele, fino in Po (come gli Estensi, e fino all’inizio del XX Secolo).
Una sospensione della Storia. Un mondo prezioso e ad tempo fragile come il vetro di Murano, spazzato via un giorno da un convoglio di tedeschi e fascisti, con inesorabile violenza. Con “il giardino”, viene spazzato il luogo della silenziosa “protesta” della aristocratica famiglia Finzi-Contini di Ferrara. Una strana protesta, invero, contro il fascismo prima, le leggi razziali, il nazifascismo, poi: quasi il fascismo, le “leggi razziali” fossero sì cose terribili, ma in fondo principalmente … una sguaiataggine della storia. Una delle tante sguaiataggini da parvenus, come gli aristocratici ne vedono tante, e che i nobili combattono con la sufficiente superiorità del loro stile, della loro “classe”. I Finzi-Contini pagheranno il fio di questa loro Hùbris (Superbia tragica) di fronteggiare il fascismo prima e il nazismo poi, come fossero solo … una “caduta di stile”. La pagheranno cara, con la deportazione.
E’ un film modesto, tra i più modesti che Vittorio De Sica abbia realizzato, nonostante l’ottimo viatico del romanzo di Giorgio Bassani, nonostante i premi e i riconoscimenti (Orso d’Oro di Berlino nel 1971, Premio Oscar nel 1972). Ma de Il Giardino dei Finzi-Contini (1970), libera riduzione, troppo libera, del romanzo dell’Autore ferrarese, resta la grande sequenza finale della deportazione (unica scena da antologia, in un film, che colleziona, agli occhi dello spettatore di oggi, melensaggini, punte di goffaggine recitativa e approssimazioni storiche).
Resta il grand’angolo di Dominique Sanda-Micol, in lacrime, che, sulle note della straziante musica di Manuel De Sica, vede scivolare via il giardino, il “suo” giardino, inquadrato dallo spicchio del vetro anteriore dell’auto di uno degli aguzzini. E resta la tragica dignità di questa famiglia colta, aristocratica, di gran classe, costretta ad ammassarsi in una scuola, in una massa anonima di deportandi, e che all’ultimo viene separata: oscura beffa del destino, che divide la famiglia nel momento più tragico, senza nemmeno il conforto della reciproca compagnia, senza nemmeno poter piangere assieme. Non grandi parole, non grandi pianti, ma solo discreto, eppure straziante, gioco di sguardi, affidato ad uno stile recitativo, sommesso, discreto, quasi muto.
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[+] un film decadente e confuso
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parsifal
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giovedì 27 aprile 2017
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sogni e delusioni
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Vittorio De Sica mette in scena il romanzo più famoso di Giorgio Bassani, attingendo anche alla raccolta " Storie Ferraresi" , portando avanti la narrazione con garbo ed eleganza. Si inizia dalla promulgazione delle leggi razziali nel 1938, a causa delle quali le persone appartenenti alla comunità ebraica vengono escluse da gran parte della vita pubblica e private di molti diritti fondamentali. Grazie a ciò , i rampolli della famiglia più ricca di Ferrara. Micol ( Dominique Sanda) ed Alberto ( H. Berger) decidono di aprire il giardino della loro faraonica villa, sino a quel momento inaccessibile a tutti. E così , i giovani della Ferrara borghese esclusi dal circolo del tennis, si ritrovano tutti insieme a Villa Finzi COntini.
