
Anno | 2024 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Francia, Lussemburgo, Mauritania |
Durata | 110 minuti |
Regia di | Abderrahmane Sissako |
Attori | Nina Melo, Han Chang, Ke-Xi Wu, Michael Chang (II), Yu Pei-Jen Huang Wei, Emery Gahuranyi, Isabelle Kabano. |
Uscita | giovedì 15 maggio 2025 |
Tag | Da vedere 2024 |
Distribuzione | Academy Two |
MYmonetro | 3,29 su 13 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 10 maggio 2025
Il ritorno di Abderrahmane Sissako, regista del capolavoro candidato agli Oscar Timbuktu, con una storia d'amore che non conosce limiti né frontiere. Black Tea è 59° in classifica al Box Office. martedì 23 settembre ha incassato € 246,00 e registrato 8.964 presenze.
CONSIGLIATO SÌ
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Aya ha lasciato dinanzi all'officiante colui che doveva diventare suo marito. Ha abbandonato poi la Costa d'Avorio per andare a vivere a Guangzhou (Canton) nel quartiere denominato "Chocolate City" perché abitato da numerosi immigrati africani. Qui lavora per Cai, un coltivatore e raffinato estimatore delle più diverse specie di piante del the. Tra i due nasce progressivamente un'intimità non priva di problemi.
Il ritorno al lungometraggio di Abderrahmane Sissako ci propone l'incontro tra due mondi culturalmente molto distanti ma che possono comunicare sul piano del sentire.
È un film fatto di attese e di scoperte quello che riporta sul grande schermo il regista mauritano candidato al Premio Oscar (con Timbuktu). Lo fa in un contesto del quale le cronache del mondo politico economico ci parlano come di un'indiretta colonizzazione di molti Paesi del continente africano da parte della Repubblica Popolare Cinese. Indiretta ovviamente perché esercitata sul piano della penetrazione commerciale e dello sfruttamento delle risorse naturali.
Qui abbiamo una storia che tiene conto di quanto sopra ma sposta l'attenzione sul rapporto tra le persone e le culture. Aya è una donna indubbiamente determinata. La incontriamo mentre sta per sposarsi ed è in procinto di rispondere "No" alla domanda di rito per poi, con un notevole stacco temporale, trovarla perfettamente inserita e padrona della lingua nella terza città più grande della Cina. Così inserita da voler apprendere tutti i segreti della ritualità cinese per quanto riguarda la bevanda di cui il suo datore di lavoro è cultore.
Quella ritualità presuppone anche un approccio filosofico che andrebbe applicato anche alla vita dei due protagonisti e alle vite in generale. Perché Sissako, a differenza dell'indimenticabile Wong Kar-wai di In the Mood for Love, non si concentra solo sulla coppia ma allarga la propria lettura anche ad altre realtà che provano sentimenti a volte facilmente definibili ed altre meno. Nel fare ciò ci propone un'integrazione e un dialogo possibili fra culture ma anche delle chiusure ancestrali che non hanno smesso di allungare le estremità delle loro radici sul presente.
È un film costellato di riflessi e di riverberi luminosi il suo, quasi che la realtà che viene rappresentata avesse poi l'urgenza di sfrangiarsi e di perdere quella lucidità e sequenzialità di tempi e di azioni che il rito del the richiede. Si ha allora l'inserimento di elementi sui quali lo spettatore viene spinto ad interrogarsi per poi ricevere una risposta che finisce con il porre nuovi quesiti.
Su tutto però si stagliano, con pacatezza e con pudore, le due figure dei protagonisti più quella della ex moglie di Cai. Tutti alla ricerca di una felicità che sembra risiedere in obiettivi per i quali l'allocuzione 'per sempre' non trova un suo reale spazio.
Da giovedì 15 maggio arriva al cinema Black Tea di Abderrahmane Sissako, il regista del capolavoro candidato agli Oscar Timbuktu. Torna in sala con una storia d'amore che non conosce limiti né frontiere. Lo abbiamo incontrato e ci ha raccontato com'è nato il film, le difficoltà per realizzarlo e qualche aneddoto sulla produzione.
Quello di Aya è un personaggio molto bello: ha il coraggio di dire di no a un matrimonio che non sente e di partire per rifarsi una vita dall’altra parte del mondo. Anche là, però, resta delusa in qualche modo dall’uomo che ama, ma saprà far sentire – letteralmente – la sua voce. Come autore del film, era più importante per lei mettere in luce il razzismo di una fascia della popolazione cinese verso chi ha la pelle nera oppure rappresentare Aya e Cai come allegorie dei loro rispettivi paesi di origine?
