Ormai debilitato e rifugiato ad Hammamet, l'uomo più ambiguo della storia parlamentare italiana trascorrere i suoi ultimi giorni facendo i conti con sé stesso e con i propri demoni, in una rappresentazione molto romanzata e poco convincente che chiede a gran voce di essere applaudita e si aggrappa ad un meraviglioso Favino per trovare una propria ragion d'essere. Il film rivisita un attempato Craxi in procinto di passare a miglior vita, narrando una storia quasi totalmente soggettiva e che non trova nessuno sviluppo decisivo ai fini della trama e dell'evolversi stesso delle situazioni. È difficile raccontare Craxi super partes poiché si scade sempre nell'uno o nell'altro eccesso, definendolo talora martire, talora assassino della Repubblica. Qui il problema non si pone poiché vengono trascurate totalmente le vicende processuali e politiche del defunto ex premier, tirandole semmai fuori sporadicamente in occasione di incontri con vecchi amici di Parlamento o di monologhi ripresi in videocamera che si sforzano di dare un'aura di importanza alla verità (solo parzialmente svelata) di Amelio piuttosto che di Craxi. Pierfrancesco Favino, coadiuvato da un trucco ai limiti dell'eccellenza e da una maestria nell'imitazione che lo rende più Craxi di Craxi, sfodera probabilmente la miglior prestazione della sua già ricca carriera cinematografica, che sembra però quasi sprecarsi per rincorrere uno svolgimento incerto, confusionario e a tratti grottesco (è meglio dimenticare i quindici minuti di "gloria" di Claudia Gerini, totalmente inutile e fuori luogo). Craxi è vecchio e tormentato da drammi che non riusciamo a comprendere umanamente ma soltanto storicamente per la conoscenza diretta delle vicende di Tangentopoli, alle quali comunque Amelio non dà nessuna valenza particolare e dunque rende la narrazione esclusivamente incentrata sulle cronache di Reggia Craxi e dei suoi inquilini, tra bambini che sparano con fucili di legno e figli di vecchi amici che si presentano da giustizieri e finiscono per diventare biografi personali. Il film di per sé non gira, è lento e senza idee (se non per la trovata del sogno-incontro tra Bettino e il padre), e questo ci porta a pensare che il brutto difetto di associare la pesantezza alla riflessione nei film che vorrebbero essere umanamente e politicamente impegnati è dilagante ed inarrestabile; tant'è che la consegna finale della cassetta delle "confessioni di Bettino" nelle mani di Anita Craxi (nome di fantasia per la figlia, che rende ancora di più l'idea del romanzesco) sembra quasi essere l'implicita ammissione di colpa di un regista che si è accorto troppo tardi di dover aggiungere del frizzante ad un'opera asciutta, stopposa e quasi priva di un preciso significato politico, umano o di qualsivoglia natura umanistico-sociale. Il film non riesce a catturare, troppo spesso annoia, Amelio però sembra aver iniziato un cammino che, se approfondito e limato a dovere, in futuro gli porterà grandi soddisfazioni.
[+] lascia un commento a filippo_24 »
[ - ] lascia un commento a filippo_24 »
|