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domenica 5 dicembre 2021
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cosa si può dire dei dialoghi?
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Gentile Emanuele, cosa pensa dei dialoghi? Personalmente li ho trovati un po' troppo poco... amichevoli nei confronti dello spettatore e mi hanno lasciato una sgradevole sensazione di 'saccenza': una raffinatà volontà mimetica nei confronti della sceneggiatura di Quarto Potere? (Non credo). Grazie mille per la sua risposta, se le sarà possibile. S.T.
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felicity
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lunedì 15 novembre 2021
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un film sul potere e la potenza delle storie
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Filmato in digitale, Mank è un film prodotto da una piattaforma ma che tende a ricostruire con fedeltà ossessiva l’esperienza cinematografica della golden age del cinema hollywoodiano grazie all’effetto fotografico della pellicola, alle inquadrature, al sonoro di Ren Klyce e alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross che omaggia il genio di Bernard Herrmann e il jazz.
Un film nostalgico di un’era eppure profondamente moderno nelle tematiche affrontate.
Perché a David Fincher non interessa poi molto sancire in via definitiva chi tra Mankiewicz e Welles sia l’autore di Quarto Potere quanto raccontare una storia di lotta per i (propri) diritti.
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Filmato in digitale, Mank è un film prodotto da una piattaforma ma che tende a ricostruire con fedeltà ossessiva l’esperienza cinematografica della golden age del cinema hollywoodiano grazie all’effetto fotografico della pellicola, alle inquadrature, al sonoro di Ren Klyce e alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross che omaggia il genio di Bernard Herrmann e il jazz.
Un film nostalgico di un’era eppure profondamente moderno nelle tematiche affrontate.
Perché a David Fincher non interessa poi molto sancire in via definitiva chi tra Mankiewicz e Welles sia l’autore di Quarto Potere quanto raccontare una storia di lotta per i (propri) diritti.
Mank è un film sul potere e su come possa essere esercitato a favore o a discapito di una parte. Alcuni flashback del film si concentrano sulle elezioni, nel 1934, per la corsa al Governatorato della California. Nel bel mezzo della Grande Depressione da un lato il candidato repubblicano Frank Merriam e dall’altro il democratico – etichettato in modo dispregiativo come socialista – Upton Sinclair. In mezzo a loro lo zampino di William Randolph Hearst che spinse i capi degli Studios a sabotare “il comunista” Sinclair creando filmanti di falsa propaganda nei loro teatri di posa.
E non è affatto difficile scorgere un parallelismo tra il 1934 e il 2020. Se ieri i filmati di attori che si fingevano comuni cittadini dichiaravano di votare il democratico Merriam per non dare l’America in pasto ai comunisti, oggi quella propaganda passa attraverso altri media sotto forma di fake news create per pilotare l’opinione pubblica. Se The Social Network raccontava la nascita di Facebook, potremmo azzardare che Mank ne racconta l’evoluzione in un film che racchiude tanti strati di lettura.
Il biopic dedicato ad un uomo che ha deciso di non restare nell’ombra, un omaggio al cinema e alle sue tante anime – magica, cinica, illusoria – il dietro le quinte del più grande film mai realizzato, una lettera d’amore ad un padre che non c’è più, un film politico. Mank è una Xanadu colma di storie e la sua Rosebud è il cinema con cui David Fincher gioca creando un cortocircuito tra passato e futuro di un’invenzione in continua evoluzione. Un film che rimarca la potenza delle storie. Come quella rimasta per trent’anni in un cassetto che oggi risuona potente come solo un classico riesce ad essere.
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thomas
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martedì 22 giugno 2021
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"e'' questa la vera magia del cinema!"
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Se il Cinema aveva ancora qualcosa di nuovo da dire riguardo a se stesso, "Mank" lo ha detto. Quante volte il Cinema si è raccontato, ha svelato segreti di sè, ha (a volte per un attimo) scostato la splendida "coperta d'oro" che lo ricopre, per farsi intravedere nella sua cruda verità: "Viale del tramonto", "Effetto notte", "Bellissima", "Veronika Voss", "Ed Wood" ...
E quante volte, invece, nel raccontare la sua cruda verità, ha saputo celarla abilmente con la splendida "coperta d'oro": "Nuovo Cinema Paradiso", "La rosa purpurea del Cairo", "Hugo Cabret", "Chi ha incastrato Roger Rabbit" .
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Se il Cinema aveva ancora qualcosa di nuovo da dire riguardo a se stesso, "Mank" lo ha detto. Quante volte il Cinema si è raccontato, ha svelato segreti di sè, ha (a volte per un attimo) scostato la splendida "coperta d'oro" che lo ricopre, per farsi intravedere nella sua cruda verità: "Viale del tramonto", "Effetto notte", "Bellissima", "Veronika Voss", "Ed Wood" ...
