fabiofeli
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sabato 18 settembre 2021
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eduardo m''è pat'' a mmé
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Un nostro amico definisce “straripante” Toni Servillo, nel film Qui rido io, nel ruolo di Eduardo Scarpetta; e così doveva essere l’interpretazione dell’uomo di teatro che con le sue commedie imperniate sul personaggio Felice Sciosciammocca avrebbe dovuto cancellare la memoria di Pulcinella dalle scena teatrale comica della Napoli popolare. Scarpetta all’inizio del ‘900 crea a raffica appoggiandosi sull’Umore Napoletano, un misto di tragedia e commedia, agevolato da un dialetto ricco di detti a metà tra il buon augurio e lo scongiuro. Questo è uno dei numerosi lasciti di espressività che la splendida città regala ai suoi figli, spesso a un passo dalla consacrazione nella notorietà ed importanza, che poi a volte per una inezia sfuma.
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Un nostro amico definisce “straripante” Toni Servillo, nel film Qui rido io, nel ruolo di Eduardo Scarpetta; e così doveva essere l’interpretazione dell’uomo di teatro che con le sue commedie imperniate sul personaggio Felice Sciosciammocca avrebbe dovuto cancellare la memoria di Pulcinella dalle scena teatrale comica della Napoli popolare. Scarpetta all’inizio del ‘900 crea a raffica appoggiandosi sull’Umore Napoletano, un misto di tragedia e commedia, agevolato da un dialetto ricco di detti a metà tra il buon augurio e lo scongiuro. Questo è uno dei numerosi lasciti di espressività che la splendida città regala ai suoi figli, spesso a un passo dalla consacrazione nella notorietà ed importanza, che poi a volte per una inezia sfuma. Il Capocomico in un momento di scarsa vena - sta avanzando un concorrente “sleale” per il teatro: il Cinema, che può migliorare le scene venute male ripetendole finché non sono perfette - cerca un acuto comico aggrappandosi alla Figlia di Iorio di D’Annunzio per farne una parodia, che si può avvalere della notorietà teatrale del poeta come “spoiler”. Non basta più, infatti, imitare sulla scena la camminata a piedi piatti e bastoncino di bambù di Chaplin, anche se Scarpetta ha il marchio di fabbrica teatrale dei “maccheroni” mangiati con le mani, che Totò arricchì col gesto di infilarseli belli e cotti in tasca come provvista per i momenti di magra. La sua compagnia funziona con i figli legittimi e illegittimi, testimonianza di una bulimia sessuale del capocomico, proprio straripante. A raccontare i tradimenti, “nobilitandoli”, sono le poetiche parole di Salvatore Di Giacomo in Voce ‘e notte. In teatro raccoglieranno il testimone i figli “enne enne”, i De Filippo: Titina, Eduardo e Peppino. Grandi nel cinema e a teatro, come in un gioco di specchi. Ma questa è un’altra storia …
Martone prosegue il suo percorso nel cercare l’ “Oro di Napoli” e puntualmente lo trova nelle sue opere cinematografiche e teatrali. La sua bravura è guidata dal grande Amore per la sua Città e la sua Cultura e Umanità. Cerca di tenere la mano leggera in questo film, ma non era possibile raccontare in modo “neutro” il personaggio principale, un padre-padrone implacabile, che fa dire a suo figlio Eduardo, che si rivelerà il più dotato, per convincere Peppino, recalcitrante a recitare: “la nostra libertà è sul palcoscenico”. Regia, sceneggiatura, recitazione, montaggio, ambientazione sono l’amalgama che porta al grande film, con il valore aggiunto delle meravigliose canzoni con le voci di Murolo e Sergio Bruni. Una piccola civetteria: c’è una sola foto di Napoli al tramonto con il protagonista di spalle, nei panni di Chaplin, naturalmente. Valutazione **** FabioFeli
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venerdì 17 settembre 2021
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e no!
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Una sconfitta mostrare che la creatività si esprimeva anche in una famiglia irregolare?? Ma che bilancino da femminista?Il film vincerà più OSCAR.non facciamo fuoco amico. E' la vita, magari "sbagliata" di uno, intrecciata a idee e libertà di ridere, come negava padre Jorge in Il nome della rosa. Scola non ce la mostrò Se occorre una firma: prof.Riccardo Tomassucci
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mauridal
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giovedì 16 settembre 2021
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qui a napoli si ride e si piange
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QUI A NAPOLI SI RIDE ; SI PIANGE SI VIVE.
