Prisoner

Film 2023 | Drammatico 58 min.

Regia di Frederik Louis Hviid, Michael Noer. Una serie Da vedere 2023 con Sofie Gråbøl, David Dencik, Youssef Wayne Hvidtfeldt, Charlotte Fich, Kim Winther. Cast completo Titolo originale: Huset. Genere Drammatico - Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda, Finlandia, 2023, Valutazione: 4 Stelle, sulla base di 1 recensione. STAGIONI: 1 - EPISODI: 6

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Ultimo aggiornamento venerdì 26 settembre 2025

Una miniserie danese incentrata sul dramma carcerario: la violenza, il traffico di droga, la corruzione del personale e la difficile convivenza tra detenuti e agenti.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO
ASSOLUTAMENTE SÌ
Uno sguardo estremamente realistico sul carcere, tra nervature documentarie e controllo coreografico.
Recensione di Gabriele Prosperi
venerdì 26 settembre 2025
Recensione di Gabriele Prosperi
venerdì 26 settembre 2025

Un carcere danese invecchiato, popolato da bande che dettano legge e da agenti che tengono insieme il quotidiano con compromessi invisibili: qui arriva Sammi (Youssef Wayne Hvidtfeldt), idealista e pieno di regole che presto dovrà mettere da parte, che trova un reparto ormai assuefatto a prassi che tengono il carcere in uno stato d'assedio "pacifico", grazie a una gestione ufficiosa lasciata ai prigionieri. Tra le guardie spiccano Henrik (David Dencik), maestro nell'arte del non vedere per conservare questo equilibrio fragile, e Miriam (Sofie Gråbøl), collega rigorosa ed empatica ma logorata da un figlio con problemi di droga.

La direttrice Gert (Charlotte Fich), manager navigata che conosce ogni scricchiolio dell'istituto, è al limite di una gestione impossibile - del carcere e della propria vita privata. Quando l'amministrazione annuncia ispezioni e strette sui traffici interni per salvare la struttura dalla chiusura, l'equilibrio si spezza.

Siamo soliti considerare la Danimarca un modello di qualità della vita, istruzione eccellente e welfare generoso; eppure, appena si varcano le mura delle sue carceri, l'immagine si incrina.

Negli ultimi anni, infatti, i detenuti effettivi hanno spesso superato la capienza dichiarata, con un sovraffollamento gestito riducendo spazi comuni e servizi. In questo contesto, si è persino arrivati a proporre - e nel 2024 a formalizzare - l'esternalizzazione di parte della pena: trecento celle nel carcere di Gjilan, in Kosovo, a oltre 1.600 km, affittate con un canone annuo di 15 milioni di euro. Una soluzione presentata come efficientamento, ma che rischia di comprimere diritti elementari; in altre parole, così come accade in altri paesi (Italia compresa), l'ordine pubblico si preserva spostando altrove corpi e responsabilità, facendo pagare il conto proprio agli individui.

Qui si inserisce Prisoner (titolo originale: Huset) serie danese vincitrice nel 2023 del Prix Italia come miglior serie drammatica. Contestualizzata nella tradizione nordica del crime adulto ma lontana dal procedural, la serie mette lo sguardo sul carcere come microcosmo sociale, più che come scenografia di comodo.

Prisoner nasce dal lavoro di Kim Fupz Aakeson, che ha già esplorato questo universo in forma letteraria, e dalla regia a quattro mani di Frederik Louis Hviid e Michael Noer, cineasti abituati a interrogare le istituzioni. Non a caso il progetto ha viaggiato nei festival internazionali, qui cambiando il titolo, spostandolo da Huset (casa) a Prisoner (prigioniero): un dettaglio di non poco conto e che segnala due cose. Primo, l'ambizione di parlare a un pubblico più ampio del recinto nazionale. Secondo, la scelta di una prospettiva inusuale: non il detenuto come protagonista assoluto, bensì gli agenti, con le loro logiche di sopravvivenza professionale. Il carcere, insomma, come posto di lavoro sottopagato e sottorganico, in cui etica e utilità confliggono a ogni svolta, e come specchio di sistemi più grandi - sanità, welfare, amministrazione - che scaricano a valle le proprie contraddizioni.

Tecnicamente il racconto vive di una regia che alterna nervature documentarie e controllo coreografico. Le sequenze d'azione si stringono su spalle, mani, cancelli, con un uso molto ragionato, laddove utile, della camera a mano, che riesce a integrarsi senza mai interrompere verosimiglianza e patto con lo spettatore. Una fotografia fredda e metallica enfatizza la ruggine delle porte e la pelle tesa dei volti, mettendo in contrasto la bellezza di alcuni corpi - in particolare quella dei detenuti più atletici o nelle scene di sesso - con il bagaglio sopportato sulle spalle di ogni individuo. Il suono va invece in sottrazione: ronzii continui, droni cupi, rumori di chiavi e cancelli che compongono un paesaggio acustico ansiogeno.