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Vittorio De Sica mette in scena il romanzo più famoso di Giorgio Bassani, attingendo anche alla raccolta " Storie Ferraresi" , portando avanti la narrazione con garbo ed eleganza. Si inizia dalla promulgazione delle leggi razziali nel 1938, a causa delle quali le persone appartenenti alla comunità ebraica vengono escluse da gran parte della vita pubblica e private di molti diritti fondamentali. Grazie a ciò , i rampolli della famiglia più ricca di Ferrara. Micol ( Dominique Sanda) ed Alberto ( H. Berger) decidono di aprire il giardino della loro faraonica villa, sino a quel momento inaccessibile a tutti. E così , i giovani della Ferrara borghese esclusi dal circolo del tennis, si ritrovano tutti insieme a Villa Finzi COntini. Per il padre di Giorgio ( Lino capolicchio) interpretato da un ottimo Romolo Valli, tutto ciò sarebbe frutto di una precisa manovra dettata dalla volontà demagogica dei due fratelli , al fine di egemonizzare il gruppo di persone escluse. Giorgio non accetta una simile analisi , sia per la sua innata buonafede e sia perchè è , da sempre , abbagliata dal fascino di Micol , elegante ed ambigua, ammiccante e sfuggente al tempo stesso, che si diverte a giocare con lui, con sottile crudeltà. Inoltre è legato da un profondo affetto ad Alberto , fragile e malato, che vive rinchiuso nella sua gabbia d'oro. Giorgio stringe amicizia con Malnate, conosciuto nel giardino della grande villa ( Fabio Testi doppiato dal grande Adalberto Maria Merli) e si confidano a vicenda , passando il tempo. La situazione capitola velocemente; il fratello di Giorgio fugge a Grenoble, dove si vedranno per qualche giorno e Giorgio verrà a conoscenza della realtà taciuta in Italia, i campi di sterminio. Malnate viene richiamato e la sera stessa del commiato, Giorgio scopre , per volontà di Micol, il fatto che erano amanti da tempo. Questo spiegherà , almeno in parte , i rifiuti reiterati della ragazza, ma non allevierà il dolore. Malnate morirà in Russia, Alberto verrà stroncato dal male che lo affliggeva e i repubblichini deporteranno il resto della famiglia Finzi Contini. IL Film finisce in maniera straziante , con una sequenza dei tempi felici mandata al rallentatore, con un canto yiddish che narra della tragedia dell'Olocausto. Premio Oscar per il miglior film straniero e molti altri premi, colonna sonora d'eccezione, inscindibile dalla narrazione a cura di Manuel De Sica. Irripetibile.
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samanta
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domenica 8 marzo 2020
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il giardino massacrato
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Parlando di un film, anche se è un'opera autonoma, in questo caso non si può non parlare del romanzo che lo ispirò, quando uscì la pellicola la critica fu in maggioranza sfavorevole , anche se ebbe un discreto successo commerciale ed ebbe numerosi premi tra cui l'Oscar come migliore film straniero. Personalmente condivido in pieno il duro giudizio di Morandini.
E' difficile capire come si possa riuscire a rovinare una delle più bei romanzi del 900' italiano. Due sono i temi dell'opera e anche del film, sia pure espressi in modo penoso: leggi razziali e il loro impatto nella comunità ebraica di Ferrara, l'amore del io narrante (diventato Giorgio nel film) per Micol la figlia del più ricco ebreo di Ferrara (possiede 5000 ha) che vive in una splendida casa con un grandissiom parco nella città.
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Parlando di un film, anche se è un'opera autonoma, in questo caso non si può non parlare del romanzo che lo ispirò, quando uscì la pellicola la critica fu in maggioranza sfavorevole , anche se ebbe un discreto successo commerciale ed ebbe numerosi premi tra cui l'Oscar come migliore film straniero. Personalmente condivido in pieno il duro giudizio di Morandini.
E' difficile capire come si possa riuscire a rovinare una delle più bei romanzi del 900' italiano. Due sono i temi dell'opera e anche del film, sia pure espressi in modo penoso: leggi razziali e il loro impatto nella comunità ebraica di Ferrara, l'amore del io narrante (diventato Giorgio nel film) per Micol la figlia del più ricco ebreo di Ferrara (possiede 5000 ha) che vive in una splendida casa con un grandissiom parco nella città.
Le leggi razziali furono un "bullismo" di Stato con una serie di vessazioni piccole e grandi, che sfociò in tragedia quando dopo l'8 settembre i tedeschi invasero il Paese e trovarono nelle questure l'elenco di tutti gli ebrei, schedati con i relativi indirizzi, si salvò dalla deportazione chi, come i Bassani, fuggì e si diede alla macchia. Nel film la vicenda invece che dal ottobre 1938 al settembre 1939 con un prologo e un epilogo (fin troppo breve), viene svolta nel periodo 1938-1943, con evidenti ancronismi e svarioni storici come quando un protagonista nel giugno del 1940 dice "spero che non mi mandino in Russia" quando l'Italia era in pace con la Russia e la guerra scoppiò un anno dopo quando i tedeschi attaccarono i sovietici. Mancano anche momenti essenziali come quando Malnate porta in un bordello Giorgio.
