ciro
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giovedì 19 maggio 2005
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l'apice
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Forse esagero, ma secondo me è il più grande film della storia del cinema. Qui non si tratta di distrarsi per un paio d'ore davanti allo schermo, ma di vivere un'esperienza totalizzante che ti cambia il modo di considerare il cinema. Dall'alto di uno stile ineguagliabile, Dreyer costringe lo spettatore ad entrare in uno stato ipnotico, ad interessarsi al più piccolo ed insignificante dettaglio: una sedia in fondo ad una stanza, una finestra, una nuvola. Un cinema ridotto all'osso, senza effetti, recitazioni sopra le righe o grandi riprese in esterno, e che rappresenta il vertice artistico di tutta la settima arte.
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mario sconamila
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giovedì 15 febbraio 2007
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un film complesso perche' religioso.
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Quando possiamo considerare capolavoro un film?Oltre alla bellezza artistica ed al cast,deve porci delle problematiche,anche a futura memoria.
Ordet si può annoverare fra questi.E' difficoltoso trattare temi religiosi:ben lo sanno i registi che hanno sempre evitato di avventurarsi in questo campo inesplicabile.Molti di coloro che hanno osato farlo,sono rimasti impigliati proprio nella difficoltà di rappresentare la fede.Si potrebbe dire che può affrontare e trattare temi religiosi solo chi è addentrato profondamente in essi.Non in modo bigotto,si badi bene,ma in quello umano e veritiero.Carl Theodor Dreyer è fra questi.Ne la fede la sua vita,la sua perspicacia,la sua profonda convinzione della debolezza del genere umano.
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Quando possiamo considerare capolavoro un film?Oltre alla bellezza artistica ed al cast,deve porci delle problematiche,anche a futura memoria.
Ordet si può annoverare fra questi.E' difficoltoso trattare temi religiosi:ben lo sanno i registi che hanno sempre evitato di avventurarsi in questo campo inesplicabile.Molti di coloro che hanno osato farlo,sono rimasti impigliati proprio nella difficoltà di rappresentare la fede.Si potrebbe dire che può affrontare e trattare temi religiosi solo chi è addentrato profondamente in essi.Non in modo bigotto,si badi bene,ma in quello umano e veritiero.Carl Theodor Dreyer è fra questi.Ne la fede la sua vita,la sua perspicacia,la sua profonda convinzione della debolezza del genere umano.Ordet è comunemente soggetto a critiche,come dire,legate al tempo.Si dice che il film invecchia male,che risulta datato,che tratta pensieri che il tempo ha cancellati.Errore colossale,tanto più grave perchè detto da persone che solo nominalmente entrano nel profondo della pellicola.Analizzato a dovere risulta essere invece un film sempre attuale,attinente alle necessità spirituali degli uomini,indipendentemente dal loro credo.
C'è l'eterno conflitto dell'uomo con il "Dio",uguale per tutti ma diverso in base alla nostra coscienza.Nessuno è escluso da questa disputa,nemmeno chi il Dio non lo accetta e lo rifiuta.Nelle persone dei due vecchi Borgen e Peter troviamo l'eterna illusione o certezza di rappresentare il vero,il più giusto,il più autentico.Singolare questa diatriba.Considerarsi nelle braccia di uno stesso Creatore non è più sufficiente per l'uomo.Ognuno si arroga il diritto di rappresentare quello più vero e talvolta rigido,inflessibile ed insieme caritatevole.Ogni famiglia è coinvolta in questa ricerca o rifiuto.I tre fratelli Borgen sono l'esempio classico dei dubbi e delle incertezze che sovrastano la debolezza umana.Ognuno segue una via,anche quella estrema,incomprensibile ed audace.C'è un personaggio centrale che troneggia,seppur in modo silenzioso e discreto:Inger.
