La versione di Barney |
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Un film di Richard J. Lewis.
Con Paul Giamatti, Dustin Hoffman, Minnie Driver, Rosamund Pike, Rachelle Lefevre.
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Titolo originale Barney's Version.
Commedia,
durata 132 min.
- Canada, Italia 2010.
- Medusa
uscita venerdì 14 gennaio 2011.
MYMONETRO
La versione di Barney
valutazione media:
2,82
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un adattamento non riuscitodi Alessandro GuattiFeedback: 734 | altri commenti e recensioni di Alessandro Guatti |
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venerdì 22 giugno 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Qualcuno sostiene che non bisognerebbe parlare di un film confrontandolo con il romanzo da cui è tratto. In parte sono d'accordo, perché ritengo che essi rappresentino due opere d’arte distinte. Eppure bisogna farlo, perché il rapporto con la fonte è uno dei tratti caratteristici di un adattamento. Non si può realizzare un film traendolo da un libro e poi aspettarsi e che il pubblico non confronti le due opere. Siamo tutti consapevoli del fatto che misurarsi con una trasposizione non sia cosa semplice. Tentare di portare sullo schermo un romanzo, di trasformare un’opera letteraria in un’opera cinematografica, è un’impresa ardua, che spesso fallisce. La complessità della tessitura di un racconto non sempre riesce ad essere tradotta o trasposta in un medium altro rispetto alla letteratura. D’accordo, nel passaggio non dobbiamo necessariamente ambire ad una fedele trasposizione. Anzi: quando si decide di tradurre un romanzo in un film bisogna cercare di realizzarne una rielaborazione che aggiunga qualcosa all’opera di partenza. Non fraintendetemi: non sto dicendo che sia necessario stravolgere l’impianto narrativo o inventare ambienti e personaggi. L’aggiunta può essere data anche dalla semplice offerta della visualizzazione di ambienti, storie e soprattutto atmosfere che il romanzo di partenza aveva scatenato nella nostra mente e nella nostra fantasia. Vedere lì, sullo schermo davanti ai proprio occhi, ciò che prima era soltanto una proiezione immaginifica delle parole scritte rappresenta già per lo spettatore una gratificazione cinematografica. Ma questa versione della Versione di Barney è un’operazione (chiaramente commerciale) che ha come effetto un togliere anziché un aggiungere. Qual è infatti il valore aggiunto di questo film? Tanto per cominciare, non è chiaro a cosa dovrebbe riferirsi il titolo. Se nel romanzo è Barney stesso a narrare la sua vita per raccontare la sua versione (dei fatti), diversa da quella che il mondo è stato indotto a credere, in questo film non c’è alcuna versione! C’è unicamente la storia raccontata. Concordo sul fatto che la voce fuori campo offra una via d’uscita troppo facile alle difficoltà della narrazione letteraria e quindi non disprezzo la scelta di un racconto esposto attraverso una narrazione oggettiva a focalizzazione zero anziché una in prima persona come quella del romanzo. Ma che si sia perso per strada il fatto che Barney inizi a raccontare la sua vita per offrire la sua versione dei fatti in merito all’omicidio dell’amico, mi pare davvero troppo. Oltretutto in questo modo si è persa anche la dialettica con gli altri personaggi a proposito della fiducia in Barney (sarà colpevole o no?), nonchè l'introduzione di un secondo narratore che prosegua la storia e sveli il mistero (praticamente assente nel film) quando Barney muore. La struttura narrativa è completamente alterata per riportarla ad un’ordinaria narrazione cronologica, perdendo così la complessità della narrazione a ritroso e soprattutto la dualità tra il presente dell’atto della narrazione e il passato dell’oggetto della narrazione. La storia è talmente appiattita che non solo non dà spazio sufficiente ad alcuno dei temi salienti del libro (la malattia, la memoria, l’amicizia, l’amore), ma non rende quasi nemmeno comprensibile quali siano i temi di cui l’opera ci stia parlando. La morte dell’amico è rappresentata come uno dei tanti eventi della vita di Barney (e invece nel romanzo è avvertito profondamente e perseguita Barney per tutta la vita, arrivando ad essere per via indiretta - ma neanche più di tanto - proprio il motivo per cui egli senta il bisogno di offrire la sua versione). L’innamoramento e l’amore eterno per Miriam sono descritti nel romanzo con una tale poesia e un tale impeto vitale che nel film sembrano davvero “ridotti”, imprigionati in una lunghezza prestabilita. Le particolarità del carattere del protagonista (pur se ottimamente interpretato da Paul Giamatti) sembrano passate sotto una pialla che le abbia talmente uniformate a quelle di un qualsiasi protagonista di una qualsiasi storia da renderlo irriconoscibile. L’identità ebraica della famiglia Panofsky sarebbe praticamente ignorata, se non fosse per qualche “Mazel Tov” e il dialogo con la prima moglie all’aeroporto, oppure per il personaggio del padre (un Dustin Hoffman in gran forma) che avrebbe meritato più spazio. Alla luce di tutte queste riflessioni, non voglio dire che quello di Richard J. Lewis sia un brutto film, perché non è così: gli interpreti sono bravi e la regia è buona, ma la sceneggiatura risente moltissimo del confronto con il romanzo e ne esce purtroppo perdente. Il film è bello, ma francamente lo ritengo inutile.
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