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Justine il parassita solidale Valutazione 2 stelle su cinque

di Edmund


Feedback: 572 | altri commenti e recensioni di Edmund
lunedì 13 ottobre 2025

Come avrei agito io se fossi stato al posto del protagonista? Cos’è giusto e cos’è sbagliato? Cos’è “giustizia?”. Dove sta di casa l’equità? Ma poi, la verità qual è? Anzi dov’è? Queste e altre domande simil masturbatorie si pone il regista. Un genere di film questo che mira sfacciatamente a far sentire il povero spettatore medio puntualmente una merdina di essere umano, divorato da sensi di colpa, ma senza aver commesso alcunché, non ancora almeno (e non è così che funziona classicamente il senso di colpa?). E non mi piace sentirmi in colpa, dopotutto. Da qui forse la mia moderata avversione per l’opera in questione.
Intendiamoci, il film è abbastanza godibile, se riesci a resistere alla tentazione di confrontarlo incessantemente con “La parola ai giurati” (Twelve Angry Men) di Lumet e se sei capace di sorvolare sull’insulsaggine di alcuni dialoghi che mi suonano un tantino scontati.
Che dire allora? Eastwood prova a sparigliare rispetto al capolavoro del 1957, introducendo l’elemento del giurato che si strugge nel rimorso, ma non basta a toglierti quella spiacevole sensazione di Déjà vu. Certe dinamiche tra i giurati in “camera di consiglio” poi sono imbarazzanti per il modo sfacciato con cui richiamano quelle del film di Lumet (un omaggio all’illustre predecessore?)
La questione non è banalmente cosa farei io se mi trovassi nella posizione del protagonista. Ma se valga ancora  la pena oggi farsi guidare da certi nobili principi di fronte al decadimento di una società che nella realtà sembra assumere tutt’altro andazzo e i cui modelli spingono verso l’individualismo, l’egocentrismo, l’indifferenza, la furbizia, l’impunità, l’arroganza prepotente, la negazione della realtà storica di questo mondo, persino, ma della realtà in sé potremmo dire, tante volte.
Mi chiederei tra le altre se sia più conveniente guardare all’individuo o alla società nel suo complesso (e qual è il confine?) per rispondere agli accorati appelli del regista. Secondo me, l’ottica individuale qui non funziona. Forse il regista punta il dito sull’«uomo qualunque» perché vuole dirci che il problema da individuale diventa collettivo …sociale, economico, politico e culturale e nessuno se ne può sentire estraneo?”. Una sorta di chiamata di correità, insomma? Di sicuro, quelle dell’etica e della morale sono manifestazioni complesse a cavallo tra l’aspetto psicologico individuale e quello sociologico collettivo.
Justin si muove in un contesto che di certo non coltiva lo spirito di gruppo, ma che in nome della famiglia e della religione o della carriera consente tacitamente di commettere nefandezze inaudite.
E che dire degli altri membri della giuria che vogliono evadere velocemente la pratica perché armati di santi pregiudizi o perché in tutt’altre faccende affaccendati? È questo il clima che respira Justin che ha avuto la ventura, a differenza degli altri giurati in veste di rappresentanti tipici della donna e dell’uomo medi, di venire a contatto con la propria ombra e con quella di una società dalla morale molto discutibile.
E allora, è più morale fingere di essere innocenti spettatori del sistema, o è più morale ritenerci soltanto un misero ingranaggio del sistema in modo da poter sempre razionalizzare le cose addossando la responsabilità finale sulle spalle di qualcun altro?
Il film nasce sicuramente dall’esigenza del regista di criticare il livello sordido dell’etica collettiva di una comunità. Fa benissimo a pestare sul punto, seppure col solito afflato romantico e con una punta di idealistica ingenuità, forse.
E allora approfittiamone per chiederci ancora e ancora se esista attualmente la “Morale” quella con la “M” maiuscola. Quella che dovrebbe regolare gli interessi comuni degli individui e della collettività nel suo complesso.