Giorgio (Lino Capolicchio) è innamorato di Micol (Dominque Sanda) ed è amico del fratello malaticcio Alberto (Helmut Berger), i due hanno messo a disposizione di amici, ebrei e non, il loro campo da tennis da quando era stato interdetto agli ebrei il Circolo del Tennis, partecipa Malnate un laureato in chimica che lavora a Ferrara e aveva conosciuto Alberto all'Università a Milano, comunista convinto (Fabio Testi). Micol che studia a Venezia respinge l'amore di Giorgio, che scopre che, forse, ha una relazione con Malnate durata un'estate, anche perche viene richiamato a Milano.De Sica non ha capito il personaggio di Micol che è una ragazza volitiva, intelligente, spiritosa, bella, ma rinchiusa nella sua torre d'avorio, la relazione con Malnate viene resa esplicita con lei che mostra le tette a Giorgio che dalla finestra di una dependance della villa aveva scoperto la coppia dopo l'amplesso. L'interpretazione della Sanda è raggelante, Micol diventa una ragazza trasognante e opaca, Lino Capolicchio sembra capitato per caso nel set, Helmut Berger recita come una comparsa, De Sica fa capire una simpatia omosessuale per Malnate, che invece era un donnaiolo frequentatore di bordelli e amante di ballerine, quanto a Fabio Testi: non sa recitare. L'unico che si salva con una grande interpretazione è Romolo Valli nella parte del papà di Giorgio. Il film in sé vale poco salvo la scena dell'arresto della famiglia dei Finzi, c'è una bella fotografia e una colonna sonora discreta, ma rendere male una così bella storia è forse attribuibile alla fase calante di De Sica regista. Ma rimarrà Micol sempre nella memoria del lettore, chiusa nella sua torre d'avorio che "soltanto un bacio" avrebbe potuto farla uscire.
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ralphscott
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martedì 6 marzo 2012
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tematiche forti,film freddo
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L'attrattiva principale è forse quella di veder una Sanda in fiore. Per il resto il melodramma non coinvolge,sia come tragedia storica sia come vicenda sentimentale e privata. Non si capisce la psicologia della bella Micòl,croce e delizia di un Capolicchio lontano dai demoni di "Metti una sera a cena". Anche le inquadrature non mi convincono:in certi casi sembrano frettolose,poco ispirate. Testi colle orecchie ben in vista,alla Gable
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great steven
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mercoledì 2 settembre 2015
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troppo poco fedele all'originale. un oscar maldato
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IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI (IT/RFT, 1970) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da LINO CAPOLICCHIO, DOMINIQUE SANDA, FABIO TESTI, ROMOLO VALLI, HELMUT BERGER, ALESSANDRO D'ALATRI, BARBARA LEONARD PILAVIN, CAMILLO CESAREI, CINZIA BRUNO, EDOARDO TONIOLO, ETTORE GERI, FRANCO NEBBIA
Alla fine degli anni 1930, a Ferrara, i fratelli Micòl e Alberto Finzi-Contini, rampolli di una benestante famiglia ebraica della borghesia cittadina, passano le loro giornate fra partite di tennis coi coetanei e gli studi universitari, per i quali Micòl è impegnata in un’università veneziana. Corteggiata dal figlio di un commerciante che disapprova le sue amicizie altolocate, la spensierata e vitale ragazza finisce però per preferirgli Giampiero Malnate, chimico milanese comunista dalla rude personalità e contrario all’ideologia violenta del regime fascista.