Dal punto di vista tecnico la serie è molto capace di articolare i momenti di pausa e le fuoriuscite dal carcere verso le vite personali dei suoi dipendenti con le esplosioni di violenza, anche brutali, che nascono perlopiù dall'inerzia delle pratiche quotidiane. Possiamo dire che la suspense di Prisoner deriva dalla scelta di creare un procedural interrotto, dovuto a un controllo spostato sui detenuti che governano, di fatto, il carcere.

Prisoner, come un procedural, parte da un cast corale, ma nuovamente interrompe questo sistema formale regalandoci degli spostamenti repentini verso uno o l'altro personaggio, che diventa, seppur temporaneamente, protagonista assoluto. Non nel senso di una puntata focalizzata su di lui/lei, bensì concentrando tutti gli eventi raccontati sulla sua persona, e così commentando criticamente lo stato delle cose: il totale scaricamento a valle delle responsabilità istituzionali. I percorsi privati - dipendenza e ricaduta, una relazione in declino a causa della malattia, una casa che non c'è più, l'omosessualità repressa, lo scostamento dai propri principi per compromesso - non sono dei riempitivi, ma delle cerniere narrative: spiegano perché, al turno successivo, ognuno sceglierà una scorciatoia o al contrario si impunterà sulla norma.

Da questa intersezione tra racconto, messa in scena e interpretazioni nasce l'estetica della serie: un thriller estremamente realistico e granoso che trasforma la burocrazia in motore narrativo, capace così di raccontare lo spostamento in un "altrove" di persone e problemi, rimuovendo o negoziando i diritti individuali di chi sconta una pena e di chi la deve far rispettare. Prisoner racconta come ogni distanza amministrativa abbia un costo umano ravvicinato, che si misura in famiglie più lontane, turni più pericolosi, comunità più fragili, e che, nel dimenticare i volti, riduce l'ordine a contabilità.

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Prisoner
Serie TV, Drammatico, Poliziesco - Danimarca, Norvegia, Svezia, Islanda, Finlandia, 2023, 6x60’

Prisoner

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FOCUS
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martedì 14 ottobre 2025
Emanuele Sacchi

Di serie ambientate in carcere ne abbiamo viste molte, da Oz a Wentworth, fino a Orange Is the New Black e Inside the World’s Toughest Prisons. Tutte, in un modo o nell’altro, raccontano la reclusione dal punto di vista dei detenuti: corpi costretti, vite sospese, sopravvivenza come unica regola. Prisoner (Huset in originale, ossia “Casa”), nuova serie danese diretta da Michael Noer, - disponibile in streaming su MYmovies ONE - sceglie invece di guardare l’inferno dall’altra parte delle sbarre. Qui i protagonisti non sono i prigionieri, ma le guardie: uomini e donne incaricati di mantenere l’ordine, in un mondo in cui l’ordine non esiste. L’idea, in apparenza semplice, produce un ribaltamento radicale.

Le mura del penitenziario non sono più una frontiera che separa i colpevoli dai giusti, ma una membrana porosa attraverso cui la violenza e la corruzione filtrano in entrambe le direzioni. L’istituzione totale, direbbe Foucault, divora chiunque vi entri, indipendentemente dal ruolo. Prisoner è proprio questo: un lento contagio morale, una discesa progressiva in cui i custodi finiscono per somigliare ai prigionieri. Tutti i cliché del genere ci sono – le gang rivali che si dividono il cortile, gli abusi, le alleanze temporanee, le regole non scritte – ma Noer li utilizza per costruire qualcosa di più ambiguo.

Non c’è romanticismo né eroismo: solo la fatica quotidiana, il peso delle scelte impossibili, la consapevolezza che la legge, dentro la Casa, vale meno del silenzio. Le due fazioni dominanti – da una parte i musulmani, dall’altra un gruppo di suprematisti bianchi mai nominati apertamente – delineano un equilibrio instabile che le guardie devono amministrare come diplomatici in zona di guerra. A emergere è una tensione costante tra principio e compromesso. C’è chi, come il veterano Henrik, ha imparato a sopravvivere piegandosi alle logiche interne, e chi, come Miriam, tenta disperatamente di mantenere una linea morale in un contesto che la divora.
 

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