Quando un regista maturo , come ormai è Mario Martone, ricordando le iniziali e seguenti sue regie teatrali, si impossessa del linguaggio cinematografico, allora diventa inevitabile ricondurre nel cinema, l’esperienza della scena teatrale, la coralità e la immediatezza della recitazione degli attori, la visione totale della rappresentazione , e della storia raccontata.
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QUI A NAPOLI SI RIDE ; SI PIANGE SI VIVE.
Quando un regista maturo , come ormai è Mario Martone, ricordando le iniziali e seguenti sue regie teatrali, si impossessa del linguaggio cinematografico, allora diventa inevitabile ricondurre nel cinema, l’esperienza della scena teatrale, la coralità e la immediatezza della recitazione degli attori, la visione totale della rappresentazione , e della storia raccontata. Il cinema , diventa dunque l’espressione artistica del regista e quindi il meglio della propria esperienza di autore e regista si esprime nei film. Particolarmente nell’ultimo film ,Qui rido io, si avverte la vena teatrale del regista Martone che sceglie non a caso di raccontare la vicenda umana e la storia teatrale di Edoardo Scarpetta. Intanto bisogna ricordare anche che il regista ha un forte legame con la città di Napoli e la sua cultura , sia di alto livello che popolare e spesso le due espressioni vanno insieme .Mentre nei film precedenti , Noi credevamo e il giovane favoloso, la cultura rappresentata è di alto livello con accenni a sfondi popolari, nel film Il sindaco del Rione sanità è presente un rimarcato carattere popolare dei personaggi, tratti dal teatro di Eduardo De Filippo. Dunque il regista si riaccosta al tema della cultura popolare , della sua importanza , delle mille sfumature e dei tanti volti che suo malgrado il popolo sia al meglio ché nel degrado rappresenta. Il tema del teatro di Scarpetta è ambivalente , di sicuro nei primi del novecento Napoli è nobilissima, capitale europea, per le arti , teatro musica e la scena iniziale del film dove vediamo il lungomare con Vesuvio nientemeno girato dai Lumièr è testimonianza che in quanto a importanza culturale europea Napoli e Parigi si connettevano, ma già a metà dell’ottocento e primi del novecento i fratelli Alinari lavorano a Napoli con fotografie che ancora oggi danno una realtà del popolo napoletano tutta differente. Le foto Alinari testimoniano di una povertà e di una miseria unica , specie nell’infanzia e nei giovani, i soggetti più ricorrenti.Ma la realtà antropologica e storica della città di Napoli all’epoca di Scarpetta ci dice che a ridere erano in pochi, magari i capocomici a teatro che esistevano e lavoravano. IL teatro a Napoli è sempre stato vivo , come la musica e l’arte in genere , purtroppo il popolo vivendo di stenti forse aveva più occasioni per piangere. Certo la vitalità, e la intrinseca gioia di vivere portava i fortunati magari borghesi e aristocratici a frequentare il teatro e ridere di cuore alle rappresentazioni di Scarpetta unico mattatore sulla scena comica.Il film si sofferma sulla accurata scena teatrale , il teatro fisico, con il palcoscenico, le quinte la platea e il pubblico in delirio , e anche il teatro recitato con la compagnia di attori al completo, figli e figliastri, mogli e amanti insomma tutto Scarpetta dentro e fuori , dove il confine fra teatro e recita della vita in casa è molto sottile. In tutto questo il film riesce benissimo, grazie alla esemplare recitazione di Toni Servillo -Scarpetta ma anche e soprattutto di tutti gli altri attori personaggi grandi e piccoli dell’affollata scena. Dunque un film rievocativo, un film biografico un film celebrativo .Niente di tutto questo . Quando si affronta la storia del processo D’Annunzio Scarpetta, e direi si allunga un tanto il brodo ,è solo per per riaffermare la vis comica del mattatore anche in situazioni semiserie come i processi di plagio. In definitiva lo spettacolo c’è anche il cinema trova il suo spazio narrativo, gli spettatori , tornano in sala e risultano soddisfatti , tutti, anche chi criticamente pone un dubbio sulle realtà narrate e ,drammaticamente ci sorride .(mauridal) .
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goldy
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mercoledì 15 settembre 2021
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questa è vita
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Solo un napoletano verace può restituirci i molteplici e contradditori aspetti della sua città e Martone lo sa fare con un bell’equilibrio tra popolare e colto.
Eduardo Scarpetta è il perno sul quale ruota la vita teatrale della città.
