angelo umana
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sabato 27 novembre 2021
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vita = sogno - cinema = sogno - la vita è un film
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E' stata la mano di dio, un dio qualsiasi, pagano, più utile alla nostra vita e alla nostra memoria di paese italiano, a regalarci un regista come Sorrentino, gli sia dolce il prossimo Oscar al miglior film internazionale che confermerebbe il suo precedente e tutti gli altri premi già raccolti in una vita ancor giovane di 50enne. Questo è tra i suoi film quello più direttamente autobiografico, è lui stesso il ragazzo protagonista e sognatore che osserva tanto, che da grande vuol fare il regista andandosene a Roma, dopo aver tratto dalla sua Napoli la maggior parte delle storie, dei modi e dei personaggi: figure quasi mitologiche, a volte mostruose, esagerate, sicuramente irridenti o irrise dalla realtà che le circonda.
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E' stata la mano di dio, un dio qualsiasi, pagano, più utile alla nostra vita e alla nostra memoria di paese italiano, a regalarci un regista come Sorrentino, gli sia dolce il prossimo Oscar al miglior film internazionale che confermerebbe il suo precedente e tutti gli altri premi già raccolti in una vita ancor giovane di 50enne. Questo è tra i suoi film quello più direttamente autobiografico, è lui stesso il ragazzo protagonista e sognatore che osserva tanto, che da grande vuol fare il regista andandosene a Roma, dopo aver tratto dalla sua Napoli la maggior parte delle storie, dei modi e dei personaggi: figure quasi mitologiche, a volte mostruose, esagerate, sicuramente irridenti o irrise dalla realtà che le circonda. “Oneste a livello interiore” dice Servillo/Schisa, l'amato papà del ragazzo e con lui spettatore o autore di scherzi atroci a danno della varia umanità che vive o sopravvive, magari aspettando di fare la comparsa per un film di Fellini o altri registi che da quella città sempre hanno tratto figure e dicerie. Sarebbe per la massa ignota un passettino verso la notorietà.
A questa varia umanità, a questa città, si avvicina ad inizio film dal mare il rumore assordante del rotore di un elicottero, che sembra voglia perlustrarla, ma poi quel fragore si trasforma in silenzio e ci dà una panoramica semovente della città, la Napoli chiacchierona e i suoi abitanti con le loro vite variegate. Sorrentino ci trascina nel suo “brodo caldo”, nella vita delle persone, ci intrattiene, ci affascina o sorprende. Non può non far parte del suo racconto il monachielloche predice una gravidanza alla zia Patrizia - destinataria dei sogni di amplessi del 17enne Fabietto - una giovane moglie bella, libera e disallineata da internare - e come non pensare, per similitudine, alla “santa” suor Maria 104enne che saliva la “scala santa” a Roma, o al santone che distribuiva botulino a 700€ al colpo ne La grande bellezza.Eppoi la (apparente) pazza di questo film, con la pelliccia in estate, libera di “vafangulizzare” e lanciare improperi nostrani agli irriverenti. E la baronessa che col pretesto del pipistrello da cacciare si assume il compito di iniziare al sesso Fabietto, che per eccitarsi introducendosi nella stagionata “superfessa” baronile (o spaccatura?) pensa alle fattezze di zia Patrizia.
Dice il regista che dalla tristezza per la morte dei suoi genitori nella casa di Roccaraso, avvenuta ad opera del monossido di carbonio, reso più drammatico dal non poter vedere il corpo dei suoi, spera di aver fatto un'opera che diverta. Lui evitò la gita per via di un incontro Empoli-Napoli impreziosito dalla presenza di Maradona. Era stato proprio il suo papà, impiegato del Banco di Napoli, ad annunciargli che il mito era stato ingaggiato con una fidejussione di 3 miliardi di lire concessa al presidente della squadra partenopea Ferlaino, notoriamente a corto di denaro. Evviva!!!, altra occasione di festa collettiva o miracolo, come la liquefazione del sangue di San Gennaro.
Il regista-sceneggiatore fà chiedere a Fabietto, dal dissacrante e provocatorio critico di recitazione nel finale, che devi far cinema solo se A tieni na cosa da raccontare?,che il cinema è preferibile a certe realtà, quando la vita vera non è molto bella.
Ma in fondo la vita è sogno, il cinema è sogno, ergo la vita è un film. Pieno di suggestioni come i film di Sorrentino. E, lo canta Pino Daniele in coda, Napule è mille culure.
