| Anno | 2025 |
| Genere | Drammatico |
| Produzione | USA |
| Attori | Rebecca Wisocky, Joe Lanza, Vincenzo Zampa, Sharon Horgan, Roderick Hill Josh Burdett, Caroline Boulton, Craig Geraghty, Scott Alexander Young, Adam Beauchesne, Alexander Mannara, Sylvia Panacione, Grace Van Patten, John Hoogenakker, Francesco Acquaroli, Giuseppe De Domenico, Roberta Mattei. |
| MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 25 agosto 2025
Ispirata alla storia di come Amanda Knox sia stata inizialmente giudicata colpevole del tragico omicidio della sua coinquilina Meredith Kercher e al suo percorso per conquistare la libertà.
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CONSIGLIATO SÌ
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La studentessa americana Amanda Knox si trasferisce a Perugia per un periodo di studio; qui intreccia un legame con un giovane universitario locale, Raffaele Sollecito, e si ritrova al centro di un'indagine quando la sua coinquilina inglese, Meredith Kercher, viene trovata uccisa. La miniserie in otto episodi ripercorre l'arresto, gli interrogatori, i processi, gli anni di detenzione e la successiva assoluzione della protagonista, seguendo in parallelo l'onda lunga del clamore mediatico e l'impatto sulle rispettive famiglie.
Creata da K.J. Steinberg per Hulu, The Twisted Tale of Amanda Knox (in Italia su Disney+) adotta un punto di vista dichiaratamente interno: Knox (qui interpretata da Grace Van Patten) è anche coinvolta in produzione, e questo orienta scelte e priorità del racconto.
Non è certo un true crime canonico, quindi, ma il tentativo di correggere - o ribilanciare - un'immagine pubblica deformata da anni di titoli sensazionalistici. La sceneggiatura riduce le ambiguità sulla colpevolezza di Knox e Sollecito (Giuseppe De Domenico) per concentrarsi su come si è generato il sospetto: un corto circuito tra linguaggio, cultura, morale sessuale e pressione investigativa.
Il montaggio alterna il 2007 alle conseguenze più recenti, con continui ritorni che illuminano gli stessi fatti da angolazioni differenti. L'interrogatorio fiume - tra i momenti più soffocanti - è girato con inquadrature strette, ritmo martellante e un progressivo slittamento percettivo che rende tangibile la perdita di controllo. Qui, secondo Knox, sta il cuore della controversia: nella confusione e nell'incomunicabilità linguistica, le domande incalzanti e le ipotesi suggerite la spingono a "ricordare" eventi mai accaduti, innescando il corto circuito che segnerà l'intero caso. Altrove, però, la serie osa scarti di tono: l'incipit, filtrato dalle passioni pop della protagonista (tra tutti, il riferimento a Il favoloso mondo di Amélie), accarezza una leggerezza da diario di formazione che cozza con la materia nera del racconto.
Centrale, dicevamo, è il tema del linguaggio o, per meglio dire, quello del blocco comunicativo, che è certamente sconcertante e degno di forte nota, soprattutto per lo spettatore italiano. La lingua italiana sembra inizialmente sotto processo, e questo è particolarmente interessante: una lingua che travolge la protagonista, che tenterà di difendersi con un italiano impreciso e posticcio contro un sistema giudiziario che trasforma sottintesi culturali in indizi probatori. La serie rende palpabile come un'inchiesta possa deragliare per attrito linguistico, per l'ossessione nel leggere la condotta privata (affetti, sesso, svagatezza) come prova morale. Qui, dobbiamo dire, è magistrale l'interpretazione di Francesco Acquaroli, nei panni del PM Giuliano Mignini, capace di evitare il cliché del cattivo e restituire un antagonista enigmatico e soprattutto in grado di muoversi tra due contesti linguistici in pieno scontro narrativo.
Al di là della fiducia che si voglia accordare alla versione della protagonista - qui anche produttrice esecutiva e fonte primaria dell'adattamento - la serie mette in fila dettagli procedurali e reazioni istituzionali che risultano dolorosamente plausibili a un pubblico italiano: dall'enfasi moralistica su condotte private, alle prassi di interrogatorio, fino ai bias culturali che colpiscono tanto i personaggi caucasici ma linguisticamente diversi, come gli anglofoni, quanto i personaggi afrodiscendenti, in questo caso diversi etnicamente. In altre parole, la profonda xenofobia che affligge il nostro sistema sociale diventa qui un elemento che, pur non provando la verità del racconto, restituisce un alto grado di verosimiglianza e di aderenza a dinamiche ricorrenti in altre vicende italiane di cronaca giudiziaria, dove il comportamento di forze dell'ordine e magistratura appare, se non apertamente distorto, quantomeno opaco e contraddittorio.
La serie (l'autrice) accusa la macchina mediatica che ha trasformato "Foxy Knoxy" in un brand del sospetto e mette a nudo l'ansia collettiva di consumare storie di sangue. Al tempo stesso, però, abita il medesimo ecosistema: otto episodi, ritmo da binge, strumenti del true crime applicati a un caso arcinoto. È un paradosso già visto in altre serie recenti: si stigmatizza l'avidità dello sguardo e, simultaneamente, la si alimenta, capitalizzando sull'appeal del macabro per catalizzare l'attenzione. A sorreggere però questo prodotto, a differenza di quello sul caso di Avetrana, c'è la presenza, dietro le quinte, di figure che conoscono bene la gogna pubblica (tra i produttori esecutivi anche Monica Lewinsky): un contrappeso che dà al racconto una dimensione meta, senza però risolverne del tutto l'ambiguità.
Il limite più evidente è lo spazio ridotto concesso a Meredith Kercher. La vittima esiste, ma spesso come riflesso, come funzione narrativa degli altri. Allo stesso modo, la falsa accusa mossa a Patrick Lumumba (Souleymane Seye Ndiaye) non diventa strumento di indagine sul razzismo sistemico dell'Italia di quegli anni - e che continua a produrre dinamiche analoghe.
The Twisted Tale of Amanda Knox è certamente un prodotto solido, interpretato con intelligenza e diretto con una certa audacia formale. È anche persuasivo nel raccontare come il rumore mediatico sia in grado di deformare la verità. Rimane, però, (d'altronde anche per presa di posizione) un racconto parziale: nel tentativo di restituire voce a Knox, smussa snodi eticamente esplosivi. E resta, in filigrana, il dubbio che i racconti true crime che affrontano di petto il circo mediatico finiscano, talvolta, per farne parte.