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Solo un napoletano verace può restituirci i molteplici e contradditori aspetti della sua città e Martone lo sa fare con un bell’equilibrio tra popolare e colto.
Eduardo Scarpetta è il perno sul quale ruota la vita teatrale della città. Non del tutto semplice seguire le complicate vicende dei rapporti parentali frutto di esperienze di letto plurime a cui si aggiunge la difficoltà dell’inevitabile ricorso al dialetto. Qualche dettaglio biografico per seguire le avventure galanti dello Scarpetta sarebbero state di notevole aiuto . Troppo è dato per scontato.
Un difetto questo già evidenziato in “Noi credevamo”
Il teatro di Scarpetta si regge sulla pochade, sul farsesco sulla parodia che non suscitano riflessioni ma provocano identificazione e compiacimento. Un teatro fatto di liberatorie risate più che di contenuti. La scena del gran panzo in casa Scarpetta con la numerosa famiglia allargata che si abbuffa, abbondanti porzioni di pasta distribuite in quantità peccaminosa è la sintesi di ciò che si chiama “Vita”. Lì tutto si legittima : figli naturali e figli legittimi, mogli amante ingannevoli moralismi messi a tacere . E’ questo l’humus vitale nel quale i giovani De Filippo assorbono gli insegnamenti che contano e ci restitueranno in futuro continuando la splendida tradizione della loro terra. . Tutto nel film è rutilante meraviglioso, eccessivo, esagerato , sgangherato insomma il miracolo che è Napoli.
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massimo cortese
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lunedì 13 settembre 2021
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storia, concezione di famiglia e napoletanità
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Eccellente affresco della società napoletana a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, la pellicola offre la rivisitazione di un’epoca e di una vicenda che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del nostro Paese. Il film va inquadrato sotto tre aspetti: il profilo storico degli avvenimenti narrati, la concezione della famiglia e la napoletanità, elemento questo che caratterizza l’intera narrazione. La vicenda e i personaggi sono vivacissimi, soprattutto le donne, sottomesse alla volontà di Scarpetta, in un momento storico nel quale la condizione giuridica femminile è ai minimi storici: solamente nel 1919 la legge eliminerà per sempre l’autorizzazione maritale.
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Eccellente affresco della società napoletana a cavallo fra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, la pellicola offre la rivisitazione di un’epoca e di una vicenda che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia del nostro Paese. Il film va inquadrato sotto tre aspetti: il profilo storico degli avvenimenti narrati, la concezione della famiglia e la napoletanità, elemento questo che caratterizza l’intera narrazione. La vicenda e i personaggi sono vivacissimi, soprattutto le donne, sottomesse alla volontà di Scarpetta, in un momento storico nel quale la condizione giuridica femminile è ai minimi storici: solamente nel 1919 la legge eliminerà per sempre l’autorizzazione maritale. Ma è il significato che viene dato all’istituzione Famiglia che qui maggiormente colpisce, incentrata sulla figura del capo che decide per tutti e provvede al sostentamento materiale di tutti i suoi membri, nessuno escluso. Lo stile con cui è al vertice della famiglia è lo stesso di una persona che dirige una Compagnia Teatrale.
Il film è un omaggio ad un grande Uomo di Teatro, Eduardo Scarpetta, ma è anche la vivace rappresentazione della Belle Époque napoletana, apparentemente lontana da noi nei suoi tratti esteriori, ma ancora viva in certi luoghi simbolo di Napoli, come il salone Margherita, primo cafè chantant d’Italia, attualmente chiuso, e in certe espressioni artistiche, come la parodia, una forma letteraria autonoma rispetto all’opera imitata. La parodia, dunque, non è plagio o contraffazione. La parodia è nell’arte, perché è nella vita, in quella Napoli dove trova spazio l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, il ridicolo e il sublime, le contraddizioni di ieri e di oggi, il successo e la sconfitta, gli applausi e l’oblio. Ne consegue il delicato rapporto tra palcoscenico e realtà.
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carloalberto
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sabato 11 settembre 2021
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capolavoro di martone. consacrazione di servillo
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Qui rido io, attraverso il ritratto di Eduardo Scarpetta, intende rendere omaggio a quella tradizione del teatro napoletano che fondò il suo successo sull’attorialità prorompente ed irresistibile dei suoi grandi interpreti. L’attore, in quel teatro oramai scomparso, ha il sopravvento sul testo e trasforma un canovaccio, una pochade tradotta in farsa, in un’esperienza di vita vissuta, in cui il pubblico, avvertendola come una parodia bonaria e ironicamente complice della propria esistenza, inconsciamente si riconosce, e da cui può prendere le distanze facilmente con una risata liberatoria, la cui eco interminabile, a significare l’immortalità di quell’arte, è emblematicamente riprodotta nella sequenza finale da Scarpetta-Servillo.