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francesca meneghetti
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giovedì 25 novembre 2021
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e' stata la mano di dio?
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Com’è che, dopo aver visto un film con un nucleo drammatico, si esce dal cinema con il sorriso, quello stesso sorriso che si stampa sul volto di Fabio, mentre viaggia in treno verso Roma, lasciandosi Napoli alle spalle, ma solo fisicamente? Il miracolo avviene forse per la stessa ragione per cui un racconto autobiografico riesce a evitare egocentrismi, ma racconta un’esperienza luttuosa – improvvisa e precoce – che, se non è di dominio universale per fortuna, può accadere purtroppo a molti. Sorrentino, per fare i conti con il proprio passato, ha puntato su un giovanissimo e bravissimo attore, Filippo Scotti, ovvero su un protagonista, Fabio (anzi, all’inizio Fabietto) che si esprime soprattutto con lo sguardo.
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Com’è che, dopo aver visto un film con un nucleo drammatico, si esce dal cinema con il sorriso, quello stesso sorriso che si stampa sul volto di Fabio, mentre viaggia in treno verso Roma, lasciandosi Napoli alle spalle, ma solo fisicamente? Il miracolo avviene forse per la stessa ragione per cui un racconto autobiografico riesce a evitare egocentrismi, ma racconta un’esperienza luttuosa – improvvisa e precoce – che, se non è di dominio universale per fortuna, può accadere purtroppo a molti. Sorrentino, per fare i conti con il proprio passato, ha puntato su un giovanissimo e bravissimo attore, Filippo Scotti, ovvero su un protagonista, Fabio (anzi, all’inizio Fabietto) che si esprime soprattutto con lo sguardo. Uno sguardo intenso ed eloquente. Pur essendo un liceale maturando, non usa gli strumenti della dialettica per contestare e affermarsi rumorosamente: si limita a qualche citazione dantesca. Per il resto osserva e tace. Osserva la sua tribù familiare, affollata, ridanciana, a tratti grottesca, al vertice della quale ci sono i suoi genitori: una coppia allegra, affiatatissima. Lei amante degli scherzi e della giocoleria. Lui, borghese e comunista, ironico, innamorato della moglie (ma capace anche di tradirla, sapendosi perdonato). Attraverso il suo sguardo l’attenzione si sposta da sé agli altri: impossibile enumerare tutti i personaggi minori, fortemente caratterizzati in senso felliniano, che ruotano attorno alla sua famiglia. Fabio osserva Napoli. Una Napoli in qualche modo di nicchia. Non i quartieri spagnoli e il degrado (tranne alcune scene che riguardano l’amico contrabbandiere). Ma il Vomero, i quartieri decorosi, piazza Plebiscito, lo stadio (che importa, eccome!), ma anche vecchi palazzi misteriosi. E poi il mare. Visto da terrazze verdi sopraelevate. Visto da riva, nella splendida cornice che accompagna il bagno serale del regista Capuano. Visto dal largo, verso la città, nella prima sequenza a volo d’uccello (ma anche in quella notturna). E qui forse il suo sguardo si identifica con quello del regista, che di Napoli sembra ricordare solo l’azzurro, i bagni, le luci notturne che si riflettono nel golfo. Osserva ancora, Fabio, gli adulti, gli amori, i tradimenti, le fragilità, il richiamo erotico che promana anzitutto dalla splendida e infelice zia Patrizia, il tentativo di affermazione nel cinema dell’amato fratello maggiore, la riservatezza della sorella, sempre chiusa in bagno, mai visibile (le ragioni della sua assenza possono essere molteplici). Perché sì, il film può essere anche letto come bildungsroman, romanzo di formazione. Infatti questa tensione verso il futuro che lo aspetta (il cinema, capace di trasfigurare una realtà che è molto impoetica?), pieno di speranze (e l’arrivo di Maradona in città ne è l’emblema) conosce una brusca interruzione (una tragedia, la stessa vissuta da Sorrentino) Ma, dopo la disperazione e la rabbia, matura una nuova vita, più adulta e consapevole. È poetico e patetico, oltretutto, il modo in cui Fabio, perdendo la verginità, viene a scoprire che la vita riserva anche dei piaceri, oltre al dolore immenso che ha vissuto. E’ difficile catalogare il film secondo le regole classiche che definiscono tragedia e commedia: nella prima si inizia bene e si finisce male, nella seconda al contrario. Qui si ride moltissimo nella prima parte (quando Fabietto è immerso in quella sua pittoresca tribù familiare che tutto condivide). Si piange nella seconda assieme a Fabio, ormai adulto, e solo. Ma ci si rasserena verso la fine. Alla “mano di Dio” (metafora della Provvidenza), che avrebbe salvato Fabietto dalla stessa fine dei suoi genitori (avendo scelto la partita del Napoli alle sciate a Roccaraso) può credere solo uno zio di Fabio (lo stesso che nel gol inflitto da Maradona all’Inghilterra ravvisa una vendetta politica per la guerra delle Falkland). Ma la Resurrezione può avvenire anche laicamente.