O se invece esistano tante morali quante sono le situazioni in cui siamo coinvolti o i ruoli che ricopriamo in società, meglio. Qualcuno dice che siamo tutti sostenitori acritici della “morale tecnica” che favorirebbe una sorta di “Dissociazione” interna grazie alla quale con molta facilità ci sentiamo sollevati dalla responsabilità delle conseguenze delle nostre azioni nell’ambito delle relazioni umane. E se è vero che nessuna personalità si esaurisce nella sua funzione (non siamo, per fortuna, soltanto quello che facciamo) allora Justin non è morale o immorale di per sé, ma avrebbe soltanto fatto prevalere la logica o la “morale familista del (buon?) padre di famiglia” e per quanto orribile possa apparirci. È possibile oggi immaginare una giustizia morale che non si riduca a mera giustizia legale che di sicuro non ha come scopo principale il ”bene comune”, ma che fatalmente si interessa soltanto di “limitare il male?”. Esiste alla fin fine soltanto una “verità” processuale? Che non deve essere per forza “giusta”. La giustizia non deve essere “giusta”, ma soltanto “efficiente?”
La giustizia è cieca, la religione è tossica, Dio è morto, e la morale è sorda, e il pensiero è muto, e la realtà te la puoi rigirare come ti pare…Più che una società sembra un immenso sanatorio a cielo aperto… Non c’è da stare tanto allegri. Nemmeno al destino ci si può più appellare per giustificare certe nefandezze personali e collettive. A donne e uomini non resta che scegliere tra il bene e il male, «quindi, possono salvarsi o dannarsi con le sole proprie forze e persino mantenersi immuni da ogni peccato». Almeno, cominciassimo a prenderci la responsabilità delle nostre azioni e pensieri. Sarebbe già un bel progresso.
Non si può dire che Justin sia giusto o sbagliato o morale o immorale, dunque. Io lo vedo soltanto come un parassita. Un “parassita solidale” che fa dello sciacallaggio morale. Nel senso che l’individuo questa volta trae sì un vantaggio dalla “società-ospite”, ma non a spese dell’ospite, cioè non le crea alcun danno alla fine, anzi promuove “entusiasticamente” col suo comportamento individuale egoistico lo sviluppo del tipo di società sostanzialmente “Amorale” che lo ospita. Nessuno è immune da questo genere di “parassitismo”, anzi si potrebbe dire che quest’ultimo è diventato la “forma associativa” prevalente degli esseri umani tra loro.
E Faith Killebrew pubblico ministero che si presenta alla fine con sguardo torvo alla porta di Justin è l’ulteriore metafora di una verità che “si disvela e si nasconde”. Perché la verità non è il “soggetto” che la rivela: “essa si svela da sola”, eventualmente (vedi Heidegger). E forse non la sapremo mai la verità.
Justin descrive nel suo piccolo il vero eroe contemporaneo, postmoderno, quello che sguazza nella palude dell’assenza di Moralità o delle “moralità multiple”.  E in questa palude i Justin di turno riescono non solo a rimanere a galla, ma ne traggono linfa vitale per inventarsi nuove opportunità personali.
Qui “l’etica elementare dell’eroismo si fonde con l’etica dell’edonismo. In questa accoppiata perversa il desiderio assoluto e personale, si separa definitivamente dal bene comune, e si realizza pervicacemente in un interesse esclusivamente personale perseguito con ostinazione, ossessivamente, e senza badare alle contingenze e senza preoccuparsi di chi ne fa le spese.
Justin in buona sostanza potremmo dire che è “vittima” e carnefice insieme di “un approccio esclusivamente duale alla vita”. E questo senza l’ombra di voler concedere al protagonista la benché minima “attenuante”. Tendenzialmente, il protagonista come immagino la maggior parte di noi spettatori paganti “finisce per ricondurre  all’interno dello spazio tra la coppia il fulcro dell’esperienza emotiva ed esistenziale più in generale che bene che vada sfocia nell’ “allargamento familista” dei propri orizzonti. Tutto ciò che è Altro dalla coppia è il nemico da abbattere. E cosa non faremmo per proteggere questo spazio? Dopotutto è questione di sopravvivenza individuale. Di questa morale perversa ne paga questa volta il conto Sythe il “cattivo”, la “mala erba” della situazione. Il prossimo a farne le spese potrebbe essere un’altra “brava persona”, un altro Justin di turno. Il prossimo potresti essere tu!

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