E quante volte, invece, nel raccontare la sua cruda verità, ha saputo celarla abilmente con la splendida "coperta d'oro": "Nuovo Cinema Paradiso", "La rosa purpurea del Cairo", "Hugo Cabret", "Chi ha incastrato Roger Rabbit" ....
Il Cinema, quando racconta se stesso, ci dice che non è diverso dalle persone che noi incontriamo tutti i giorni, perchè è generato proprio da quelle persone, e come tutte le persone normali, ha i suoi difetti. Se avessimo il tempo di ascoltarlo, il Cinema, ci direbbe che però quei difetti lui li copre con una "coperta d'oro", denominata "magia": ed è proprio quella sua magia che ce lo fa amare per quello che in verità non è.
E' il suo sapersi celare dietro la magia lo rende di per sè magico, ma la realtà non è quella che lui ci fa vedere: è la "coperta d'oro" che ci abbaglia.
E così "Mank" ci dice che nel Cinema, come nella vita di tutti i giorni, non puoi permetterti di essere completamente libero, devi "saper stare nelle cose". Se sei un genio, potrai essere geniale nel rispetto dei ruoli di chi ti sta vicino, ma non potrai mai essere geniale a dispetto dei ruoli di chi ti sta vicino. Ma i veri geni non possono essere limitati, essi si rifiutano proprio di vedersi costruire attorno un pò alla volta una gabbia e, così facendo, per paradosso se ne costruiscono con le proprie mani una ancora più stretta.
"Mank" è un film stupendo, con una fotografia superlativa, interpreti eccellenti, scrittura frizzante, racconta la storia di Herman J. Mankiewicz, uno dei tanti personaggi realmente esistiti nella Holliwood dorata degli anni '30 e '40; sceneggiatore brillante, genio della parola, anche se "Mank" non fu premiato dalla vita, seppe tuttavia farle un regalo: la sceneggiatura di "Quarto potere", il più bel film, forse, della storia del Cinema.
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luca scialo
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domenica 23 maggio 2021
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film ambizioso ma non del tutto riuscito
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Più che un biopic sul talento bruciato dall'alcol dello sceneggiatore anni '20 e '30, Herman Mankiewicz, o sulle origini del film considerato il capolavoro di sempre del Cinema mondiale, Quarto potere, questo film raffigura, nel bianco e nero tipico dell'epoca, la Hollywood che fu. Quella pre-età dell'oro post-guerra mondiale, dei primi film con l'audio, delle prime stelle. Quasi tutte provenienti dal teatro. Ma anche del Cinema che viveva le difficoltà economica della Grande depressione, e che si faceva con pochi soldi ma tanto talento. David Fincher va sempre apprezzato per il suo modo di mettersi in gioco con film ambiziosi, sebbene poi spesso non riesca a saltare l'asta che lui stesso ha piazzato molto in alto.
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Più che un biopic sul talento bruciato dall'alcol dello sceneggiatore anni '20 e '30, Herman Mankiewicz, o sulle origini del film considerato il capolavoro di sempre del Cinema mondiale, Quarto potere, questo film raffigura, nel bianco e nero tipico dell'epoca, la Hollywood che fu. Quella pre-età dell'oro post-guerra mondiale, dei primi film con l'audio, delle prime stelle. Quasi tutte provenienti dal teatro. Ma anche del Cinema che viveva le difficoltà economica della Grande depressione, e che si faceva con pochi soldi ma tanto talento. David Fincher va sempre apprezzato per il suo modo di mettersi in gioco con film ambiziosi, sebbene poi spesso non riesca a saltare l'asta che lui stesso ha piazzato molto in alto. Mank risulta alla fine molto, fin troppo dinamico per ciò che intende rappresentare. Forse anche un po' lungo, con frequenti divagazioni. Ottima l'interpretazione di Gary Oldman, forse l'aspetto più positivo insieme alla ricostruzione di un'epoca molto interessante dalla quale si può attingere spesso. Per tutti gli spunti che offre in termini di personaggi sui generis. Proprio come Mankiewicz, la cui vita è ben sintetizzata nella citazione finale.
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marco
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sabato 1 maggio 2021
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un esercizio retorico per addetti ai lavori
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È un susseguirsi di battute e citazioni che dovrebbero dare peso al in quanto dotte a tutto il film,ma che risultano così noiose,e comunque così da addetti ai lavori da diventare un esercizio di stile.
Dopo circa un'ora non ho piu retto e sono uscito.
È un film targerizzato con un extratesto specifico.
Magari sublime per chi vive di solo cinema,ma decisamente pesante nelle sue continue battute esilaranti, di chi se la canta e se la suona.