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Qui rido io, attraverso il ritratto di Eduardo Scarpetta, intende rendere omaggio a quella tradizione del teatro napoletano che fondò il suo successo sull’attorialità prorompente ed irresistibile dei suoi grandi interpreti. L’attore, in quel teatro oramai scomparso, ha il sopravvento sul testo e trasforma un canovaccio, una pochade tradotta in farsa, in un’esperienza di vita vissuta, in cui il pubblico, avvertendola come una parodia bonaria e ironicamente complice della propria esistenza, inconsciamente si riconosce, e da cui può prendere le distanze facilmente con una risata liberatoria, la cui eco interminabile, a significare l’immortalità di quell’arte, è emblematicamente riprodotta nella sequenza finale da Scarpetta-Servillo.
Il Pulcinella dei Petito, simbolo della fame atavica e della miseria senza speranza di un popolo straccione, che a metà ottocento è ancora plebe, è sostituito dal Felice Sciosciammocca degli Scarpetta, un Pulcinella imborghesito che, finalmente, in Miseria e nobiltà, si può abboffare di spaghetti saltando sulla tavola che, agli inizi del novecento e con la belle epoque, non è più privilegio di pochi ma sembra sia stata imbandita per tutta l’umanità. Dopo la catastrofe delle due guerre mondiali nascerà l’ultima grande maschera del teatro napoletano, quella tragica, che Eduardo De Filippo si cucirà sul suo stesso volto, in Napoli milionaria, a rappresentare la disillusione dell’uomo moderno schiacciato dalla Storia.
Il film di Martone è un’esperienza sensoriale ed emotiva unica che coinvolge lo spettatore sin dall’inizio immergendolo totalmente nell’atmosfera del palcoscenico vista da dietro le quinte, tra gli attori che si preparano ad entrare in scena, sorpresi nel loro quotidiano tran tran, mentre chiacchierano in attesa di dire anche solo poche battute, nel camerino del capocomico, che addenta una pizza, simbolo della semplicità geniale di cui si nutre l’arte popolare a Napoli da sempre. Dal personaggio di Scarpetta si dipartono più linee temporali che si dirigono al passato, ad Antonio Petito, l’ultimo grande interprete di Pulcinella, al futuro, il figlio Vincenzo Scarpetta, che fu attore e commediografo, i tre fratelli De Filippo ancora bambini e che confluiscono nel presente per documentarne l’enorme successo di pubblico, la vita principesca tra lussi e sfarzosi ricevimenti, la famiglia allargata con i numerosi figli naturali ed illegittimi, i contrasti con il nascente teatro d’arte dei nuovi autori napoletani, Di Giacomo, Bovio, Russo, il declino e la solitudine, lo scontro con il teatro colto di D’Annunzio, che finì in tribunale.
Non è un caso che il cast sia formato da attori partenopei della vecchia guardia, come Iaia forte, Gianfelice Imparato, Nello Mascia, Gigio Morra, Benedetto Casillo, per citarne alcuni, e della nuova generazione, Cristiana Dell’Anna, Roberto De Francesco, Lino Musella ed Eduardo Scarpetta. Non è un caso che in una particina compaia Giovanni Mauriello, voce storica e fondatore della Nuova Compagnia di Canto Popolare. Sono voci e volti di un grande coro che, con Sergio Bruni e Roberto Murolo a fare da colonna sonora, compongono un affresco sonoro che è un inno all’arte partenopea che abbraccia quasi un secolo, da fine ottocento agli settanta del novecento in cui fu scritta l’ultima canzone classica napoletana, Carmela.
Qui rido io è il capolavoro assoluto di Mario Martone che consacra Toni Servillo degno erede di quell’arte attoriale straordinaria e senza tempo che fu di Petito, di Scarpettta, di Eduardo, ma non più Maschera, bensì interprete unico di tutte le Maschere.