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dan76rm
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domenica 19 dicembre 2021
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il sogno che diventa realtà...
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Sorrentino ci catapulta nel suo "gioco" onirico, fin dalle prime immagini. La narrazione, così come la fotografia e la scenografica tornano agli albori de "L'UOMO IN PIÙ", la sua prima pellicola. Senza sofismi (eccetto l'incontro "surreale" con San Gennaro, compresa la sua abitazione), cui eravamo abituati nei film precedenti, rendendo nell'insieme un'estetica semplice. Così come la fotografia, questa volta di una donna (Daria D'antonio), non ricerca più l'esasperazione dei movimenti di macchina, cui ci aveva abituato Luca Bigazzi per necessità narrativa. Ora tutto torna più semplice. Siamo negli anni Ottanta. Il film ci rimanda a ricordi adolescenziali cui tutti possono identificarsi. Il tema centrale è quello del sogno, inteso anche come desiderio e ambizione.
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Sorrentino ci catapulta nel suo "gioco" onirico, fin dalle prime immagini. La narrazione, così come la fotografia e la scenografica tornano agli albori de "L'UOMO IN PIÙ", la sua prima pellicola. Senza sofismi (eccetto l'incontro "surreale" con San Gennaro, compresa la sua abitazione), cui eravamo abituati nei film precedenti, rendendo nell'insieme un'estetica semplice. Così come la fotografia, questa volta di una donna (Daria D'antonio), non ricerca più l'esasperazione dei movimenti di macchina, cui ci aveva abituato Luca Bigazzi per necessità narrativa. Ora tutto torna più semplice. Siamo negli anni Ottanta. Il film ci rimanda a ricordi adolescenziali cui tutti possono identificarsi. Il tema centrale è quello del sogno, inteso anche come desiderio e ambizione. Cui l'uomo, come essere umano è portato d'indole ad aspirare. Sorrentino mette sapientemente sullo stesso piano, questi tre stadi che si articolano rendendo una narrazione complessa, fluente, nitida e asciutta, che colpisce dritto al cuore. Il sogno è quello di Fabietto (Paolo adolescente interpretato dal bravo Filippo Scotti), che ripercorre i ricordi, che sono e resteranno per sempre ben saldi nella sua mente, dei suoi genitori e dei momenti spensierati trascorsi insieme. Ma il sogno diventa desiderio sessuale, quando vede la zia "pazza" (Luisa Ranieri) denudarsi. In parallelo viaggia il desiderio, che vale più del puro atto sessuale, di vedere Diego Armando Maradona vestire la maglia del Napoli. Quasi un'ambizione che diventa riscatto, del popolo partenopeo, tutto. Ma l'ambizione, diventa necessità, quando Fabio (non più Fabietto) decide di staccare il cordone ombelicale con la famiglia, che rimarrà per sempre dentro di se. E a differenza del fratello maggiore Marchino (Marlon Joubert), che deve ancora capire cosa vuole fare da grande, lui già lo sa. Decide quindi di andare a Roma per fare il cinema e raccontarsi. "È STATA LA MANO DI DIO", che ci ha dato la possibilità di vedere quest'opera...
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l.b
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giovedì 25 novembre 2021
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il cuore di sorrentino
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“È stata la mano di Dio” è un film di formazione con una forte matrice autobiografica. Nonostante la filmografia di Sorrentino sia costellata da momenti intimi, questa è indubbiamente la sua opera più personale ed allo stesso tempo equilibrata. Il film è permeato dalla presenza costante dei suoi due punti di riferimento, due figure connotate da un’aurea divina: Maradona e Fellini. Quest’ultimo viene anche omaggiato da Sorrentino in diverse sequenze. I personaggi, ricchi di sfumature, sono molto umani e dunque vengono rappresentati con le loro debolezze. Su tutti spiccano le figure dei suoi genitori legati da un amore incondizionato, nonostante i problemi coniugali che tutte le coppie vivono (più o meno grandi che siano).