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brunopepi
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venerdì 23 aprile 2021
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teatrale, intelligente, non avvincente
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MANK (2020)
USA - Regia: David Fincher
Commedia/Drammatico/Storico
Cast: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Tom Burke
Dover recensire questo film mi crea un certo imbarazzo in quanto, pur senza intenzione di degradarlo, mi sembra di andare contro corrente per quel che riguarda le critiche generali da cui ne scaturiscono.
Ambientato nella Hollywood degli anni 30, la storia si basa sulla produzione del film "Quarto Potere", allorchè lo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, detto Mank (Gary Oldman), redattò lo script del film, vedendoselo poi soffiare dallo stesso regista Orson Welles, (Tom Burke) che si prese il gran merito dello strabiliante successo.
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MANK (2020)
USA - Regia: David Fincher
Commedia/Drammatico/Storico
Cast: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Tom Burke
Dover recensire questo film mi crea un certo imbarazzo in quanto, pur senza intenzione di degradarlo, mi sembra di andare contro corrente per quel che riguarda le critiche generali da cui ne scaturiscono.
Ambientato nella Hollywood degli anni 30, la storia si basa sulla produzione del film "Quarto Potere", allorchè lo sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, detto Mank (Gary Oldman), redattò lo script del film, vedendoselo poi soffiare dallo stesso regista Orson Welles, (Tom Burke) che si prese il gran merito dello strabiliante successo.
Più che di biografia, si dovrebbe parlare di un accadimento della storia del cinema internazionale, di un evento della vita dello sceneggiatore, critico teatrale e giornalista (particolari tralasciati se di biografia si tratta), evento del resto sceneggiato, per il poliedrico cineasta David Fincher, dallo stesso padre Jack Fincher, copione conservato in un cassetto.
Non sono amante dei film in bianco e nero nonostante tutto ciò che si voglia dire di interessante e per molti condivisibile, su questo effetto ogni tanto riesibito. Fosse così, tutti i film biografici o storici di quell'epoca dovrebbero essere riprodotti di tal modo. Ma l'occhio vuole anche la sua parte...giacchè è stato fortunatamente inventato il colore...poi si sa, l'intellettualismo cerca sempre di esibirsi.
La candidatura all'Oscar come film? Il solito tributo americano alla macchina della cinematografia e alla politica di quel momento, la grave difficoltà della crisi economica, la ricostruzione fedele dell’epoca in cui in Europa infervorava il nazismo, mentre negli Stati Uniti fioriva il nuovo cinema e si iniziava a sviluppare l'embrione Hollywood, colonna portante del cinema mondiale.
Rilevante e ben individuata la solita superba interpretazione di Gary Oldman, la magistrale regia e la fotografia.
Voto 6.5
IG @bruandarts
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savatore
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martedì 29 dicembre 2020
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odore di oscar
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Un film molto ben fatto e studiato che ripercorre in chiave inedita le lunghe difficoltà incontrate per la sceneggiatura del capolavoro di Welles: Quarto Potere. Chiaro sin da subito la scelta del regista di fare un omaggio all'Epoca d'oro di Hollywood,fornendoci molti interessanti aneddoti di cinema e storia americana, tenuti molto bene insieme da una pungente, e ben scritta sceneggiatura. Da elogiare l'interpretazione di Oldman nei panni dello sceneggiatore Mankiewicz sulla falsariga di Churchill; straordinario nella scena della cena di gala al Castello Hearst, in cui ci offre uno dei punti più alti di cinema degli ultimi tempi.
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amarolucano
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lunedì 28 dicembre 2020
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noiosamente raffinato
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un film dovrebbe avere il compito innanzitutto di intrattenere lo spettatore, questa pellicola per quanto elegante e curata l'ho trovata alquanto soporifera. Dialoghi difficili da sostenere e storia che non ho trovato quasi mai coinvolgente. Non è questo il David Fincher che preferisco.
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paperinik
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martedì 22 dicembre 2020
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mank sembra la goccia d''acqua di churchill!
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Un tono di bianco e nero che promette da subito ampi e lunghi sbadigli. Dialoghi troppo densi e sagaci per non sapere di artificiosa leziosità. Una recitazione del protagonista che è un riciclo di Churchill. I personaggi sono tratteggiati bene e provocano un sano e genuino fastidio. Questione di gusti, per carità: ma io rimpiango il regista di Seven e Zodiac...
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enrico riccardo montone
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domenica 6 dicembre 2020
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autobiografia del cinema
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Nell'era del bianco e nero, Mank si diverte letteralmente nel grigio. Diretto da David Fincher da una sceneggiatura di suo padre Jack, Mank è incentrato sulla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) - un film spesso votato come tra i più grandi di tutti i tempi - prendendo il nome dall'uomo che potrebbe aver scritto quel film da solo ma con tutti i meriti andati a Orson Welles. Tuttavia, nonostante tutti i suoi ideali, principi, arguzia e disprezzo nei confronti di Hollywood, Herman Mankiewicz è un uomo che ha costruito il suo successo sugli stessi principi del mondo dello spettacolo e in qualche modo, nel torpore dato dall'acol, se ne rende conto.
