Salta subito all'occhio una cosa: Amelio non fa nomi. Craxi è chiamato "il presidente", la figlia Anita, poi vi sono il giudice, il politico, l'amante... nessuna identità storica. Forse è banale ridurre Hammamet alla semplice "tortura" emotiva dell'esilio/latitanza di un moderno Napoleone. Il Craxi del perfetto Favino in realtà, porta al nostro tavolo il salato conto col passato: è lo scontro di generazioni, un tema tanto caro al cinema - soprattutto d'autore- ma che è trattato in maniera quasi rivoluzionaria, una tensione quasi nascosta, che emerge sporadicamente, ma che rappresenta il punto di forza della "Storia" e della storia craxiana. Siamo di fronte a quella generazione che, pur avendo conosciuto la fame durante guerra e la ricchezza di "quinta potenza industriale", ha commesso i suoi errori e di questi le generazioni successive da un lato ne pagano il prezzo, dall'altro sono messe di fronte all'inevitabile giudizio che-volente o nolente- bisogna dare. Ed è qui che la narrativa cinematografica di Amelio irrompe nella sua quasi perfezione: da un lato ci sono i figli che perdonano i genitori per loro errori, e li accudiscono e aiutano fino in punto di morte, dall'altro c'è chi quel passato lo vuole distruggere. Allora è chiaro che non è interesse di Amelio parlare di Craxi o di Tangentopoli (ripeto: nessun personaggio storico citato, nemmeno lo stesso Craxi) ma di portare avanti una profonda analisi sul senso dell'errore e delle sue dirette conseguenze e soprattutto sulla posizione da assumere di fronte a chi, prima di noi, ha sbagliato (discorso che può essere fatto per i grandi errori della storia o per le nostre realtà quotidiane). Analisi a parte andrebbe fatta per la complessa simbologia del film: su tutte spiccano le immagini del piccolo Craxi che rompe i vetri, forse di un oratorio, con la sua piccola fionda, e lo schermo triangolare con Craxi al centro, immagini che compaiono all'inizio e alla fine della pellicola e che rappresentano da un lato il desiderio perenne delle nuove generazioni di "distruggere" il proprio passato, deridendo perfino chi cerca di punirlo, dall'altro il triangolo, simbolo di Dio per antonomasia, in cui compare il Craxi all'apice della sua parabola e alla fine, ormai morente sulla sedia a rotelle e deriso dai pessimi comici del varietà. Ciò che siamo stati (giovani distruttori) lo saranno i nostri figli e la perenne parabola umana sarà sempre soggetta al giudizio di Dio, forse l'unica posizione che conta davvero.
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