Forse il tema del razzismo non è il tema principale del film, ma certo è un tema importante nell'evocazione della vigliaccheria degli uomini; perché in generale gli uomini, a differenza delle donne, possono cadere più facilmente in questa forma di vigliaccheria, nascondendosi e non prendendosi la responsabilità delle cose, prendendo tempo. La scena della cena tra Cai e Aya mostra bene questa debolezza: è un momento intimo, sono da soli, ci sono due bicchieri, bevono del vino, poi suona il campanello, è la famiglia, e lui le chiede di non farsi vedere. Allora lei lo guarda e in quello sguardo c’è tutta la sua delusione, perché ancora una volta l’uomo non si prende la responsabilità di ciò che fa. Per questo poi scrive la lettera che lo spinge a dire la verità a Ying, la madre di Li Ben. Per me questa è una questione universale ma è anche una questione di genere. Perché tutte le donne del film, non solo Aya, si assomigliano, per via del loro destino comune, della loro solitudine e dell'abbandono da parte di un uomo che se n'è andato per un motivo o per un altro.
Per raccontare questo, mi servo, però, anche del territorio: Aya, andandosene, dice no alla sua società. E dire di no a una società è molto difficile, non è certo una cosa facile. Posso immaginare, pur senza saperlo, che anche in l'Italia, cento anni fa o forse meno, quando venivi da un paese a andavi a sposare la ragazza di un altro paese, avevi tradito la tua gente, perché avevi preso la straniera. Tutte le società sono così, ma è anche vero che evolvono, a piccoli passi. Il mondo cambia, è già cambiato. Il centro del mondo oggi è ovunque, anche se l’Europa non lo vede e non lo sa, perché ragiona ancora in termini egocentrici, ma la realtà è completamente diversa.
Ha raccontato che l’idea di questo film era nella sua testa già da tanti anni, quasi venti. Che cosa aveva in mente in particolare? Un’immagine? Un tema?
In un mio film del 2002, En attendant le bonheur, c’è una scena in cui un’africana cena con un cinese. L’avevo inserita per dire che l’Africa è una terra di migrazioni, ci sono delle piccole Afriche che si creano ovunque nel mondo, e c’è un’immigrazione africana anche in Cina. Poi nella mia testa il discorso si è sviluppato, nel tempo, e si è fuso con l’esigenza, che sento sempre, di dare un ruolo e un volto al personaggio di una donna forte, non per forza africana. Queste sono le cose che avevo voglia di raccontare e poi è arrivato il momento, per via di altre cose che sono successe nel mondo, in cui ho deciso di farlo. Partendo da una storia d’amore, che è un soggetto universale, in cui tutti si possono identificare, in realtà racconto più cose contemporaneamente.
Sono passati dieci anni da Timbuktu. Il mondo, dicevamo, è cambiato. Anche la sua idea di cinema è cambiata?
No, per niente, la mia relazione con il cinema, la mia definizione di cinema è rimasta la stessa. Per me il cinema è uno sguardo. La forma dello sguardo può cambiare, ma lo sguardo non cambia. Così come la mia visione della società è la stessa, anche se la società cambia. Inoltre sono passati dieci anni, e oggi ho un figlio di dieci anni, quindi non c'è solo il cinema nella vita. E ho fatto un'opera per il Théâtre du Châtelet di Parigi ("Il furto del Boli", con la musica di Damon Albarn, ndr), che ha richiesto 2 anni e mezzo di preparazione, perché è teatro dal vivo, è diverso dal cinema. Non ho percepito questi dieci anni come un periodo particolarmente lungo.
I personaggi di Abderrahmane Sissako sono sempre stati viaggiatori, quasi a voler dire fin da subito che la dimensione stanziale non si addice al (suo) cinema. Dieci anni dopo Timbuktu ci racconta, infatti, degli incontri di una donna che ha deciso di lasciare la Costa d'Avorio per la Cina. Black Tea inizia con un matrimonio negato e una fuga. Senza soluzione di continuità, Aya, lasciato dietro di [...] Vai alla recensione »
A dieci anni dall'ultimo film, l'apprezzato "Timbuktu", il maestro del cinema africano Abderrahmane Sissako torna a parlare con le immagini. Al centro di "Black Tea" c'è un personaggio femminile memorabile, Aya (Nina Mélo), una giovane donna della Costa d'Avorio che ha avuto il coraggio di dire di no a un matrimonio che non sentiva sincero e di conseguenza alla sua comunità.