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“È stata la mano di Dio” è un film di formazione con una forte matrice autobiografica. Nonostante la filmografia di Sorrentino sia costellata da momenti intimi, questa è indubbiamente la sua opera più personale ed allo stesso tempo equilibrata. Il film è permeato dalla presenza costante dei suoi due punti di riferimento, due figure connotate da un’aurea divina: Maradona e Fellini. Quest’ultimo viene anche omaggiato da Sorrentino in diverse sequenze. I personaggi, ricchi di sfumature, sono molto umani e dunque vengono rappresentati con le loro debolezze. Su tutti spiccano le figure dei suoi genitori legati da un amore incondizionato, nonostante i problemi coniugali che tutte le coppie vivono (più o meno grandi che siano). C’è una dicotomia costante tra il disinteresse per la realtà decadente e la continua ricerca della meraviglia, dello straordinario e della bellezza. L’opera rappresenta la massima espressione del concetto di cinema di Sorrentino, ovvero come evasione da una realtà, per l’appunto, spesso deludente. Il mezzo è utilizzato per rivivere i ricordi e, laddove questi non arrivano, per creare attraverso l’immaginazione. Nonostante la giovinezza del protagonista sia stata spezzata troppo presto, le emozioni tipiche del passaggio dall’adolescenza all’età adulta sono narrate in modo universale. In questo periodo così particolare i sogni sembrano talmente grandi che sono difficili anche da raccontare. Ma, come insegna Maradona, per tirarli fuori dal cassetto e realizzarli occorre “solo” una cosa: la perseveranza.
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[+] "molto umani"
(di anna rosa)
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alberto de rosa
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sabato 8 gennaio 2022
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semplicemente, bellissimo (altro che di caprio...)
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Per un uomo di 50 anni, napoletano, orfano di padre, il film è un colpo al cuore. I ricordi di quel periodo, la vita vissuta e gli stati d'animo del protagonista li ho pure io (già in Young Pope si trattava il tema dell'essere orfani). Il film è comunque e' crudo e poetico allo stesso tempo direi struggente in alcuni passaggi. Non è un capolavoro (tipo le Conseguenze dell'amore) ma deve essere visto perché è un film del più bravo regista italiano, che racconta la sua storia e quella della città senza falsi moralismi. Bellissimo. Voto 4 stelle
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mauridal
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venerdì 3 dicembre 2021
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cinema con la mano del regista
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E’ stata la mano di dio film di Paolo Sorrentino.
Quando un regista ormai avviato come Sorrentino, decide di raccontare in un film una storia auto biografica, è per una serie di motivi. Per affrontare un lato oscuro della vita, e liberarsene, o anche per riflettere e fare chiarezza sul proprio vissuto e quindi cercando di superare con maturità alcune certezze, e alcune confusioni che possono aver inciso nella propria esistenza. Tutto questo è il senso ultimo del film di Paolo Sorrentino. La trasparenza e la semplicità difficile del film non possono ingannare lo spettatore. Dunque, per quanto un film non è solo una storia ma anche una emozione, una visione di cinema, uno sguardo particolare sulle cose e sui personaggi, allora questo film è un manifesto del cinema di Sorrentino, che piaccia o no è un ‘opera di cinema d’autore che si può ben ascrivere nella storia della cinematografia italiana.
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E’ stata la mano di dio film di Paolo Sorrentino.
