Gravity |
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Un film di Alfonso Cuarón.
Con Sandra Bullock, George Clooney, Ed Harris, Orto Ignatiussen.
continua»
Fantascienza,
Ratings: Kids+13,
durata 92 min.
- USA, Gran Bretagna 2013.
- Warner Bros Italia
uscita lunedì 10 giugno 2024.
MYMONETRO
Gravity
valutazione media:
3,63
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Gravitydi MiroFortiFeedback: 2700 | altri commenti e recensioni di MiroForti |
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lunedì 7 ottobre 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un’esperienza emozionale e visiva piena e vastissima. Alfonso Cuaròn è nei cuori di tutti i fan della saga cinematografica di Harry Potter per aver diretto il Prigioniero di Azkaban, uno dei migliori episodi della serie. Dopo nove anni e I figli degli uomini, Cuaròn ci regala il più bel film di fantascienza del 2013 e ci presenta la sua opera più riuscita. L’impatto che Gravity ha sullo spettatore è assoluto, da tutti i punti di vista, dal principio fino all’ultima inquadratura. Un film ferreo nonostante l’immenso vuoto con il quale si trova a dover fare i conti, un film grazie al quale il concetto di sublime faticherà a trovare una migliore corrispondenza. Il soggetto – firmato dallo stesso Cuaròn in collaborazione con il figlio Jonas – vanta una semplicità quasi essenziale. Una missione spaziale sulla stazione orbitante Explorer per la quale l’astronauta Matt Kowalsky (George Clooney) ha «una brutta sensazione», si trasformerà in una lotta per la sopravvivenza degli unici due superstiti: lo stesso Kowalsky e la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock). La bellezza dei panorami e l’apertura di inquadrature davvero ampie si alternano a soggettive claustrofobiche accompagnate da respiri affannosi, ma in entrambi i momenti la tensione non dà tregua. Più di una volta l’istinto sarà di trattenere il respiro assieme alla dottoressa Stone, più volte proveremo la stessa sensazione di disorientamento, di assenza di punti di riferimento certi. Il coinvolgimento emotivo è in effetti uno dei punti forti del film, che lo attua grazie a uno spazio vuoto, riempito a poco a poco dall’umanità dei due protagonisti, dal loro rapporto e dalle loro vite. Alcuni hanno individuato un parallelo tra Gravity e il capolavoro di Stanley Kubrick, 2001: odissea nello spazio per la tendenza alla contemplazione di certe inquadrature e l’uso dei suoni (che nello spazio non si propagano). Naturalmente Il lavoro di Cuaròn è figlio del suo tempo, le varie caratteristiche si sono aggiornate al nuovo millennio e la contemplazione risulta più difficile al pubblico di oggi, ma c’è un elemento di assoluta importanza comune alle due pellicole: entrambe si configurano come una metafora di crescita e di evoluzione umana, accompagnano il rispettivo eroe in un viaggio che ha una meta superiore a quella di partenza. Nel 1968 il viaggio era universale, l’evoluzione era tangibile, la meta meravigliosa. Il 2013 racconta un viaggio personale che comincia per Ryan Stone con la solitudine e l’emancipazione, insieme con la consapevolezza di poter contare solo sulle proprie forze – e sulle proprie debolezze –. Questa condizione la costringe, fluttuante e in posizione fetale, a una rinascita. Ciò realizza una delle immagini più potenti dell’intero film, e in virtù del paragone proposto poco sopra, è difficile non vedere in essa un riferimento (seppur solo visivo) allo Star Child di 2001. Da dove finiva Kubrick, il percorso della dottoressa ha inizio, e la ricerca si conclude come meglio non potrebbe; nelle battute finali, Gravity chiude il cerchio e raggiunge una seconda e ultima rinascita. La salvezza si manifesta nel superamento del film stesso, della forza che gli dà il nome, che schiaccia e costringe a terra. Lo sforzo definitivo che trasformerà la solitudine in libertà.
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