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Damiano Michieletto su Rigoletto al Circo Massimo: «Niente ciak, qui è tutto dal vivo»

Incontro con il regista di un'opera senza tempo. Un'originale e necessaria commistione tra lirica e cinema. In prima serata su RaiTre giovedì 30 dicembre.
di Luigi Coluccio

mercoledì 29 dicembre 2021 - Incontri

Giovedì 30 dicembre RaiTre propone in prima serata Rigoletto al Circo Massimo, con la regia di Damiano Michieletto e la direzione di Daniele Gatti, a cui seguirà il documentario di Enrico Parenti Rigoletto 2020. Nascita di uno spettacolo, più che un backstage una fonte diretta dell’eccezionalità della messa in scena di questa opera lirica. Nel giugno 2020, infatti, dopo le riaperture post-lockdown, il Teatro dell’Opera di Roma (con la collaborazione di Indigo Film e Rai Cinema) inizia una rincorsa frenetica e gioiosa per riportare il pubblico in sala, rispettando ogni norma sanitaria e allo stesso tempo soddisfando la sete di spettacoli dal vivo. Così nasce questo Rigoletto al Circo Massimo, originale e necessaria commistione tra lirica e cinema, tra evento live e visione mediata.
Ne abbiamo parlato con il regista, Damiano Michieletto.

Il Rigoletto che andrà in onda sulla Rai è stato il primo spettacolo post-lockdown, il primo palco riaperto nell'intera Europa – un'impresa registica, musicale e produttiva che ha segnato un momento particolare. Oggi, a un anno e mezzo di distanza, cosa ci si porta dietro da quell'esperienza? Ipotesi di lavoro, metodi produttivi, esplorazioni di spazi differenti, qualcosa insomma di positivo che è nato lì e che può essere riproposto.
Una cosa che ci ha insegnato quell’esperienza è la flessibilità. La possibilità di non essere così rigidi nelle nostre categorie mentali e quindi poter vedere con più elasticità un racconto. La pandemia ci ha costretto ad avere l’orchestra posizionata in diversi spazi con più distanziamento, a mettere i cantanti in un’altra situazione. Nonostante questo le “connessioni” funzionavano benissimo, e questo ci ha dato delle prospettive diverse. Come l’aver potenziato e fatto capire che il rapporto tra lo spettacolo dal vivo e il digitale è molto importante, che non è un impoverimento, perché il teatro ha la sua forza nel fatto di essere un evento live.

Però allo stesso tempo penso che sia importante per il teatro aprirsi e comunicare attraverso il digitale, per fare in modo che più persone possano conoscere e godere degli spettacoli che vengono fatti. Perché molte volte ci sono spettacoli teatrali e operistici che la gente non sa nemmeno che sono stati fatti, o ti compri il biglietto della tournée o non lo vedi più per sempre. Questo è un grande peccato, anche io avrei voluto vedere diversi spettacoli e non ho potuto, e se fossero trasmessi in maniera accurata, con una ripresa accurata, su una piattaforma o su un canale Rai, anche a pagamento, io pagherei quel biglietto per vederli. So benissimo che non è lo spettacolo dal vivo, ma mi dà la possibilità di conoscere quello che è stato fatto. La pandemia dovrebbe farci riflettere sul fatto che è necessario potenziare questo rapporto, per fare avere più visibilità al teatro dal vivo, che così potrò essere più a contatto con il pubblico.

Lei spesso lavora con un linguaggio tecnico e formale che è quello del cinema – penso ai suoi Cavalleria rusticana e Pagliacci dall’influenza leoniana, a La damnation de Faust con le riprese live, l'ipotesi stessa di realizzare un film dal Rigoletto. E in questo caso il ponte che ha tenuto insieme distanziamento e resa artistica è stato proprio quello delle immagini cinematografiche, con le riprese live di tre steadycam e gli inserti realizzati precedentemente in studio.
Questo Rigoletto era in un palcoscenico molto grande, al Circo Massimo, così grande proprio per rendere possibile il distanziamento tra i cantanti che era necessario per rispettare le regole sanitarie. Allo stesso tempo volevo riuscire a mantenere un’intimità fra i personaggi, ad avere una “vicinanza” con il pubblico. E da lì è nata l’intuizione di provare a fare lo spettacolo e allo stesso tempo riprenderlo con delle steadycam, non in maniera televisiva, nel senso di posizionarsi all’esterno e avere dei quadri, ma con un movimento, con dei cameraman che diventano quasi dei performer, perché sono continuamente sul palcoscenico, addosso ai cantanti, restituendo una prospettiva e dei dettagli che altrimenti si perderebbero.