Quando un regista ormai avviato come Sorrentino, decide di raccontare in un film una storia auto biografica, è per una serie di motivi. Per affrontare un lato oscuro della vita, e liberarsene, o anche per riflettere e fare chiarezza sul proprio vissuto e quindi cercando di superare con maturità alcune certezze, e alcune confusioni che possono aver inciso nella propria esistenza. Tutto questo è il senso ultimo del film di Paolo Sorrentino. La trasparenza e la semplicità difficile del film non possono ingannare lo spettatore. Dunque, per quanto un film non è solo una storia ma anche una emozione, una visione di cinema, uno sguardo particolare sulle cose e sui personaggi, allora questo film è un manifesto del cinema di Sorrentino, che piaccia o no è un ‘opera di cinema d’autore che si può ben ascrivere nella storia della cinematografia italiana. Intanto il riferimento ad altri registi di cinema come Fellini o Antonioni, Zeffirelli, pure se vagamente citati nel film, mi sembrano superflui e inutili. Ogni autore parla per sé non ha bisogno di cercare appigli per alcun motivo. Diversamente, trattandosi di una storia di formazione, di un giovane che vuole crescere e liberarsi della propria realtà deludente e insignificante, allora ben vengano i maestri e quindi il giovane Fabio personaggio aspirante regista, nel film, incontra un Capuano regista napoletano che lo avvia al mestiere, come in realtà è veramente avvenuto per il Sorrentino ormai adulto, già deciso per fare cinema. Intanto il film stesso si apre a varie forme di visione da quella teatrale, sceneggiata, alla macchietta, al melodramma, insomma un repertorio di personaggi e situazioni, per raccontare una storia drammaticamente biografica, la morte dei genitori, ma con uno sfondo di tutt’altra composizione. Intanto, c’è questa città di Napoli, originaria del regista, ma poco conosciuta e vissuta nel centro popolare e culturale, in fondo si racconta di una formazione borghese per il Fabietto rappresentato, cresciuto solo con i miti, popolari, di Maradona , del calcio , come dei contrabbandieri di sigarette, e dei san gennaro e munacielli vari. Forse il regista Sorrentino, maturo, ha voluto rappresentare ora, la nostalgia, della Napoli perduta, perché mai vissuta appieno nell’anima popolare, proprio in virtù della scelta di andare via e tagliare con il passato, a favore di una nuova vita culturalmente indirizzata all’Arte del cinema, scelta che a distanza di anni, risulta vantaggiosa e piena di soddisfazioni. Dunque, anche questo film, rappresenta una magia del cinema con la mano dell’autore, che si distingue e si riconosce, almeno per quel pubblico, attento e consapevole ai film che sceglie di vedere. (Mauridal).
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jack beauregard
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domenica 5 dicembre 2021
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e'' stata la mano di sorrentino
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“E’ stata la mano di Dio” è un signor film, molto bello, leggero senza mai essere superficiale, profondo senza mai diventare pesante. E’ un film che narra vicende personali, autobiografiche, eppure non c’è un solo istante in cui non lo senti come anche tuo, che ti appartiene, perché è raccontato con sincerità, toccando tematiche universali che vanno dalla formazione giovanile alle relazioni familiari, dal valore del ricordo alla positiva influenza di personaggi ingenuamente mitizzati. Tutto questo traspare da ogni fotogramma, passando dal bellissimo ritratto della coppia genitoriale, attraverso quello di tutto il parentado, con la descrizione di personaggi al limite della caricatura, ma comunque molto veri e veraci, come lo è una Napoli fotografata in maniera strepitosa, quasi sempre immersa nel sole e nel suo grande e azzurro mare (protagonista come non mai in questa pellicola), ma luminosa e colorata anche di notte.
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“E’ stata la mano di Dio” è un signor film, molto bello, leggero senza mai essere superficiale, profondo senza mai diventare pesante. E’ un film che narra vicende personali, autobiografiche, eppure non c’è un solo istante in cui non lo senti come anche tuo, che ti appartiene, perché è raccontato con sincerità, toccando tematiche universali che vanno dalla formazione giovanile alle relazioni familiari, dal valore del ricordo alla positiva influenza di personaggi ingenuamente mitizzati. Tutto questo traspare da ogni fotogramma, passando dal bellissimo ritratto della coppia genitoriale, attraverso quello di tutto il parentado, con la descrizione di personaggi al limite della caricatura, ma comunque molto veri e veraci, come lo è una Napoli fotografata in maniera strepitosa, quasi sempre immersa nel sole e nel suo grande e azzurro mare (protagonista come non mai in questa pellicola), ma luminosa e colorata anche di notte.
E’ un film in cui si ride parecchio, quasi costantemente per tutta la prima parte, ma pure dopo, nonostante il pesante dramma che spezza quasi in due la narrazione, l’umore non viene mai guastato, grazie soprattutto a una messa in scena che non si sofferma su un facile, anche se più che motivato, ricorso alla commozione, ma punta più sul divenire, sul futuro, sulla volontà di reagire alla sciagura e trovare una strada che possa, da un lato lenire il dolore e dall’altro portare a una crescita personale.