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IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI (IT/RFT, 1970) diretto da VITTORIO DE SICA. Interpretato da LINO CAPOLICCHIO, DOMINIQUE SANDA, FABIO TESTI, ROMOLO VALLI, HELMUT BERGER, ALESSANDRO D'ALATRI, BARBARA LEONARD PILAVIN, CAMILLO CESAREI, CINZIA BRUNO, EDOARDO TONIOLO, ETTORE GERI, FRANCO NEBBIA
Alla fine degli anni 1930, a Ferrara, i fratelli Micòl e Alberto Finzi-Contini, rampolli di una benestante famiglia ebraica della borghesia cittadina, passano le loro giornate fra partite di tennis coi coetanei e gli studi universitari, per i quali Micòl è impegnata in un’università veneziana. Corteggiata dal figlio di un commerciante che disapprova le sue amicizie altolocate, la spensierata e vitale ragazza finisce però per preferirgli Giampiero Malnate, chimico milanese comunista dalla rude personalità e contrario all’ideologia violenta del regime fascista. Quando tuttavia sopraggiungono le leggi antisemite e scoppia la guerra, la famiglia Finzi-Contini viene dapprima espulsa dai circoli più esclusivi della città emiliana, reclusa progressivamente in un ghetto e infine deportata nei campi di concentramento nazisti. Alberto si ammala di linfogranuloma maligno fino a morirne, e viene sepolto nel monumentale cimitero famigliare, mentre Micòl, i genitori e la vecchia nonna subiscono la deportazione nei luoghi di sterminio. Giampiero è richiamato alle armi e inviato a combattere nella campagna di Russia, mentre il giovane protagonista, riuscito a imboscarsi, rimane solo. I torti di questa riduzione cinematografica del capolavoro di Giorgio Bassani, datato 1962, sono almeno tre: 1.) l’aver dato un nome (per non far confusione né torti a nessuno, è stato appositamente scelto il nome di battesimo dell’autore) all’io narrante, che nel romanzo non viene mai citato esplicitamente, mantenendo un anonimato che però costruisce un alone di misterioso interesse ed eccellente carisma attorno al suo personaggio, meglio costruito sulla pagina scritta che in immagini audiovisive; 2.) aver troppo ridimensionato la figura del professor Ermanno Finzi-Contini, individuo importantissimo nel romanzo per lo svolgimento dello stesso e che nel film fa tre veloci cammei, ritagliandosi niente più che una comparsata insipida e senza sostanza; 3.) aver tralasciato con eccessiva noncuranza la parte in cui i due protagonisti sono bambini, parte che nel libro ha una funzionalità essenziale nella descrizione di entrambe le personalità, mentre il film riduce spudoratamente questo passaggio fondamentale dando per scontata la crescita interiore di due giovani che arrivano sempre ad avvicinarsi a livello sentimentale senza mai raggiungere una completa armonia. Inoltre, nella traduzione filmica, il significato che Bassani aveva saputo, con enorme dovizia di dettagli ed estrema lucidità, attribuire alla sua opera, inteso precipuamente nei temi della lotta alle discriminazioni razziali, dell’amicizia amorosa e delle differenze di ceto, viene travisato e sminuito, perché la sceneggiatura (scritta da Ugo Pirro e Vittorio Bonicelli) trascura inconsapevolmente molti particolari cruciali che invece avrebbero dovuto essere ampiamente valorizzati per delineare un quadro sociopolitico (più sociale che politico) che non può affatto essere guardato con superficialità. Ulteriori ed ennesimi difetti si riscontrano anche nell’approssimazione dell’esecuzione temporale e nei numerosi anacronismi, autentici svarioni che sfigurano con una ricostruzione scenografica che, di per sé, è anche carina e diligente, ma rovinata puntualmente dalle imperdonabili mancanze dei più importanti contributi artistici e tecnici. Perfino la scelta del cast e la direzione degli attori sono molto al di sotto del decoro consueto a V. De Sica. Musiche composte dal figlio Manuel (1949-2014). Fotografia di Ennio Guarnieri. Dà molto da riflettere la vittoria dell’Oscar come migliore film straniero: forse la società dell’Academy Award ha voluto premiare il suo smanceroso romanticismo e l’illanguidita carenza di fedeltà, invece che considerare e (forse) condannare la sua fattura generalmente approssimativa, quasi caricaturale e caratterizzata da una preoccupante povertà di spunti?
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rob8
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lunedì 23 luglio 2018
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un discorso umanistico sui valori universali
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Vittorio De Sica, sullo spunto del celebre romanzo di Bassani, firma nella maturità un’opera di non minore impegno, seppur di ben diversa resa, dei suoi capolavori neorealisti.
