Quanto è struggente la nostalgia nella commedia umana di Pupi Avati
di Roberto Nepoti La Repubblica
Nella lunga commedia umana che, film dopo film, Pupi Avati ha composto in oltre mezzo secolo, La quattordicesima domenica del tempo ordinario rappresenta insieme una "summa" e una novità. La narrazione si svolge in un unico luogo e su due diversi assi temporali: la Bologna odierna e quella di trentacinque anni fa. Allorché i fraterni amici Marzio e Samuele decidono di tentare la fortuna nella musica col nome di Leggenda. Frattanto Marzio s'innamora di Sandra, "la più bella ragazza della città "e cerca di farsi notare versandole addosso un frappè. Tutto sembra iniziare sotto i migliori auspici: i due compongono una canzone (di Avati e Sergio Cammariere, sarà il leitmotiv del film), destinata a un eflimero successo; Marzio riesce a ottenere il "si" di Sandra. Il matrimonio si celebra alla data del titolo, nel periodo tra primavera e estate che, secondo il calendario liturgico, è propizio alle nozze. Alternate a questi episodi, le sequenze al presente ci mostrano il progressivo naufragio delle illusioni di gioventù. La carriera musicale sfuma e, mentre Samuele preferisce il posto in banca, un Marzio sempre più dipendente dall'alcol ripete la stessa canzone in locali miserandi. Quel che è peggio, impone la sua ossessiva gelosia a Sandra, che lo lascia. Marzio è una figura di loser, di perdente sintetico che concentra in sé ogni genere di disillusione. Benché le vicende personali di Avati siano state dei successi, la sensazione è che il regista bolognese esorcizzi ciò che avrebbe potuto essere anche la sua vita. La realtà non è mai all'altezza dei sogni; l'amore e l'amicizia paiono destinati a finire. Nei decenni passati la voce narrante suggeriva una dolce nostalgia, ma gari venata di malinconia: ora Avati sembra confrontarsi col rimpianto, raccontando storie di gelosie, di tradimenti, di fallimenti e di ordinaria infelicità che nemmeno il finale può riscattare appieno. Anche in versione dolente, tuttavia, il regista resta all'altezza di sé stesso e il film rappresenta un "pezzo" di pregio della filmografia avatiana. Ci manca un po' il suo senso dello humour: eccetto nell'episodio in cui Edwige Fenech, scherzando sulle scene-cult dei film sexy anni '70, non riesce a farsi la doccia.
Da La Repubblica, 4 maggio 2023
di Roberto Nepoti, 4 maggio 2023