Se la realtà è troppo brutta per essere accettata, bisogna trovare il mezzo per immaginarla diversamente. E per fare ciò, il giovane Sorrentino (alias Fabietto/Fabio nel film) sceglie la via del cinema, la più grande fabbrica dei sogni che esista. E’ questo, in estrema sintesi il nodo centrale di un film che racconta per lo più fatti reali, ma arricchiti da un contorno di fervida fantasia che riesce a conferire poteri quasi divini a un giocatore di pallone, a parlare di sanità mentale in maniera quanto mai conturbante, a far comprendere la bonaria follia collettiva del tifo per una squadra di calcio, così come lo scanzonato e violento modo di affrontare la vita di un piccolo malavitoso, contrabbandiere di sigarette.
E allora, in una specie di gioco tautologico, viene quasi da chiedersi se sia tutto vero quello che ci viene mostrato, o se forse Sorrentino non sia caduto in contraddizione, affermando e confutando allo stesso tempo il suo assunto precedente. Ma si tratta di una domanda senza senso, è il cinema stesso che ha sempre viaggiato tra realtà e finzione, e Sorrentino lo sa, come dimostrano anche gli omaggi ai suoi maestri, Leone e Fellini, grandi narratori di favole e di sogni.
Sostenuto da un cast eccezionale, dove spiccano Servillo e Saponangelo nei ruoli genitoriali, una sensuale Luisa Ranieri nel ruolo della zia mentalmente instabile e il giovane Filippo Scotti nella parte del protagonista (dal cui punto di vista è narrata/ricordata tutta la storia), il film mantiene, per tutta la durata di oltre due ore, un ritmo costante e risulta perfettamente equilibrato in ogni sua parte. Girato magistralmente, come è consuetudine di Sorrentino, si pone tra le sue pellicole più riuscite e sentite e, personalmente lo reputo il suo film migliore e più convincente.
Quando alla fine della proiezione a cui ho assistito, il pubblico ha cominciato ad alzarsi in piedi appena sono iniziati a scorrere i titoli di coda sul finestrino del treno, nonostante nell’aria risuonassero le note della più bella canzone dedicata a Napoli, io sono rimasto seduto. Sono contento perché la lacrima che mi è scesa, fortunatamente celata dalla mascherina chirurgica, è rimasta una questione privata, condivisa solo da me e da Paolo Sorrentino.
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jonnylogan
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sabato 25 dicembre 2021
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cosa farò da grande
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Paolo Sorrentino ci accomoda sul lettino dello psichiatra riuscendo, forse in via definitiva, a esorcizzare il ricordo di una famiglia medio borghese di Napoli, con padre dirigente di banca, dotato di una spiccata ironia, e una madre casalinga dedita a scherzi capaci di travolgerti con la propria crudeltà. Residenti al quartiere Vomero e genitori di tre figli appartenenti a differenti fasce anagrafiche: la figlia Daniela perennemente barricata in bagno. Marchino, aspirante comparsa di cinema e teorico attore, e infine Fabio, detto Fabietto, liceale sedicenne che nell’estate del 1984 pensa molto al teorico approdo di Diego Maradona in maglia azzurra e che cerca di immaginarsi in un futuro ancora troppo distante per essere progettato.
