
Titolo originale | Alien: Earth |
Anno | 2025 |
Genere | Fantascienza, Horror |
Produzione | USA |
Regia di | Noah Hawley, Dana Gonzales |
Attori | Timothy Olyphant, Essie Davis, Alex Lawther, Sydney Chandler, Samuel Blenkin Adarsh Gourav, David Rysdahl, Sandra Yi Sencindiver, Kit Young, Moe Bar-El, Dean Alexandrou, Enzo Cilenti, Babou Ceesay, Erana James, Amir Boutrous, Bear Williams, Diêm Camille. |
Tag | Da vedere 2025 |
MYmonetro | Valutazione: 5,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 25 agosto 2025
Ambientata due anni prima del film originale di Ridley Scott (realizzato quasi mezzo secolo fa, nel 1979), la serie midquel del franchise Alien.
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Nel 2120 la nave di ricerca USCSS Maginot, al soldo della Weyland-Yutani, rientra verso casa dopo sessantacinque anni trascorsi a catturare specie extraterrestri. A bordo convivono umani, un inflessibile responsabile di sicurezza con innesti cibernetici, e androidi. Un guasto manda la missione fuori rotta: i contenitori cedono, gli organismi scappano e l'astronave precipita su un complesso urbano di proprietà Prodigy, conglomerato guidato dal giovanissimo Boy Kavalier. Quando la Maginot s'infrange nel cuore della metropoli, squadre di recupero convergono sul sito. Le traiettorie di umani, ibridi e macchine si incrociano mentre le creature liberate cominciano a mietere vittime.
Ambientata due anni prima del film originale di Ridley Scott (realizzato quasi mezzo secolo fa, nel 1979), la serie midquel del franchise Alien (FX/Hulu, in Italia su Disney+) è forse uno dei prodotti meglio riusciti, tanto della saga quanto del 2025.
Che dire? Noah Hawley ci dà sempre grandi soddisfazioni: Fargo ci ha abituati a un'antologia di fiabe morali intrise di humour nerissimo e messa in scena chirurgica - pluripremiata con Emmy e Golden Globe già alla prima stagione - capace di trasformare la provincia americana in un altare del destino e delle conseguenze.
Ma ancor più Legion resta uno dei tentativi più audaci del decennio: un ibrido supereroistico ipnotico e sperimentale, caratterizzato da struttura non lineare, immaginario visivo fuori asse e l'uso della musica come linguaggio della mente. È il raro caso in cui la TV di genere sembra reinventare sé stessa, più vicina all'arte contemporanea che al cinecomic industriale.
Ora, con Alien: Pianeta Terra, Hawley si inserisce più direttamente in un contesto produttivo ampio; se con Legion sfiorava solo superficialmente il supereroismo Marvel, orientando la narrazione verso un thriller psico-sensoriale sull'identità, la malattia mentale e l'affidabilità della percezione (il legame agli X-Men rimane volutamente laterale), qui l'ancoraggio al canone è frontale. Il rapporto con i prequel (Prometheus, ambientato nel 2089; Covenant, nel 2104) e soprattutto con i primi film impone un dialogo serrato. Eppure, spostando l'azione giù dall'orbita, Hawley ricostruisce perfettamente il lessico visivo dell'Alien primigenio: terminali verde-su-nero, spazi industriali sfiniti dall'uso, tute e paratie segnate dal tempo. La regia di Dana Gonzales, Ugla Hauksdóttir e dello stesso Hawley privilegia corridoi stretti e leggere inclinazioni di macchina che generano disorientamento; il montaggio alterna lampi di futuro prossimo a inserti quasi subliminali di aggressioni, alimentando una tensione che cresce episodio dopo episodio fino a un'azione più scoperta nella seconda metà della stagione.
Ma soprattutto, malgrado la necessità di riconnettersi con la saga, Pianeta Terra imprime elementi davvero nuovi, che risuonano con i topoi già rintracciati nei titoli più riusciti di Hawley: coralità di personaggi eccentrici e "morali" spietate in stile Fargo; percezioni inaffidabili e improvvise derive visionarie alla Legion (qui "tradotte" in soggettive sintetiche e blackout sensoriali degli ibridi); villain carismatici travestiti da mecenati tech (il Boy Kavalier - Samuel Blenkin - scalzo e capriccioso è un'icona istantanea); punte di humour nerissimo a spezzare l'orrore. E, infine, la colonna sonora di Jeff Russo che lega i mondi creativi di Hawley con droni tesi e melodie che si sfilacciano.
I primi due episodi rinunciano a una linearità rassicurante: la serie chiede allo spettatore di abitare un mosaico di fili narrativi senza darne subito la mappa. È una scelta consapevole e, soprattutto, coerente con l'angoscia del brand, che da sempre definisce lo spaesamento come condizione di visione. Quando l'arco orizzontale si compatta, la serie trova un'accelerazione davvero impressionante, forte anche di un bestiario alieno molto variegato - dai parassiti striscianti agli organismi oculari deambulanti, fino a uno xenomorfo più "antropomorfo" di altre incarnazioni - e di set-piece che sanno incidere nella memoria (anche grazie a un uso del suono che raschia i nervi).
Inoltre, riprende i nuclei storici della saga - sfruttamento, lavoro sacrificabile, tecnologia che inghiotte chi l'ha creata - e li rifrange nel presente. Gli ibridi diventano un'allegoria trasparente della nostra corsa a delegare capacità a sistemi che non comprendiamo; le multinazionali, arbitri unici della sopravvivenza, riducono etica e politica a funzioni del brevetto. Non manca l'invenzione di personaggi memorabili sul versante sintetico: Kirsh (Timothy Olyphant) è un mentore-carnefice che articola a voce bassa un disprezzo filosofico per la specie umana, mentre Morrow (Babou Ceesay) incarna il protocollo che sacrifica le persone pur di salvare gli asset - due maschere perfette per l'orrore corporate. Coerentemente, la serie ammicca anche alla Terra ferita suggerita altrove nel franchise: nel montaggio speciale di Alien: Resurrection - ultimo capitolo con la qui clonata Ripley (Sigourney Weaver) - si vede l'astronave atterrare su una Parigi in rovina, con la Torre Eiffel sventrata. Una suggestione che qui trova un'eco credibile nel caos post-schianto.
La scelta di far impattare materiale xenomorfo sul pianeta prima degli eventi del 1979 apre interrogativi di canone, e vengono così piantati i semi per un prosieguo che non possiamo che aspettare con trepidazione.