Don't Look Up |
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Un film di Adam McKay.
Con Timothée Chalamet, Leonardo DiCaprio, Melanie Lynskey, Jennifer Lawrence.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+13,
durata 145 min.
- USA 2021.
- Lucky Red
uscita mercoledì 8 dicembre 2021.
MYMONETRO
Don't Look Up
valutazione media:
3,32
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Una risata vi seppelliràdi EugenioFeedback: 34763 | altri commenti e recensioni di Eugenio |
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sabato 25 dicembre 2021 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ci vuol coraggio a realizzare un film catastrofico intingendolo di una verve surreale e grottesca. Coraggio sì, ma anche bravura, acuta osservazione dello stato sociale e dei suoi mutamenti che anche la pandemia ha contribuito a cambiare. E Adam Mc Kay ha dimostrato con capacità, di riuscire a far satira, ahimè molto vicina alla realtà odierna, ironizzando sui momenti più critici e laceranti, persino riguardanti qualcosa di “poco conto” come la fine dell’umanità. Don’t Look Up, dal 23/12 su Netflix, sembra in qualche sintomatico dei tempi odierni esasperati dalla pandemia, dalla disperazione, dalla profusione di inconcludenti ipocrisie, incertezze nella scienza ma anche di ricognizioni sulle pestilenze, da Omero a Camus; quasi tutte accomunate dalla caratteristica della precarietà. Una precarietà linguistica, istituzionale, politica che coinvolge ogni parte della carta stampata arrivando persino ad attecchire il libero arbitrio rendendolo annichilente. Suona amaro sapere che dinanzi a dati scientifici e inoppugnabili sulla fine dell’umanità a causa di un evento “imprevisto”, le reazioni siano prettamente utilitaristiche o farsesche, eppure Mc Kay ne è convinto. E come dargli torto? Dopo la crisi finanziaria del 2008 con La grande scommessa, e il più ridicolo degli uomini politici americani degli ultimi anni, Dick Cheney, in Vice - L’uomo nell’ombra, Don’t look up in qualche modo riprende il filone delle persone “nell’ombra” in tempi assai delicati e controproducenti. Nella storia della scoperta di Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), dottoranda astronoma, di una cometa di nove chilometri di diametro che nel giro di sei mesi spazzerà via la Terra dal sistema solare con una probabilità prossima al 100% e del tentativo di fermarla alla Armageddon, si legge ahimè il totale disinteresse all’ascolto della scienza oggigorno, al massimo appendice priva di autorevolezza di qualche talk show da gossip. In questo modello circolare della comunicazione aprono i confini tra i dispositivi, senza divisioni tra informazione, intrattenimento e dialogo interpersonale. Ecco quindi che la parola chiave diviene da cronaca narrazione: la sete di informazione che è cresciuta negli utenti ha richiesto che tutta la trasmissione e la ritrasmissione di parole e immagini assumesse la struttura di una messa in scena, quasi un unico grande spettacolo che attraversa diagonalmente tutti i media. In questo modello il ruolo originale, naturalmente, è quello svolto dalla rete, anche se per certi versi, paradossalmente, accade anche che sia la vecchia tv a colonizzare internet, che finisce per essere lo strumento di ritrasmissione di quello che nasceva nei mezzi tradizionali. E a questo fascino nessuno ne è esente, persino il professor Randall Mindy (un occhialuto Leonardo Di Caprio) dalla fobia della camera da presa tale da indurlo a balbettamenti e crisi di stomaco dinanzi al fascino della giornalista Brie Evantee (la provocante Cate Blanchett), e divenire, per converso, adagiato su questa poltrona d’alloro, sex symbol della nuova lotta alla calamità naturale. Con buona pace della dottoranda zittita e vessata per la sua impulsiva quanto veritiera e sconcertante dichiarazione tormentata da milioni di like di disappunto e scherno.
In fondo Don’t Look Up non è il classico film che denuncia un evento catastrofico per far riflettere sul terrorismo ambientale o sulla retorica del buonismo di fondo umano, ma è una satira verace talune volte esagerata di una donchisciottesca scienza incapace di far fronte al ripiegamento umano, a una vita algoritmica che nega l’ascolto oltre la caverna platoniana in cui tutti noi siamo relegati. Ed ahimè, il quadro politico che emerge non è confortante: l’alta carica istituzionale il Presidente degli Stati Uniti, anzi la presidente, perché è una Lei, interpretata forse dalla migliore attrice del film, una esilarante Meryl Streep è interessata più a nomine governative improbabili e scandaletti sessuali che al rischio della fine del mondo. E il capo del Gabinetto, tra l’altro il figlio, non ne è esente da questa stupidità. Ci salveremo in fondo?
Come ci ricorda una citazione di inizio film dell’umorista Jack Hardey: quando muoio, voglio farlo serenamente nel sonno come mio nonno. Non urlando di terrore come i passeggeri della sua macchina, la speranza è l’ultima a morire ma alla fine, muore, anche lei lo stesso inevitabilmente. Non prima però di averci fatto ridere di terrore per la nostra miseranda (auto)distruzione.
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