Mank

   
   
   

Sessanta giorni per inventare "Quarto potere"

di Natalia Aspesi La Repubblica

Qualcuno lo considera il più bel film di sempre, i cinefili anche se quindicenni se lo sognano di notte, gli altri, gli umani, se l' han visto perché bisognava vederlo, ne sono rimasti atterriti: in Italia arrivò dopo la guerra, nel 1949, già ultrafamoso altrove dal 1941. Citizen Kane da noi prese giustamente il titolo Quarto potere perché di quel Kane, che adombrava William Randolph Hearst, il mogul della stampa americana, qui se ne sapeva ancora molto poco. Però Orson Welles, l' omone baffuto che, giovane portento, a 24 anni aveva diretto e interpretato il film, sapevamo almeno che aveva sposato la Rita Hayworth di Gilda , quella sì già da noi famosa. Però non è di lui che si occupa un prodigioso film, Mank , ma di chi quel film lo scrisse, Herman J. Mankiewicz, e con l' ambizioso Welles condivise solo un Oscar nel 1942 su nove nomination, quello per la sceneggiatura. Forse solo un colosso come Netflix può permettersi oggi un film così a rischio, in bianco e nero (e già lo ha fatto con Roma di Alfonso Cuarón, Leone d' oro 2018 e Oscar 2019 al miglior film), nel ricordo di Citizen Kane ; ma ogni volta si rimane incantati da quella sontuosa, luminosa, carnale meraviglia espressiva che il colore raramente dà. Mank, come lo chiamano gli amici, è a letto con una gamba rotta e la produzione l' ha isolato in un cottage con infermiera e deliziosa segretaria, per scrivere in 60 giorni questa sceneggiatura che non ha titolo e di cui al telefono non dicono nulla lui e il ragazzo Welles al suo primo film, cui la RKO ha dato ogni libertà. Mank è poco più che quarantenne (Gary Oldman poco più che sessantenne), ha una moglie detta la povera Sara ed è quasi sempre ubriaco, eppure è il re dei dialoghi e brillante, ironico, colto anche nella vita. Nei suoi vaneggiamenti torna alla Hollywood in cui agli inizi degli anni 30 è precipitato da New York, critico teatrale e opinionista del New York Times in cerca di più solida fortuna, come tanti intellettuali, che insieme nella sala sceneggiatori della MGM, dove la segretaria sta a torso nudo con due biscotti sui capezzoli, intrecciano insieme filmetti senza pretese se non quella di piacere alle folle, carichi di disprezzo per i padroni dell' industria cinematografica che a loro volta li considerano servi prezzolati. È arrivato anche il fratello minore Joe, subito ossequiente alle regole del capitalismo particolarmente violento del cinema, che lo sprona ad essere meno orgoglioso: Hermann rifiuterà mentre Joe diventerà il fortunato regista di decine di film tra cui Cleopatra , Eva contro Eva , Improvvisamente l' estate scorsa . Si sa che tuttora gli orsonwelliani accaniti discutono su chi davvero scrisse la sceneggiatura: il film sostiene la tesi della critica Pauline Kael che nel 1971 scrisse un famoso articolo dicendosi certa che l' autore era il solo Mank, mostrando persino un Orson Welles che offre 10 mila dollari perché possa firmare solo lui. È Gary Oldman (Churchill, Sirius Black, Lee Oswald ecc.) a interpretare in modo magistrale Mank, uno dei tanti uomini di genio distrutti dall' alcol e dalla crudeltà di Tinseltown, la Fabbrica dei Sogni: ingrassato, spettinato ondeggiante stramazzante, coraggioso, affettuoso, invincibile e vinto, è l' immagine dolente e impotente di chi vive con orrore nell' epoca travagliata dalla Grande Depressione quando l' improvvisa miseria e le code degli affamati vennero ignorate dagli schermi e sfruttate dai magnati che del cinema si servivano. Agli inizi del sonoro un collega fa conoscere a Mank sua zia Marion Davis, una diva già al tramonto, compagna del potente editore di decine di giornali Randolph Hearst, che si incanta per le sue fulminanti battute e lo invita alle affollate cene a lume di candela nel suo orribile castello, con elefanti e giraffe nel parco, San Simeon, che poi in Citizen Kane diventerà l' ancor più grottesco Xanadu. Nell' immenso salone, attorno a un tavolo talmente lungo da aver ispirato quello di casa Berlusconi, i potenti del cinema e della politica con tutte le bellissime signore costruiscono l' America che serve loro: l' odioso Louis B. Mayer capo della MGM, l' altrettanto sprezzante leggendario produttore Irving Thalberg, decidono con Hearst le sorti politiche del paese, lodano Mussolini e, essendo quasi tutti ebrei, per fortuna diffidano di Hitler ma sono sicuri che non durerà. Hollywood conosce il proprio potere e Mank assiste impotente a come il cinema si schieri apertamente coi repubblicani, e per le elezioni del governatore della California del 1934 fabbricano drammatiche fake news che sovrappongono alle immagini del romanziere democratico ed ex socialista Upton Sinclair, che naturalmente perde. Esempio preclaro per i sovranisti di oggi, solo che adesso l' America si è ribellata, anche o forse perché da tempo Hollywood si è fin troppo rinsavita, e un film come questo senza neanche un nero o una giapponese non si potrebbe fare. Mank poteva essere girato anni fa, quando Jack Fincher padre di David ne consegnò la sceneggiatura, considerata un azzardo finanziario e quindi scartata. Adesso suo figlio, regista fortunato, con tutta la passione possibile, si vendica di quello schiaffo al padre, e ne ha fatto un film molto raffinato. Se mai ci sarà l' Academy Award 2021, dovranno esserci altri capolavori per togliere le statuette, forse esagero, al film, al regista, al defunto sceneggiatore, a tutti i tecnici, ai meravigliosi attori, Oldman, Charlie Dance (Hearst) e la grande Amanda Seyfried, bellissima, fragile, generosa Marion Davies.
Da La Repubblica, 10 novembre 2020


di Natalia Aspesi, 10 novembre 2020

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