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'Non è mai troppo tardi per essere chi si vuole'. Intervista ad Annika Appelin, regista di Tuesday Club

L'autrice svedese racconta a MYmovies il film che segna il suo esordio alla regia, una deliziosa commedia sentimentale su «un’ordinaria donna matura, che sceglie di darsi un’altra possibilità nella vita». Dal 22 settembre al cinema.
di Claudia Catalli

mercoledì 21 settembre 2022 - Incontri

Al suo debutto nel lungometraggio di finzione, la sceneggiatrice svedese Annika Appelin, classe '63, racconta nel suo Tuesday Club un tema che le sta molto a cuore: come affronta l’avanzare del tempo «un’ordinaria donna matura, che sceglie di darsi un’altra possibilità nella vita». Lo racconta a MYmovies, in una pausa dal set della nuova serie crime svedese che sta girando e di cui può anticipare pochissimo: «È una crime story ambientata appena fuori Copenaghen, un film piccolo con una grande lente sulle relazioni e sui drammi che i personaggi attraversano».

Torniamo a Tuesday Club, un film sulla libertà di poter essere chi si vuole a qualunque età. È questo che le premeva raccontare?
Ci tenevo a portare sullo schermo tutte quelle donne invisibili, che superata l’età della giovinezza sembrano non interessare più a nessuno. A me interessano invece, da regista e da spettatrice. Perché c’è tanta vita che scorre nelle loro vene, tanti desideri da realizzare: non è mai troppo tardi per essere chi si vuole. Per cambiare carriera anche superati i sessant’anni, per cambiare vita, amicizie, amore, come riesce a fare la protagonista di Tuesday Club.

Come l’ha scelta?
Ho provinato moltissime attrici, non riuscivo proprio a visualizzare chi potesse essere giusta per questo ruolo non facile e pieno di sfumature. Appena ho visto recitare Marie Richardson, con cui avevo già lavorato prima in una storia completamente diversa da questa, ne sono rimasta folgorata. Era perfetta come attrice anche fisicamente, volevo una donna che somigliasse ancora a se stessa, una donna matura al naturale.

Molte attrici lamentano un certo “gender age gap” nel cinema, per cui non è facile trovare ruoli di spessore superata una certa soglia di età.
Hanno ragione. Ne so qualcosa: sono vent’anni che penso di realizzare questo film, mi ronzava da tempo l’idea di raccontare tutto quello che passa loro per la testa delle donne “mature” che nessuno racconta. Il guaio è che non trovavo finanziamenti, tutti pretendevano che lavorassi con donne più giovani, per fortuna alla fine ho trovato le mie produttrici che mi hanno detto: «Ma è un progetto meraviglioso, certo che lo finanziamo!». Ed eccoci qui.

Le donne, in produzione e non solo, stanno cambiando il cinema, finanziando anche storie del genere con donne “diversamente giovani” protagoniste.
È una svolta importante, finalmente tutti hanno la possibilità di guardare storie di donne, comprenderle meglio, osservarle attraverso una lente prospettica femminile: non dimentichiamoci che il mondo è di uomini e donne, la rilevanza delle storie e degli autori dovrebbe essere di 50 e 50.

Qual è il suo Tuesday Club personale?
Il cinema. La condivisione di un momento, di un’emozione collettiva. Non c’entra niente con il divano di casa propria. Si tratta di sedersi tutti davanti al grande schermo, è “l’insieme” che fa la differenza.

E la cucina panasiatica?
Mi piaceva raccontare una cucina che avesse una particolarità e delle spezie, a rappresentare simbolicamente le peculiarità che possiamo avere nella vita, magari sembrano bizzarre agli occhi degli altri, ma conoscendole da vicino sono in grado di aprirci la mente. Confesso che nelle scene in cui c’era tutto quel cibo sul tavolo veniva fame a tutti noi. Gli attori a fine scena chiedevano: «Ok, ora possiamo mangiare?».

Durante la lavorazione ha mai pensato a film culinari come Chocolat?
Ho molto apprezzato Chocolat e in genere amo i film culinari perché amo il cibo, trovo sia una grande metafora della vita. Quando sei innamorato, quando non lo sei, quando sei felice o triste, mangiare e preparare il cibo è una costante della vita di ognuno di noi.

Ha lavorato con uno dei più grandi cineasti europei, Thomas Vinterberg, con cui ha scritto Il sospetto. Che tipo di ricordo ne conserva?
Il ricordo di un grande regista, capace di scrivere sceneggiature eccellenti. Peccato che sia poco troppo poco focalizzato sulle donne. Dovrebbe parlarne di più nei suoi film.

 


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