Un film che col tempo rivela qualità all’epoca dell’uscita sottovalutate: la inequivocabile presa di posizione contro il razzismo, sorretta non da tanto un esplicito discorso politico (ciò che la critica rimproverò), quanto da un’indagine psicologica sui personaggi e sociologica su una comunità, quella ebrea di Ferrara, declinata tra alta e media borghesia.
Sotto le equivocate spoglie di un melodramma sentimentale, si cela un discorso umanistico sui valori universali già indagati da De Sica per tre decenni da “I bambini ci guardano” a “Il giudizio universale”, in una cifra autoriale alta e ben riconoscibile.
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Vittorio De Sica, sullo spunto del celebre romanzo di Bassani, firma nella maturità un’opera di non minore impegno, seppur di ben diversa resa, dei suoi capolavori neorealisti.
Un film che col tempo rivela qualità all’epoca dell’uscita sottovalutate: la inequivocabile presa di posizione contro il razzismo, sorretta non da tanto un esplicito discorso politico (ciò che la critica rimproverò), quanto da un’indagine psicologica sui personaggi e sociologica su una comunità, quella ebrea di Ferrara, declinata tra alta e media borghesia.
Sotto le equivocate spoglie di un melodramma sentimentale, si cela un discorso umanistico sui valori universali già indagati da De Sica per tre decenni da “I bambini ci guardano” a “Il giudizio universale”, in una cifra autoriale alta e ben riconoscibile. Certo, qui, caso raro, manca la firma di Zavattini: il quale sicuramente avrebbe tolto certa patina oleografica al film e senz’altro il pur notevole finale onirico, definito “ruffiano” dallo stesso Manuel, figlio di De Sica, che curò l’intenso e misurato commento sonoro.
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fedeleto
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sabato 18 febbraio 2017
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il giardino dei ricordi
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Alla vigilia della seconda guerra mondiale Micol e Alberto fanno parte della famiglia nobile ebrea Finzi contini, e nella lussuosa villa ospitano vari amici per partite di tennis, tra cui il giovane Giorgio amico della ragazza fin dall'adolescenza, e quando confessera il suo amore le cose cambieranno, e gli animi vivranno un dolore incessante per la persecuzione imminente.Vittorio De Sica (amanti, la ciociara) dirige un film ottimo, ispirato dal libro di Giorgio Bassani.La trama sentimentale manifesta chiaramente un concetto velato di dolore dell'anima che emerge gradualmente sia con la storia sei due ragazzi, sia con la persecuzione alle porte.La bellezza tecnica del buon direttore della fotografia gioca un ruolo di primaria importanza, le luci accese, quasi vive, che sembrano appunto esprimere l'animo dei protagonisti ( bellissima la sequenza nella carrozza), fino a quella neve nel giardino che preannuncia un gelo e una fine vicina.
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Alla vigilia della seconda guerra mondiale Micol e Alberto fanno parte della famiglia nobile ebrea Finzi contini, e nella lussuosa villa ospitano vari amici per partite di tennis, tra cui il giovane Giorgio amico della ragazza fin dall'adolescenza, e quando confessera il suo amore le cose cambieranno, e gli animi vivranno un dolore incessante per la persecuzione imminente.Vittorio De Sica (amanti, la ciociara) dirige un film ottimo, ispirato dal libro di Giorgio Bassani.La trama sentimentale manifesta chiaramente un concetto velato di dolore dell'anima che emerge gradualmente sia con la storia sei due ragazzi, sia con la persecuzione alle porte.La bellezza tecnica del buon direttore della fotografia gioca un ruolo di primaria importanza, le luci accese, quasi vive, che sembrano appunto esprimere l'animo dei protagonisti ( bellissima la sequenza nella carrozza), fino a quella neve nel giardino che preannuncia un gelo e una fine vicina.Simbolismi chiari( il muro del giardino, come un confine di classe sociale), e ricordi vivi che a tratti prendono il posto del presente.Il tema principale nel film rimane sempre la debolezza umana e un fato al quale non ci si può opporre, un De Sica esistenzialista in piena forma e talento.Buone musiche di Manuel De Sica.
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