Meraviglioso incubo
di Lietta Tornabuoni L'Espresso
Da tempo il regista danese di 53 anni, sta davvero male. Si aggravano i suoi disturbi nervosi (clasutrofobia, attacchi di panio): molte mattine non arriva ad alzarsi dal letto, soffre d'insonnia, piange, si sente dissociato dal proprio corpo. Le sue mani sono scosse da un tremito perenne che gli impedisce di prendere appunti e di tenere la macchina da presa, come ha sempre fatto. Sragiona, con impressionante arroganza: «Sono il miglior regista al mondo. Dio non è il miglior Dio possibile, l'unico vero Dio è, Tarkovski. Questo "Antichrist" mi ha salvato la vita». Non sembra che il film abbia nulla in comune con l’Anticristo di Nietzsche; il regista dice di tenere quel testo sul comodino da quando aveva dodici anni, ma di non essere mai riuscito a leggerlo, forse in avvenire... Da tre anni è caduto in grave depressione, ed è consapevole della sua malattia. Eppure "Antichrist", film non riuscito (con Charlotte Gainsbourg premiata a Cannes come migliore attrice), ha cose bellissime. È diviso in capitoli, come per tenere in ordine, se non la mente, la materia narrativa: prologo, il dolore, la pena, la sofferenza, i tre mendicanti, epilogo. All'inizio in bianconero, mentre una coppia coniugale fa l'amore, il suo bambino piccolo s'arrampica su una finestra, cade, muore. Musica di Haendel. Sequenza plasticamente stupenda: amore e morte, piacere e sofferenza.I due si rifugiano in una baita tra i boschi (qui cominciano le riprese a colori, sempre neroverdi). Lei affonda in uno stato di demenza che ne fa una strega; lui, psicoterapeuta, adotta con lei una terapia sadica. Per autopunizione lei immobilizza il marito infliggendogli una mola in una gamba, si mutila i genitali con le forbîci, Freud, Nietzsche, Heronimus Bosch, Strindberg. Questa parte del film presenta l'atmosfera di cui sono fatti i sogni: apparizioni repentinee, animali parlanti come in una fiaba (una volpe insanguinata dice: "Il caos regna”). Forse non s'è mai visto vun film così capace di turbare profondamente, così sincero.
Da L’Espresso, 4 giugno 2009
di Lietta Tornabuoni, 4 giugno 2009