Anno | 2022 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Svezia, Norvegia, Francia, Germania |
Durata | 103 minuti |
Regia di | Marusya Syroechkovskaya |
Uscita | venerdì 12 aprile 2024 |
Tag | Da vedere 2022 |
Distribuzione | ZaLab |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,57 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 23 aprile 2024
La testimonianza dei malesseri, dei conflitti e delle tensioni di una gioventù perduta.
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CONSIGLIATO SÌ
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Marusya, una 16enne russa insofferente al regime della "Federazione della depressione", si propone di rientrare nelle statistiche dei suicidi giovanili entro la fine dell'anno. Ma poi incontra Kimi, suo coetaneo, e tra i due nasce un'inaspettata e travolgente storia d'amore, intrappolata, come sono loro, nella risacca di un governo oppressivo. Insieme, Marusya e Kimi filmano l'euforia, l'ansia e la disperazione della loro gioventù, alimentata da droghe e musica. Quando la dipendenza minaccia di far svanire Kimi per sempre, la telecamera di Marusya diventa l'ultima possibilità per salvare l'amico.
Girato nel corso di 12 anni, è il resoconto di una storia d'amore in una società in rovina.
Marusya Syroechkovskaya e Kimi Morev. Due giovani come tanti, troppi, che nella Federazione russa non trovano una loro collocazione. Il film si apre con la smentita del titolo. Kimi non si è salvato ed assistiamo al suo funerale. Da quel momento il documentario diventa un lungo flashback che all'origine non doveva diventare un film. I due, amici prima, innamorati e sposi poi, avevano deciso di riprendere il più possibile della loro vita senza avere alcuna finalità di proiezione pubblica. È stata la morte di Kimi a spingere Marusya a mettere insieme la grande mole di materiale rendendosi anche conto che, da un certo momento in avanti, lo stare dietro la telecamera aveva significato per lei, trovare uno scudo protettivo per affrontare la realtà del progressivo degrado fisico-psichico del compagno. Ne è nata un'opera che come dichiara l'autrice costituisce "un tributo ai film di Gregg Araki e Harmony Korine; alle opere d'arte di David LaChapelle; a tanta, tantissima musica: dal post-punk al grunge, all'emo e alla witch house; alle transizioni di Windows Movie Maker, alle prime estetiche del web e ai forum di Internet, quando Internet non era ancora controllato dalle aziende e censurato dal governo".
Questo è il versante che può appassionare uno sguardo cinefilo. Ma in questo documento per immagini e suoni la testimonianza si fa decisamente più ampia e significativa. Non si tratta solo di apprezzare uno stile e una raffinata ricerca di fonti culturali. Siamo di fronte a un ritratto di una generazione che definire 'perduta' finirebbe con l'essere un'attribuzione impropria. Se vogliamo restare nel solco della tradizione russa possiamo rinvenirvi una matrice dostoevskiana trasposta ai tempi nostri. Ci viene mostrato (anche con il dubbio esplicitato da Marusya che talvolta Kimi reciti davanti all'obiettivo nella sua fase di disperazione più acuta) un mondo di umiliati e offesi su cui cadono dall'alto le rassicuranti e patriottiche parole dei potenti e, in particolare, di uno di loro: Vladimir Vladimirovic Putin. Si tratta di stralci di alcuni suoi discorsi augurali di Capodanno che entrano in case che sono distanti anni luce dalla apparente paterna bonomia dello zar. Qui si parla di uno sguardo lucido, seppure partecipe, di una giovane donna che vede il proprio compagno diventare sempre più dipendente da sostanze tossiche, legali e non. A fugare poi ogni sospetto di un film a tesi ci pensano lo stesso Kimi e il fratello maggiore. Non vogliono crogiolarsi nella dissoluzione ma, nel momento in cui si affidano alla struttura sanitaria statale, la loro situazione non migliora. Anzi, inizia il percorso di non ritorno. In una società in cui esistono ancora i gulag, quello destinato ai 'drogati' non può che essere il manicomio in cui vige solo la costrizione. In questa descrizione partecipe e non finalizzata in anticipo sta la forza di un film che si dimostra più efficace di molti pamphlet contro il regime.
“Il nostro futuro è legato al futuro della Russia” così sintetizzava Vladimir Putin all’alba del 2013, augurando a tutti i russi felicità e prosperità, mentre raccomandava loro di prendersi cura dei giovani, l’avvenire della patria. Ma è chiaro che le parole dell’uomo a capo del Cremlino stridevano con quanto proprio i giovani stavano sperimentando durante quella che - ancora oggi - chiamano la Federazione della Depressione.
Un paradosso su cui è costituito il documentario di esordio di Marusya Syroechkovskaya, giovane cineasta desiderosa di fare cinema dall’età di 16 anni, che inquadra la vita propria e del compagno/marito/amico nell’arco di 12 anni, ovvero tra il 2005 e 2017, mettendo in risalto tutte le contraddizioni del vivere nella Russia putiniana, ma anche di una generazione smarrita al proprio interno, apparentemente desiderosa solo di farla finita.
Vincitore di numerosi premi (tra cui quello del Festival dei Popoli) dopo la premiere mondiale a Vision du Réel e nella sezione Acid del Festival di Cannes 2022, How To Save A Dead Friend è già dal titolo programmatico un manifesto preciso su cosa voglia raccontare, per quanto nel suo scorrere non vi siano elementi tematici aprioristici.
Ciò è reso possibile dalla forma scelta da Syroechkovskaya, quella dell’assemblaggio di materiali filmati del proprio archivio che vanno a comporre una narrazione emozionante, precisa e intrinsecamente politica. Munita della sua telecamera donatale dalla famiglia, Marusya sembra voler rientrare nel trend russo dell’epoca: un’adolescente destinata al suicidio entro la fine dell’anno. In realtà l’incontro con il quasi coetaneo Kimi la trasporta verso una storia d’amore travolgente, inizialmente antitetica al clima mortifero che si respirava nelle periferie moscovite dai profili ancora ineluttabilmente sovietici.
Girato nel corso di 12 anni, è il resoconto di una storia d’amore in una società in rovina.Marusya Syroechkovskaya e Kimi Morev. Due giovani come tanti, troppi, che nella Federazione russa non trovano una loro collocazione.
Il film si apre con la smentita del titolo. Kimi non si è salvato ed assistiamo al suo funerale. Da quel momento il documentario diventa un lungo flashback che all’origine non doveva diventare un film. Siamo di fronte a un ritratto di una generazione che definire ‘perduta’ finirebbe con l’essere un’attribuzione impropria. Se vogliamo restare nel solco della tradizione russa possiamo rinvenirvi una matrice dostoevskiana trasposta ai tempi nostri.
Ci viene mostrato un mondo di umiliati e offesi su cui cadono dall’alto le rassicuranti e patriottiche parole dei potenti. In questa descrizione partecipe e non finalizzata in anticipo sta la forza di un film che si dimostra più efficace di molti pamphlet contro il regime.
How to Save a Dead Friend inizia mostrando, metaforicamente, l'ultima pagina di un libro Il libro è la storia della vita di Kimi, un ragazzo come tanti, che viveva in una squallida periferia di una grande città Russa (ma che potrebbe essere una città di una qualsiasi altro paese europeo), in un quartiere che veniva chiamato la "Federazione della Depressione", adolescente negli anni che sono seguiti [...] Vai alla recensione »
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