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Paolo Sorrentino ci accomoda sul lettino dello psichiatra riuscendo, forse in via definitiva, a esorcizzare il ricordo di una famiglia medio borghese di Napoli, con padre dirigente di banca, dotato di una spiccata ironia, e una madre casalinga dedita a scherzi capaci di travolgerti con la propria crudeltà. Residenti al quartiere Vomero e genitori di tre figli appartenenti a differenti fasce anagrafiche: la figlia Daniela perennemente barricata in bagno. Marchino, aspirante comparsa di cinema e teorico attore, e infine Fabio, detto Fabietto, liceale sedicenne che nell’estate del 1984 pensa molto al teorico approdo di Diego Maradona in maglia azzurra e che cerca di immaginarsi in un futuro ancora troppo distante per essere progettato. Il titolo trae spunto dall’affermazione/intervista che proprio lo stesso Maradona diede alla rete segnata all’Inghilterra ai mondiali del Messico e quando il regista ne annunciò il titolo, mantenendo completo riserbo sulla trama, velocemente la mente corse a un nuovo biopic dedicato all’ex numero 10, reduce da una morte tragica e prematura e da mille risvolti che probabilmente ed esattamente come Silvio Berlusconi, avrebbero meritato di finire in un film. Al contrario Sorrentino approfitta del misunderstanding per fornirci spiegazioni sulla propria vita e solo marginalmente facendo entrare el diez dalla porta di servizio. La trama si snoda attraverso una vicenda personale che con il mondo della pelota ha poco a che fare. Lungo i vicoli di una Napoli imbevuta dalle proprie usanze, costumi, il proprio dialetto e i propri angoli di mare e luce. La storia di una famiglia allargata, composta dai vicini, dalle zie, dai parenti chiassosi e dalle vite di ognuno, segnata da un lutto che ne cambierà i precari equilibri, costringendo i più giovani non più a immaginarsi ma diventare, in maniera veloce, adulti. Filippo Scotti, vera rivelazione del film e del quale sicuramente sentiremo parlare, aiuta Sorrentino a immergersi nella propria adolescenza, divenendone il miglior alter ego possibile e lasciando a Teresa Saponangelo, prevalentemente vista in TV e a Teatro, e a Toni Servillo, ormai sodale del regista, il ruolo di due perfetti genitori, fuori dal comune e da ogni genere di schema. Osannato dalla critica, amato e odiato dal pubblico l’ultima pellicola del regista 51enne non può far altro che riflettere ma solo a visione rigorosamente ultimata.
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carloalberto
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sabato 4 dicembre 2021
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una napoli stereotipata per un pessimo amarcord
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Se la realtà è scadente, come afferma più volte un personaggio nel film, la sceneggiatura di Sorrentino è assai deludente ed è molto peggio della realtà. Quella di Sorrentino, che sostituisce alla visione stereotipata della Napoli da cartolina, solo pizza e mandolino, ormai superata, quella di una città universalmente inneggiante al mito di Maradona, è una semplificazione insopportabile per ogni vero napoletano.
La scena finale con l’inquadratura del golfo, con il sottofondo di Napul’è di Pino Daniele, poi, è incommentabile. Volendo essere eufemistici, si potrebbe definire decontestualizzata ed accattivante, ovvero ruffiana.
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Se la realtà è scadente, come afferma più volte un personaggio nel film, la sceneggiatura di Sorrentino è assai deludente ed è molto peggio della realtà. Quella di Sorrentino, che sostituisce alla visione stereotipata della Napoli da cartolina, solo pizza e mandolino, ormai superata, quella di una città universalmente inneggiante al mito di Maradona, è una semplificazione insopportabile per ogni vero napoletano.
La scena finale con l’inquadratura del golfo, con il sottofondo di Napul’è di Pino Daniele, poi, è incommentabile. Volendo essere eufemistici, si potrebbe definire decontestualizzata ed accattivante, ovvero ruffiana.
Sorrentino dichiara apertamente che il proprio maestro è Fellini. Quindi è lecito per lui rifare Fellini e ciò che in altri tempi, si sarebbe bollata più prosaicamente come una scopiazzatura bella e buona di personaggi, situazioni ed atmosfere felliniane, viene fatto passare per un omaggio al maestro.
I dialoghi sono banali, alcuni senza senso, come quando Servillo nella parte del padre del regista, ridendo paragona la contessa del piano di sopra a Papa Wojtyła, aggiungendo che però il Papa è più sexy. Visto che la contessa non assomiglia nemmeno lontanamente al papa citato, questa battuta, imbarazzante da recitare e da ascoltare perché sembra uscita dalla bocca di un adolescente degli anni ’70, suona come una spiritosaggine antireligiosa, ispirata forse da un libertinismo ateo, che nel 2021 non è rivoluzionario, ma ridicolo.
Per non parlare del personaggio dell’altro Maestro del regista, un certo Antonio Capuano, di cui tempo fa vidi un inguardabile, ma almeno originale, Polvere di Napoli, alla cui sceneggiatura partecipò un ancora sconosciuto Sorrentino. Un personaggio triviale, dal linguaggio sboccato e a dir poco scurrile, che mi rifiuto di credere corrisponda al vero Capuano, che da fonte wikipedia, oltre ad essere un regista di film di nicchia, sembra sia stato titolare della cattedra di scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Napoli.