Tra Costa d'Avorio e Canton nel cuore della Cina, Aya, donna libera e determinata, è alla ricerca della felicità. Non è solo il racconto di quanto siano complesse le relazioni sentimentali, o della ritualità cinese nel preparare il tè, ma dell'intreccio di mondi, di culture e di chiusure ancestrali. II regista mauritano alterna sfocature e nitidezze con salti temporali che pongono lo sviluppo narrativo [...] Vai alla recensione »
Dopo la presentazione alla Berlinale, il regista mauritano di La vie sur terre e Aspettando la felicità, candidato agli Oscar nel 2015 con Timbuktu, porta nei cinema italiani il suo ultimo film, Black Tea. Una storia d'amore - distribuita in sala da Academy Two a partire dal 15 maggio - nata dopo la scoperta da parte di Abderrahmane Sissako di un ristorante gestito da una coppia sinoafricana, il La [...] Vai alla recensione »
Lo schermo è una tela dove si esercita il pennello digitale di Abderrahmane Sissako, trasparenze, sovrapposizioni, riflessi in un mood for love che la rivista britannica "Sight and Sound" ribattezza con malizia «in the mood for oolong», un certo tipo di tè. A dieci anni dal magnifico Timbuktu, il regista mauritano, studi di cinema in Unione Sovietica, torna con un film incompreso e incomprensibile, [...] Vai alla recensione »
La giovane ivoriana Aya abbandona il promesso sposo e il suo paese per trasferirsi a Guangzhou, dove lavora in un negozio di tè. Comincia una relazione con il suo capo, che ha 15 anni più di lei. Dieci anni dopo Timbuktu il regista mauritano punta il suo obiettivo sul quartiere Xiaobei, detto Little Africa o Chocolate city, uno dei rari luoghi in Cina ad accogliere la diaspora africana, senza rinunciare [...] Vai alla recensione »
Giovane donna della Costa d'Avorio, lascia il suo fidanzato all'altare prima del fatidico "Sì". Due lettere che avrebbero siglato il suo contratto con r infelicità. Ma la giovane, il cui destino sembrava già essere deciso, abbandona tutto e parte in Cina, per esplorare territori e culture diverse, alla ricerca della cosa più preziosa: sé stessa E in questo viaggio di scoperta, impreziosito dall'antico [...] Vai alla recensione »
Si sa, noi tutti essere umani siamo dotati di sensibilità (ovviamente qui non scomoderemo Kant per renderne ragione) e da essa ne siamo condizionati. Forse le donne rispetto agli effetti della sensibilità sul nostro vivere quotidiano sono più consequenziali degli uomini. Oppure basta appena semplicemente affermare che nei loro confronti provano meno soggezione, meno paura ad affrontarli e ne accettano [...] Vai alla recensione »
L'incontro di culture, l'importanza delle tradizioni anche come retaggio che ci si porta dietro in nuovi contesti, sono i temi che caratterizzano il cinema di Abderrahmane Sissako fin da Aspettando la felicità. Con il suo nuovo Black Tea, che segna il suo ritorno al lungometraggio dopo dieci anni, in concorso alla Berlinale 2024, sono centrali il contatto e la convivenza tra genti africane e cinesi. [...] Vai alla recensione »
Un film che va sorsegggiato e assaporato lentamente per afferrarne il profondo e originale aroma, raffinatezza e delicatezza. Esattamente come viene mostrata l'arte di servire e bere il tè in Cina, non una semplice bevanda bensì uno stile di vita. Il film si apre in Costa d'Avorio, forse nella capitale, con una scena piuttosto inusuale: in una grande sala affollatissima, donne in abito da sposa e [...] Vai alla recensione »
L'indipendenza e la felicità a tutti i costi. Il coraggio di dire "no" e di prendere finalmente in mano le redini della propria vita. Due culture, due tradizioni, due mondi apparentemente molto distanti l'uno dall'altro che, incontrandosi, potrebbero dar vita a una bellissima armonia. In Black Tea, ultima fatica del regista Abderrahmane Sissako, presentata in corsa per l'ambito Orso d'Oro alla 74° [...] Vai alla recensione »
Aspettando la felicità: sono passati dieci anni da Timbuktu e Abderrahmane Sissako si ripresenta (in Concorso a Berlino 74) con Black Tea per definire un mondo in cui agli esistenti si offre la scelta tra la menzogna e l'essere felici, tra la verità dei sentimenti e l'accettazione delle convenzioni. Il no detto sull'altare dalla protagonista Aya all'inizio del film è una determinazione di consapevolezza, [...] Vai alla recensione »