18 regali è la storia del “come sarebbe andata se”; di una madre e una figlia che incrociano i loro occhi in sala parto, e che poi si separano per sempre.
La sceneggiatura sceglie l’escamotage della manipolazione temporale; allontanandosi dal realismo (e dalla fedeltà alla storia di riferimento), l’intreccio si apriva a infinite possibilità di snodo. Possibilità non sfruttate. Il film procede per una strada convenzionale, il rapporto tra madre e figlia si articola in fasi prevedibili. I dialoghi hanno un buon ritmo, ma sono per lo più didascalici. Alcuni momenti, poi, sono infarciti di cliché: il padre che riprende la figlia ribelle, facendole notare che per lui è stato difficile crescerla da solo; la madre che si augura che la figlia cresca bella dentro. La sceneggiatura di 18 regali riempie tutti i vuoti. Non ci sono respiri tra una parola e l’altra, non c’è spazio per lo spettatore per creare qualcosa. Tutto è descritto.
Stesso discorso per la regia: curata sì, ma tutta in appoggio. All’inizio del film, ogni cosa è eccessivamente “rosa”: l’atmosfera della casa di Elisa e Alessio, con tanto di manicaretti in primo piano; Elisa vestita di bianco e rosa; la musica che fa tanto idillio familiare. Tutti elementi che dovrebbero rendere brusco il cambiamento di stato, quando irrompe la notizia della malattia; e invece l’impatto emozionale risulta un po’ scaricato. In questo film mancano i contrasti. Il montaggio rende accessibili i diversi stati d’animo dei personaggi, attraverso primi piani e piani medi; un piano sequenza e alcune inquadrature dall’alto smorzano un andamento registico tradizionale. La colonna sonora si integra col film, ma non è degna di nota. I personaggi sono bidimensionali, sebbene si inseriscano nell’intreccio efficacemente.
Maneggiare una materia come quella di 18 regali è rischioso, e si percepisce quanto il regista abbia voluto essere cauto: scadere nella melassa era facile e Amato ha aggirato l’ostacolo. Alla fine di questa conclusione di 18 regali, dobbiamo sottolineare come la sceneggiatura e la regia siano troppo volutamente rispettose. Un film di questo tipo ha il chiaro scopo di ricordare al pubblico “cosa conta davvero nella vita”; il rischio è che lo spettatore rifletta quando esce dalla sala, finché non incrocia il primo automobilista che non rispetta uno stop. Le interpretazioni sono complessivamente buone: Vittoria Puccini (forse il volto più rassicurante tra le attrici italiane di oggi) è brava ma non stupisce; Edoardo Leo si cala molto bene nei panni del suo personaggio, che non compie però un’evoluzione tangibile nel corso del film. Benedetta Porcaroli invece, dopo un inizio non brillante, si riscatta nella seconda parte del film.
18 regali scuote, ma non profondamente. E avrebbe potuto farlo. Le lacrime vengono giù, ma dalla sala si va via addolorati e poco feriti: la sensazione è che quel dolore possa andare via in fretta, e con esso la riflessione a cui dovrebbe portare una storia del genere. A commuovere è la storia più che il film in sé. Detto ciò, il risultato è un omaggio gradevole a una storia ingiusta e molto tenera, che meritava di essere raccontata; il film non è pretenzioso e mantiene un buon ritmo dall’inizio alla fine. Ma tutto, dal detto al non detto, resta in superficie. La natura surreale di un incontro madre/figlia apriva le porte a qualsiasi direzione narrativa; invece lo sviluppo è convenzionale. Un film delicato… troppo delicato.
[+] lascia un commento a felicity »
[ - ] lascia un commento a felicity »
|