Non è certo una novità,per gli amanti di Dreyer.In realtà il cineasta danese ha sempre messo la condizione femminile al centro delle sue opere.Anche qui non si smentisce.Inger dirige le scene sia nelle non numerose fasi in cui presenzia,sia in quelle dove non appare,non può parlare ma inevitabilmente condiziona tutti gli interpreti.E' sicuramente l'aspetto chiave:la donna al centro dell'attenzione,gli altri che si muovono in corrispondenza delle sue azioni.Secondo Dreyer la fede non si ha se non la si "sente" interiormente in modo quasi parossistico.Con la fede non si scherza,non si finge.Per poterla sentire ed attuare,bisogna "credere" in essa.Chi non lo fà è fuori,senza scampo.Solo con la fede si può sperare nel "miracolo",che altro non è che la manifestazione che il "Dio" elargisce a chi crede in lui.In fondo,la resurrezione di Inger è soprattutto un "simbolo",da consegnare a colui che viene ripagato della fede.Non meno importanti altri aspetti.Ordet è l'esaltazione del credo protestante,che Dreyer simboleggia in aperto contrasto col cattolicesimo.Poche persone,oggetti essenziali,ambiente sobri e puliti,persone poco ciarliere e per niente ingombranti.Quindi niente statue,processioni,rumori,commenti,madonne.Forse il regista ci ammonisce che nella fede il silenzio e la contemplazione devono avere la meglio sull'assordante rumore di fondo.Nella figura di Inger si consegna a noi uomini la chiave di interpretazione di questa vita.
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gabriella
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sabato 3 aprile 2010
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la luce che attraversa la vita
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Significativo come un film datato 1954, visto ai giorni nostri, mantenga inalterata la forza del messaggio e della visione, riconoscimento a registi che hanno segnato la storia del cinema, e a pieno titolo, Dryer si collaca tra essi. Anche se il film fosse realizzato ai giorni nostri, il bianco e nero sarebbe fondamentale alla storia rappresentata, all'essenzialità degli ambienti,, svuotati da qualsiasi elemento che potrebbe alterarne la profondità e la purezza.
Il vecchio Borger vive con i tre figli; Mikkel, sposato ad Inger, Anders, il minore e Jhoannes, che ha perso la ragione in seguito ai suoi studi di teologia. Inger è l'elemento centrale, il perno cui convergono i raggi, l'equilibrio della famiglia, la sua fede è genuina, semplice, infatti è la sola a credere che le condizioni di Johannes possano migliorare, che un miracolo possa accadere.
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Significativo come un film datato 1954, visto ai giorni nostri, mantenga inalterata la forza del messaggio e della visione, riconoscimento a registi che hanno segnato la storia del cinema, e a pieno titolo, Dryer si collaca tra essi. Anche se il film fosse realizzato ai giorni nostri, il bianco e nero sarebbe fondamentale alla storia rappresentata, all'essenzialità degli ambienti,, svuotati da qualsiasi elemento che potrebbe alterarne la profondità e la purezza.
Il vecchio Borger vive con i tre figli; Mikkel, sposato ad Inger, Anders, il minore e Jhoannes, che ha perso la ragione in seguito ai suoi studi di teologia. Inger è l'elemento centrale, il perno cui convergono i raggi, l'equilibrio della famiglia, la sua fede è genuina, semplice, infatti è la sola a credere che le condizioni di Johannes possano migliorare, che un miracolo possa accadere. Non a caso il suo volto è perennemente illuminato da una luce morbida (la fede), mentre quello del marito e del suocero assumono contrasti netti, Mikkel nella sua perdita della fede e Morten che invece è un credente che poggia sulla sicurezza della ragione, la sua razionalità si arresta sulla soglia senza osare varcarla. L'inquadratura analitica, l'uso della luce e di come vengono colpiti i soggetti, ci rimanda alla pittura fiamminga, creando un effetto "fotografico" potente e conferendo caratterialità ai personaggi.
Il film di Dryer non è un film sulla religione, ma un film sulla fede, sull'affidarsi ad essa con sicurezza, laddove non esiste un senso di sicurezza, così come la bambina di Inger si affida a Johannes ed è certa che lui salverà la mamma, perchè lei è riuscita a oltrepassare la soglia . Non sono forse i semplici, i puri di cuore a entrare in intimità con Dio? E non è a loro che Dio si rivela ? Ed è attraverso Johannes che avviene il miracolo, la resurrezione di Inger è la fede finalmente svegliata, e ritrovata da Mikkel, che nell'abbraccio alla moglie verrà investito dal fascio luminoso di lei.