Dopo la messa in scena della tragica morte dei genitori, si assiste ad una penosa ricerca di un finale ad effetto da parte del regista. Il risultato è un succedersi di sequenze abbastanza tediose, alcune inutili ed inverosimili, come quella della gita col contrabbandiere buono a Capri, dove i due improbabili amici incontrano Khashoggi, altre, invece, disgustose, come l’amplesso tra la vecchia contessa ed il giovane Sorrentino.
Si salva il cast, tutto formato da ottimi attori napoletani. In primis, il grandissimo ed ancora una volta, dopo Loro 1 e 2, sprecato in un film del genere, Toni Servillo ed una eccellente Luisa Ranieri, sebbene abbia dovuto dare corpo ad un personaggio, preservandone l'umanità e la credibilità, sottoposto ad un processo di ferillizzazione da Sorrentino.
L’unico personaggio autentico del film, tra quelli minori, è il portiere dello stabile, interpretato da Lino Musella, uno dei pochi attori riuscito a sfuggire alla smania macchiettistica e fellinizzante del regista.
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[+] il "risorgimento"
(di robert1948)
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luca scialo
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sabato 18 dicembre 2021
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il dramma della vita e la magia di napoli
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Napoli, inizio anni '80. Fabio è un adolescente, figlio di un dipendente del Banco di Napoli e di una casalinga. Terzo di tre figli. Il primo ambisce a diventare attore, ma mollerà presto il suo sogno. La seconda è perennemente in bagno e mostrerà il suo viso in lacrime solo quando il Napoli vincerà il primo agognato scudetto ma la loro casa è ormai già vuota e non ci sarà nessuno a festeggiare. Già, perché quella vita tranquilla di Fabio, circondata da tanti amici di famiglia, giornate al mare, la bellissima zia Patrizia prima infatuazione adolescenziale, battute e consigli del padre, l'incubo del divorzio tra quest'ultimo e la madre, una casa a Roccaraso come tanti napoletani borghesi dell'epoca e il sogno di Maradona che gioca nella propria squadra del cuore, sarà bruscamente stroncata da un evento drammatico.
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Napoli, inizio anni '80. Fabio è un adolescente, figlio di un dipendente del Banco di Napoli e di una casalinga. Terzo di tre figli. Il primo ambisce a diventare attore, ma mollerà presto il suo sogno. La seconda è perennemente in bagno e mostrerà il suo viso in lacrime solo quando il Napoli vincerà il primo agognato scudetto ma la loro casa è ormai già vuota e non ci sarà nessuno a festeggiare. Già, perché quella vita tranquilla di Fabio, circondata da tanti amici di famiglia, giornate al mare, la bellissima zia Patrizia prima infatuazione adolescenziale, battute e consigli del padre, l'incubo del divorzio tra quest'ultimo e la madre, una casa a Roccaraso come tanti napoletani borghesi dell'epoca e il sogno di Maradona che gioca nella propria squadra del cuore, sarà bruscamente stroncata da un evento drammatico. Lo stesso che però farà scattare nel giovane Fabio la molla per partire per Roma e inseguire il suo grande sogno: diventare regista. Perché, come gli dirà il suo mentore Antonio Capuano in dialogo dai toni costruttivamente accesi, occorre avere un dramma interiore, qualcosa da raccontare. Pur senza "disunirsi". Dopo la trilogia stucchevole This must be the place, La grande bellezza e Youth, Paolo Sorrentino è tornato al suo cinema iniziale. Come già accaduto col precedente Loro. Fatto sempre di potere delle immagini e approfondimento dei personaggi, certo, ma senza però esagerare con l'onirismo e l'estetismo più ossessionato. Un po' come accadde a Fellini dopo La dolce vita, finito in un tunnel da quale non uscì più. Sebbene divenne un marchio di fabbrica per il regista riminese, noto in tutto il mondo. E' stata la mano di Dio ci racconta la Napoli degli anni '80, quella della grande illusione per i partenopei. Le ultime messe in scena teatrali di Eduardo, i film di Troisi, le canzoni di Pino Daniele, gli scudetti con Maradona. Ma è anche un film auto-biografico. Da un lato il dramma della vita, dall'altro la Magia di Napoli. Finalmente, almeno per una volta, non dipinta con sparatorie, truffe o miserie. Ma più borghese, pur non perdendo la caratterizzazione di un popolo che è sì una macchietta, ma che ha dato molto in tutti i campi della società.
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