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maopar
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giovedì 9 settembre 2021
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artisti si nasce si vive e si muore
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Dopo quasi due anni varcare la soglia di un cinema è davvero emozionante ..la sala perfettamente pulita...personale gentile audio che avevo dimenticato così come lo schermo...Ancora più sconvolgente è l'assenza del pubblico.. quattro persone in sala alla prima del QUI RIDO IO di Mario Martone.. sono rapito totalmente dalle immagini dalla musica dalla storia di Eduardo Scarpetta..Conoscevo vagamente la vita del grande Comico da subito entro a far parte del racconto ...Martone è un regista di cinema è di teatro che ti trasporta nella vicenda e negli ambienti.
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Dopo quasi due anni varcare la soglia di un cinema è davvero emozionante ..la sala perfettamente pulita...personale gentile audio che avevo dimenticato così come lo schermo...Ancora più sconvolgente è l'assenza del pubblico.. quattro persone in sala alla prima del QUI RIDO IO di Mario Martone.. sono rapito totalmente dalle immagini dalla musica dalla storia di Eduardo Scarpetta..Conoscevo vagamente la vita del grande Comico da subito entro a far parte del racconto ...Martone è un regista di cinema è di teatro che ti trasporta nella vicenda e negli ambienti..ti fa sentire i profumi della opulenta cucina napoletana ,ti mette in tasca quei maccheroni consolazione di noi miseri uomini che ci ritroviamo a calpestare un comune palcoscenico... sopravviverà solo chi ha innato quella Maestria a trasformare la realtà in una interminabile parodia...
E il grande Scarpetta ha vissuto come tanti vorrebbero ma che il senso del socialmente costituito non consente...La passione per la sua arte è straripante in tutto il suo vivere..ma scontra con giudizi
di altri artisti contemporanei che gli invidiano l'affetto del pubblico.
Quanto la passione o meglio il temperamento nel professarla è ereditario...la storia di Scarpetta è quella dei De Filippo è la testimonianza di ciò..
Un bellissimo film su una storia unica
magistralmente interpretato da Toni Servillo e raccontato da un regista Napoletano innamorato della sua città della storia dei suoi grandi personaggi "favolosi" grazie Martone per avermi fatto partecipare con passione a questo ritorno...
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telor
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giovedì 9 settembre 2021
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rievocazione storica e appassionata
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Qui Rido Io, di Mario Martone, è una rievocazione della causa di plagio intentata da Gabriele D’Annunzio verso Eduardo Scarpetta per la parodia, da quest’ultimo messa in scena, de La Figlia di Iorio del drammaturgo.
Quindi una ricostruzione storica con personaggi molto noti, oltre ai due citati anche Benedetto Croce che interviene a favore di Scarpetta, e una ambientazione dell’epoca rigorosa.
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Qui Rido Io, di Mario Martone, è una rievocazione della causa di plagio intentata da Gabriele D’Annunzio verso Eduardo Scarpetta per la parodia, da quest’ultimo messa in scena, de La Figlia di Iorio del drammaturgo.
Quindi una ricostruzione storica con personaggi molto noti, oltre ai due citati anche Benedetto Croce che interviene a favore di Scarpetta, e una ambientazione dell’epoca rigorosa. Ma per quanto la scientificità sia di spessore, e quindi da ammirare, il film si caratterizza per una forte componente emotiva, data dalla figura dello stesso Scarpetta (Toni Servillo eccezionale!) e della sua famiglia … piuttosto allargata; dalla colonna sonora composta dalle più belle e note canzoni napoletane; dalla carica di passione -recitata ma vera- che gli attori mettono, sempre, nella loro arte.
Un film “storico”, quindi, che però esalta lo spirito, “‘o core” si dice a Napoli, ancor prima che far ragionare sui fatti accaduti.
Complimenti a Martone che mette la sua napoletanità nell’individuare le caratteristiche principali di quella filosofia, con un senso della misura perfetto.
Unico rilievo, i sottotitoli in italiano sarebbe bene ci fossero per tutte le frasi e non solo per la “traduzione” di quelle in più stretto napoletano. Il salto frequente continuo fra il leggere o l’ascoltare -per comprendere i dialoghi- “distrae” lo spettatore che deve passare da una modalità all’altra.
Una curiosità, nei sottotitoli in italiano la “traduzione” di “vajassa” non viene fatta di -mentre in quelli in inglese si- a testimonianza del napoletano come lingua, come altre lingue regionali italiane.
Una curiosità, nei sottotitoli in italiano la “traduzione” di “vajassa” non viene fatta di -mentre in quelli in inglese si- a testimonianza del napoletano come lingua, come altre lingue regionali italiane.
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