Un barone dei giornali con giornali che prosperano negli scandali e una carriera prospera in virtù delle fluttuazioni politiche (William Hearst, interpretato da Charles Dance).
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Nell'era del bianco e nero, Mank si diverte letteralmente nel grigio. Diretto da David Fincher da una sceneggiatura di suo padre Jack, Mank è incentrato sulla realizzazione di Quarto potere (Citizen Kane) - un film spesso votato come tra i più grandi di tutti i tempi - prendendo il nome dall'uomo che potrebbe aver scritto quel film da solo ma con tutti i meriti andati a Orson Welles. Tuttavia, nonostante tutti i suoi ideali, principi, arguzia e disprezzo nei confronti di Hollywood, Herman Mankiewicz è un uomo che ha costruito il suo successo sugli stessi principi del mondo dello spettacolo e in qualche modo, nel torpore dato dall'acol, se ne rende conto.
Un barone dei giornali con giornali che prosperano negli scandali e una carriera prospera in virtù delle fluttuazioni politiche (William Hearst, interpretato da Charles Dance). Un proprietario di uno studio il cui unico dio è il denaro (Pelphrey, grande come Louis Meyer della MGM). Un'attrice ridotta nell'immaginario popolare a un'amante stupida, che può essere incredibilmente intelligente e onesta, con una Amanda Seyfried luminosa nei panni dell'amore di Hearst, Marion Davies). Una moglie sofferente il cui amore e devozione hanno tagliato la pelle spessa di Mank (Tuppence Middleton come Sara). E lo stesso Mank, autocommiserante, autodistruttivo, disperato e delizioso con un Gary Oldman in un'altra performance notevole. Welles, interpretato dall'attore britannico Tom Burke, è più una presenza che un personaggio reale, il prodigio dell'Est, l'outsider che minaccia di abbattere l'impalcatura su cui poggia l'esclusivo club di Hollywood.
Mank riesce a catturare la vita di Mankiewicz tra il 1933 e il 1940, quando gli Stati Uniti erano nel mezzo della Grande Depressione e osservava con disagio, ma da lontano, le nuvole che si addensavano della Seconda Guerra Mondiale. C'è un altro aspetto su cui Fincher fa bene a concentrarsi nel suo racconto della realizzazione di Quarto potere ovvero la candidatura del socialista Upton Sinclair come governatore della California, che vede la banda di orpelli contro di lui. Mentre Sinclair è ritratto come promotore di valori "anti-americani", con la MGM che presta la sua forza a una campagna che ai giorni d'oggi sarebbe definita come fake news, Mank è costretto a confrontarsi con i propri compromessi e le piccole bugie.
L'opera di Fincher rappresenta un lavoro astutamente investigativo e doloroso della psicologia storica speculativa e una visione della politica di Hollywood che brilla con un fervido cambiamento di riflettori sull'attualità degli eventi. È un film che lascia un'impressione particolare, con la sua visione della Hollywood classica così personale e appassionatamente conflittuale che ciò che accade sullo schermo sembra secondario rispetto a ciò che rivela della psicologia registica di Fincher, della sua visione degli affari e dell'arte dei film. La struttura narrativa tra flashback e presente ricorda vagamente Quarto potere, con la sua energia sofisticata e propulsiva che fa ricorso al bianco e nero appropriato per l'epoca. Anche se girato in digitale nel formato 2,35 ultra widescreen, le immagini del film hanno una qualità oscura e fumosa che a volte somiglia ai vecchi film, ricordandone anche l'immaginario. Lo stile è dunque al servizio del messaggio e anche i titoli di testa risultano essere un ibrido: sono presentati in un carattere retrò e in un formato che imita gli intertitoli classici (Netflix diventa "Netflix International Pictures"), ma i nomi degli attori sono integrati nello scenario come l'apertura estremamente moderna.
Sebbene il film prenda spunti non ufficiali dal racconto di Pauline Kael del 1971 sulla realizzazione di Quarto potere, il film di Fincher sembra fare riferimento al (difficile) tentativo di lavorare all'interno di un sistema che comporta il doversi imporre sia sulle fantasie che sulla realtà. Mank lotta per proteggersi sia attraverso un'intelligenza distaccata sia con il suo buon amico, l'alcol. Fincher omaggia il cinema dell'epoca pur riuscendo sempre a guardare avanti e a nascondere tra le pieghe del racconto il vero significato di tutto. In questo senso, la frase su come aggiornare Don Chisciotte è forse la più indicata: Mank indica William Hearst, ma in realtà è proprio lo stesso Mank il moderno Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento di Hollywood.
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