Oltre a questo abbiamo mescolato le riprese con una serie di filmati girati precedentemente sulla spiaggia a Ostia e negli studios a Cinecittà dove stavamo facendo le prove, dei video che costituiscono un ulteriore salto narrativo mostrando quello che sta succedendo da un’altra parte, dei flashback dal passato, sogni, visioni, ossessioni. Questi ingredienti hanno reso la tessitura dell’opera, mescolando la performance dal vivo dell’orchestra e dei cantanti con il racconto cinematografico. Quello che si vedrà il 30 dicembre sulla Rai è un montaggio solamente delle riprese fatte dagli operatori steadycam, un linguaggio radicale che nella sua radicalità mostra tutti i limiti, perché è evidente che non c’è una ricerca della cura fotografica, dell’inquadratura, che potresti avere con i vari ciak.

Qui non ci sono ciak, è tutto dal vivo. Gli inserti cinematografici vanno a illuminare le zone d’ombra del libretto operistico di Francesco Maria Piave, anche riprendendo "Le Roi s’amuse", il testo teatrale di Victor Hugo che ha ispirato Verdi per Rigoletto. Ma questi flashback, nella maggior parte dei casi, non hanno un impianto narrativo, lavorano più sul piano estetico, simbolico.
Sì, un livello meno narrativo e più visionario. C’è Gilda che immagina di essere su una giostra vestita da sposa, il suo sogno un po’ ingenuo di sicurezza, di amore, di felicità. E anche i flashback più narrativi sono comunque sublimati, come quello della bambina che gioca sulla spiaggia con la madre, quasi un video amatoriale girato dallo stesso Rigoletto con immagini mosse, sgranate, la camera a mano. Oppure quando Rigoletto apre il baule dell’automobile e lo trova pieno di fiori, i fiori che poi andranno a costituire la tomba della figlia. Questi inserti servivano per “spaccare” la narrazione e mantenere un ritmo più sostenuto laddove l’opera magari diventa più melodrammatica, concedendosi dei tempi più lunghi.

Come è avvenuto l’“assemblamento” delle immagini dello spettacolo live, compresi tutti questi ulteriori livelli di visione, con il girato finale che andrà in onda sulla Rai?
È un lavoro che abbiamo fatto insieme con un montatore di grande esperienza e carriera come Giogiò Franchini, scegliendo tra il materiale che è stato girato in tre sere. Poi c’è stato l’apporto di Gian Enrico Bianchi per ripulire l’immagine e presentarla per la messa in onda, ma il girato di partenza era quello, senza ciak, senza direttore della fotografia, con solo il disegno luci del palco e l’evento live.

Il contemporaneo è la lente principale con cui lei mette in scena un'opera lirica. Ma come si fa oggi a portare avanti una pratica artistica il cui repertorio è abbastanza limitato rispetto al teatro di prosa, sia nel numero delle opere che nella loro vicinanza temporale?
Quest’impasse si supera solo scrivendo nuove opere. Registicamente si può leggere il passato e reinterpretarlo, come faccio io e tanti altri autori. Ma poi il vero e unico modo non è quello di reinterpretare il passato ma cercare di scrivere le storie di oggi con la musica di oggi. Ci sono teatri che hanno il coraggio di farlo, compositori che sono in grado di scrivere il teatro musicale senza distanziarsi dal pubblico, senza chiudersi in una sorta di autoreferenzialità. Nel corso del secolo scorso, e anche di questi primi due decenni del XXI°, sono state realizzate tante opere, che però spesso vengono messe in scena una volta e poi niente più. Il motivo è che non riescono a parlare al pubblico. Ed è necessario che la critica lo dica. Al pubblico questa cosa qua non arriva, non si farà più dopo, come è successo tante volte nel Novecento con opere che sono andate in scena e contemporaneamente si celebrava il loro funerale. L’unico modo è scrivere oggi delle opere nuove, emozionanti, coinvolgenti, in grado di raccontare non solo la vita contemporanea ma anche il teatro contemporaneo.


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