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luca scialò
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sabato 25 settembre 2010
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il potere della fede
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In un paesino collinare danese, la vita di una famiglia di fattori, i Borgen, scorre tranquillamente; sebbene uno dei tre figli maschi del vedovo signor Morten Borgen, Johannes, vaga in casa colto da una crisi mistica dopo studi teologici, credendosi Gesù Cristo. Un altro figlio, Mikkel, è sposato con la servizievole Inger ed ha due figlie, aspettando il terzo maschio; non è credente quanto il padre, anzi non crede affatto. Il più piccolo, Anders, si è innamorato di Anna, figlia di un sarto, ma entrambi i padri non vogliono; uno per ragioni sociali, l'altro per questioni religiose.
I pregiudizi e le miscredenze dei protagonisti, frutto della fede totalizzante o di contro, dell'ateismo, saranno però sconfitte da un evento miracoloso.
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In un paesino collinare danese, la vita di una famiglia di fattori, i Borgen, scorre tranquillamente; sebbene uno dei tre figli maschi del vedovo signor Morten Borgen, Johannes, vaga in casa colto da una crisi mistica dopo studi teologici, credendosi Gesù Cristo. Un altro figlio, Mikkel, è sposato con la servizievole Inger ed ha due figlie, aspettando il terzo maschio; non è credente quanto il padre, anzi non crede affatto. Il più piccolo, Anders, si è innamorato di Anna, figlia di un sarto, ma entrambi i padri non vogliono; uno per ragioni sociali, l'altro per questioni religiose.
I pregiudizi e le miscredenze dei protagonisti, frutto della fede totalizzante o di contro, dell'ateismo, saranno però sconfitte da un evento miracoloso.
Il regista danese Carl Theodor Dreyer, non nuovo a film con tematiche mistiche e fantastiche, ci propone un film sulla fede e i suoi molteplici aspetti. Soprattutto sul rischio che essa possa produrre in modo controproducente, conflitti sociali e pregiudizi. Johannes, nel suo vaneggiare utilizzando il verbo di Cristo, cerca proprio di comunicare ciò ai suoi familiari e conoscenti, che credono in Cristo ma allo stesso tempo lo rinnegano. Su tutti, il più significativo è proprio un dialogo di Johannes con un Pastore; con il secondo che, con le sue risposte profane, mostra quanto sia lontana la stessa Chiesa da Chi l'ha voluta.
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stefano capasso
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domenica 16 agosto 2020
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i conflitti che oscurano le evidenze e le necessit
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Nella campagna danese vive la famiglia Borgen, il patriarca con i suoi tre figli, uno dei quali sposato con due figlie. Uno dei figli, Johannes, è impazzito dopo gli studi di teologia e si aggira profetico per la casa, mentre il minore Andrers, è innamorato della figlia del sarto che è assolutamente contrario all’unione perché le due famiglie hanno credo religiosi diversi. Gli eventi precipitano quando Inger, moglie del più grande dei figli, perde il figlio durante il parto.
Carl Theodor Dreyer mette in scena dai contenuti altamente spirituali rigoroso e austero. Scarne sono le ambientazioni, essenziale la regia che sceglie la panoramica come unica forma narrativa per una sorta di kammerspiel che vede tutti gli attori impegnati in una recitazione straniante.
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Nella campagna danese vive la famiglia Borgen, il patriarca con i suoi tre figli, uno dei quali sposato con due figlie. Uno dei figli, Johannes, è impazzito dopo gli studi di teologia e si aggira profetico per la casa, mentre il minore Andrers, è innamorato della figlia del sarto che è assolutamente contrario all’unione perché le due famiglie hanno credo religiosi diversi. Gli eventi precipitano quando Inger, moglie del più grande dei figli, perde il figlio durante il parto.
Carl Theodor Dreyer mette in scena dai contenuti altamente spirituali rigoroso e austero. Scarne sono le ambientazioni, essenziale la regia che sceglie la panoramica come unica forma narrativa per una sorta di kammerspiel che vede tutti gli attori impegnati in una recitazione straniante. Il tema è quello dei conflitti religiosi che regolano le vite delle famiglie, così impegnati a difendere il loro credo protestante, cattolico o ateo e capaci di perdersi in questa battaglia fino a perdere di vista la realtà, quello che accade intorno e l’essenza stessa della vita spirituale: la fede. Nessuno si accorge che Johannes in quelli che vengono visti come deliri profetizza letteralmente ciò che sta per accadere, in una sorta di coro greco. E nessuno riesce a mantenere quella fede forte e incrollabile capace di far accadere i miracoli.
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