"Antichrist" si apre con una lunga scena che alterna due momenti contemporanei di una notte invernale: il rapporto sessuale intenso tra un uomo (Willem Dafoe) e una donna (Charlotte Gainsbourg), reso meno "diretto" dalla suadente colonna sonora, e l'uscita del loro bimbo dal box e la sua successiva fatale caduta dalla finestra.
La tragedia della morte accidentale del figlioletto getta la coppia nella più totale disperazione, dalla quale però la donna non riesce assolutamente ad uscire. Il marito, psicoterapeuta, decide di aiutare la moglie ad uscire da questa sofferenza insopportabile, anzichè lasciare il compito ad esperti non coinvolti direttamente dalla tragedia. Ma la donna naviga nel suo dolore, che si fa sempre più intenso, disperato e violento. Sembra non poterne più uscire. La donna manifesta continuamente stati emotivi alterni: furia, dolore disperato, voracità sessuale. L'uomo decide allora di risalire alla fonte del problema, all'originario punto di innesco del dolore della compagna; il che porterà la coppia ad afrontare un viaggio fisico verso la loro casa nel bosco, e uno psicologico verso quello che sarà, contrariamente alle loro speranze, l'inizio della fine.
Guardando questo film, non può non venire in mente, la dicotomia freudiana "Eros e Thanatos", l'impulso verso l'amore e quello verso la morte. Già introdotto fin dal principio del film, il sesso in questo film (come in molti altri di Von Trier) gioca un ruolo chiave. Desiderato dall'uomo, reso fonte di violenza dalla donna, riflette l'idea che Lars von Trier ha della nostra natura sessuale: impulso primariamente benefico che si trasforma nelle mani della donna in una potenza distruttiva e autodistruttiva. Nella sessualità della donna, il regista sembre scorgere una natura quasi demoniaca, facendo trasparire la sua difficoltà nelle relazioni con il femminile; cosi come demoniaca ci appare anche la Natura, che anzi si manifesta come la Madre del Male.
Alcune scene di questo film sono decisamente forti, crude, sconvolgenti e angoscianti. Ma, a ben pensarci, questi aggettivi costituiscono generalmente la filmografia di Von Trier. In questo ambito perciò niente di nuovo. Incredibilmente nuova è però la sconvolgente sincerità con cui il regista ci apre la sua mente. Il termine "aprire" non è affatto casuale, in quanto guardando questo film abbiamo la sensazione che il regista ci stia letteralmente proiettando nella sua mente. In realtà però, il percorso è inverso: non siamo noi ad entrare nella psiche del regista/uomo Lars von Trier, ma è lui ad aprirsi totalmente a noi spettatori.
Come ogni viaggio nella psiche di un altro essere umano, ci imbattiamo in immagini e pensieri inquietanti, crudeli, meravigliosi, stupefacenti, irrazionali, inimmaginabili. Non c'è perciò da stupirsi che il film e il suo geniale regista abbiano incontrato resistenze e difficoltà.
Questo film è nato dopo anni di profonda depressione del regista, depressione dalla quale Lars Von Trier non ha mai sostenuto/smentito di essere uscito. E' un film a mio parere molto forte, sconvolgente, crudo, di difficile comprensione.. un pò come l'uomo che lo ha partorito. Di una genialità più unica che rara, questo film è il testamento psicologico che Lars von Trier lascia al suo pubblico, a chi lo ama e a chi lo odia; ma che forse lascia anche a se stesso, dando libero sfogo a ciò che ha dentro.
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