
Anno | 2002 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 106 minuti |
Regia di | Ken Loach |
Attori | Michelle Abercrombie, Martin Compston, William Ruane, Annmarie Fulton . |
Tag | Da vedere 2002 |
Distribuzione | Bim Distribuzione |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,09 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 12 dicembre 2014
La storia di un'adolescenza difficile, quella di Lyam, che aspetta l'uscita dal carcere della madre e spaccia eroina a Glasgow. Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha ottenuto 1 candidatura al Festival di Giffoni, In Italia al Box Office Sweet Sixteen ha incassato 512 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Scozia. Lyam vive un'adolescenza difficile. La madre è in carcere per consumo di droga e il suo compagno vuole trasformarlo in corriere quando la va a trovare di modo che la donna possa spacciare in prigione. Dato che Lyam si rifiuta viene cacciato da casa e cerca asilo presso la sorella Chantel che è una ragazza madre. Il sogno di Lyam è quello di poter acquistare una casa prefabbricata per viverci con madre, sorella e nipote. Per far ciò ruba la droga al patrigno, la taglia con l'aiuto dell'amico Flipper, e cerca di entrare nel giro dello spaccio.
"Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia" così cantava Lorenzo il Magnifico e così ancora vorrebbe una certa retorica attorno ai 'dolci' anni dell'adolescenza. Purtroppo non è per tutti così e Ken Loach dimostra di esserne consapevole nel momento in cui porta sullo schermo il quasi sedicenne Lyam e lo segue nel suo rapporto con la figura materna. Lyam vuole proteggerla anche (forse soprattutto) da se stessa oltre che da un mondo che sente ostile. La donna oppone a questo atteggiamento una sorta di anaffettività che Loach ci mostra con discrezione ma non lesinandone i dettagli. Si tratta quasi di un ritorno a Kes, suo secondo lungometraggio, in cui un adolescente di periferia aveva come unico amico un piccolo falco che gli veniva ucciso dal fratello. Ma mentre in quel caso lo sguardo del regista si concentrava all'interno del nucleo familiare ora, grazie al contributo del fedele Paul Laverty alla sceneggiatura, si allarga alla società. Lyam crede, illudendosi, di poter raggiungere una meta positiva (la casa) utilizzando un mezzo illegale senza venirne toccato nell'intimo. Il mondo dello spaccio è pronto a ricordargli che la realtà (o, almeno, una certa realtà) procede diversamente ed è pronta a calpestare qualsiasi sua pulsione positiva rendendo profondamente amari i suoi sedici anni.
Sweet Sixteen è un film sul passaggio dall’adolescenza alla maturità, che per il protagonista coincide con la caduta di speranze, sogni, utopie di fronte alla realtà. Racconta una tragedia determinata dalle scelte individuali e insieme da una situazione sociale degradata, segnata da disoccupazione, precarietà del lavoro, assenza dello Stato e della scuola, povertà, violenza. Nel cinema di Loach è basilare la dialettica tra individuo e società. Il regista «individua un contesto, isola dei personaggi, costruisce intorno a loro delle storie e fa sì che il suddetto contesto emerga da queste storie, e non viceversa» (Crespi). Sweet Sixteen è un film, come tutti quelli di Loach, dalla parte dei deboli, degli emarginati. Il titolo allude a un’età che dovrebbe essere “dolce” e che per Liam inizia invece con l’amara fine dei sogni. Liam è senza padre, privo di modelli maschili positivi. Dalla parte femminile ci sono la madre Jean e la sorella Chantelle. Jean è una donna marchiata dalla tendenza all’autodistruzione, presente anche in Liam: è figura dello squilibrio. Chantelle è una ragazza matura che si è staccata dalla madre: non ne ha più bisogno, perché è lei stessa madre, si è assunta con responsabilità il ruolo di figura materna per il figlio Calum, e per Liam: è figura dell’equilibrio. Liam è dominato dal sogno della famiglia e della casa: desidera un futuro migliore, una vita dignitosa, una famiglia da formare con la madre, la sorella, il nipote. Il film segue il percorso che questo sogno compie fino a infrangersi contro la realtà. Per la realizzazione del sogno, dinanzi a Liam si aprono due strade: da una parte, il lavoro onesto, precario, poco remunerativo; dall’altra, la criminalità. Liam sceglie la seconda strada. Si crea un circolo vizioso: per liberare la madre dalla droga e ribellarsi al male, Liam spaccia droga e si fa strumento di altro male. I suoi sogni sono puri; i mezzi per realizzarli sono malsani e lo portano a farsi carico della colpa che lo sprofonda in una tragica caduta. Alla fine, Liam giunge sulla riva di un fiume, in un luogo desolato, su un terreno melmoso dove non sarebbe possibile costruire nulla: acquisisce coscienza dell’irrealizzabilità del sogno di avere una casa, una famiglia, approda a una fatale solitudine.
Presentato a Cannes 2002. Glasgow si addice a Loach. Siamo già al terzo film che vede la città scozzese teatro della vicenda. Il giovane Liam vive di piccola criminalità, del resto non ha molte scelte. Sua madre Michelle è in prigione per spaccio, mancano settanta giorni poi uscirà. Liam conta le ore. E Loach fa se stesso e mostra ciò che più gli preme, il degrado della città, dove la crisi dei cantieri ha portato povertà e disoccupazione. Dunque a Liam non resta che inserirsi nel giro più grande, lo spaccio dell'eroina. Un minimo di serenità gli arriva dalla sorella e da un suo amico, ma la madre, una volta uscita, preferisce dedicarsi al suo amante, un vero delinquente. Tutto è predisposto per il finale, tragico. Loach non farà mai film insignificanti, ma un po' ripetitivi, come questo, sì.